Aerei per la guerra: le forze in campo

I favorevoli e i contrari all’utilizzo del mezzo aereo per affrontare i nuovi scenari di guerra in un contesto che vedeva proliferare gli aeroclub e le scuole volo, nonostante la carenza di piloti esperti

Agli inizi del 1913 da Torino il maggiore Giulio Douhet, vice comandante del Battaglione Aviatori (BA) e sostenitore della tesi secondo cui gli aerei non dovevano limitarsi alla ricognizione avanzata, ma assumere l’iniziativa dell’attacco, cercò di convincere il Ministero a dotare le 14 squadriglie di cui disponeva l’Esercito (comprese le due in Libia) di almeno 45 apparecchi nuovi. Il costo stimato era di 25 mila lire ciascuno: una cifra alta per un ricognitore leggero, ma forse insufficiente per i bombardieri da lui commissionati in via riservata all’ing. Gianni Caproni, attivo nel campo di volo presso cascina Malpensa: infatti un motore per aereo costava almeno 10 mila lire, ed i Caproni ne montavano tre.

Douhet aveva elaborato il suo piano nella speranza che, dopo il grande successo della Sottoscrizione Nazionale Pro Ali alla Patria (erano stati raccolti 3,2 milioni di lire) il governo autorizzasse nuovi acquisti senza entrare nel merito dei dettagli tecnici d’una operazione per la quale erano disponibili somme extra bilancio. Tuttavia a Roma avevano ancora largo seguito le tesi di chi diffidava del nuovo mezzo: il capo di Stato Maggiore, Alberto Pollio, in carica dal 1908, aveva espresso dubbi sulla possibilità che gli aerei avessero abbastanza autonomia di carburante per attacchi in profondità, specie dovendo superare le Alpi. I successi degli Zeppelin dell’alleato germanico facevano propendere il col. Maurizio Moris verso i dirigibili semi-rigidi, più economici degli Zeppelin ma comunque in grado di mantenersi al di sopra delle zone di turbolenza atmosferica e di volare per molte ore con un carico superiore rispetto agli aerei, il cui impiego - per Moris - andava limitato alla ricognizione, anche fotografica a bassa quota, troppo rischiosa per i dirigibili.

Civili e militari

Giocava a sfavore del programma di Douhet la carenza di piloti esperti. Prima della guerra di Libia gli acquisti di aerei erano avvenuti su iniziativa di singoli comandi territoriali, là dove c’era un ufficiale superiore appassionato di volo, che a proprie spese aveva conseguito un brevetto di pilota presso una delle scuole che avevano accompagnato la nascita di questo o quel “Aero Club” e del relativo campo volo. Nel 1912 il Politecnico di Torino aveva aperto un Laboratorio di Aeronautica nel parco del Valentino, ma si sapeva che nulla valeva quanto la prova sul campo, in un continuo confronto tra ingegneri, piloti e meccanici.

Erano di pertinenza del capoluogo sabaudo i campi volo di Mirafiori, sede del BA, e quello di S. Francesco al Campo (oggi Caselle); nel 1909 a Cameri (NO) era stato realizzato un piccolo campo d’atterraggio su un terreno in parte soggetto a servitù militare. Un francese, Clovis Thouvenot, s’era improvvisato istruttore in collaborazione con l’azienda che vi aveva trovato sede, l’A.V.I.S. (in latino: uccello), di cui erano azionisti il pilota torinese Umberto Cagno, uomo-immagine della casa automobilistica Itala, e il costruttore Gino Galli, bresciano, la cui passione s’era sviluppata a seguito del primo importante raduno aviatorio italiano, tenutosi sul circuito Brescia - Ghedi - Montichiari. Ottennero il brevetto presso Thouvenot, tra gli altri, i fratelli Antoni, i quali a loro volta nel 1911 aprirono un campo volo a Coltano (Pisa).

A Taliedo, a sud-est di Milano, in occasione della competizione internazionale organizzata dal Touring Club, un vasto appezzamento divenne l’Aerodromo d’Italia, attrezzato con vari hangar e collegato alla città da una linea tramviaria. La prima fabbrica d’aerei a insediarsi in loco fu la SADA, finanziata dalla Oleoblitz di Ernesto Reinach, fornitrice di lubrificanti alla Isotta Fraschini e ad altri produttori di motori. Le autorità militari compresero subito che Taliedo poteva essere una buona alternativa alla piazza d’armi di Baggio, dove si testavano i dirigibili, sotto stretto controllo del maggior campo volo militare del Genio, quello di Centocelle (Roma) affidato da Moris al pilota e progettista Mario Calderara. In pochi mesi a Taliedo vennero requisite e demolite alcune cascine, livellato il terreno e realizzate le strutture destinate ad ospitare due delle squadriglie del BA. Altre scuole di volo erano sorte a La Comina, presso Aviano (PN) e a Somma Lombardo, tuttavia il numero dei brevetti rilasciati in Italia si contava ancora agli inizi del 1913 nell’ordine delle decine, non delle centinaia.
La sottoscrizione in favore della flotta aerea era stata ideata dal fondatore dell’Aero Club di Padova, Leonino Da Zara, un giovane di famiglia ebraica tanto ricco da permettersi un campo volo privato sui terrenti di Ronchi, nella Bassa padovana, ma era stata fatta propria dai circoli politici nazionalisti. In molti centri della Penisola i comitati cittadini della Lega Aerea Nazionale (LAN) avevano organizzato, tra l’aprile e l’ottobre del 1912, raduni aviatori invitando quali ospiti d’onore i piloti reduci dalla Libia. Grazie all’appoggio determinante degli organi di stampa locali e nazionali, che pubblicavano gli elenchi dei donatori.

Agli inizi del 1913 l’Esercito indisse un concorso per la scelta dei nuovi modelli di cui dotarsi; i costruttori italiani sostenevano, infatti, di poter offrire buoni prodotti ad un costo inferiore finanche del 30%, se si fosse iniziata, come all’estero, la produzione in serie.
L’esito fu deludente, anche per Douhet: i modelli presentati erano dotati di motori non meno affidabili rispetto ai concorrenti stranieri, ma strutture meno solide; essendo prodotti artigianalmente, sarebbero occorsi tempi medio-lunghi per adeguarsi ai ritmi del riarmo in atto da parte delle grandi potenze. Gli imprenditori, delusi dalla mancata assegnazione dei “premi” indicati nel bando, ottennero comunque l’assicurazione che il BA si sarebbe dotato di aerei importati dall’estero ma montati e testati presso le officine ed i campi volo italiani, col tacito sottinteso che le aziende nazionali avrebbero potuto introdurre migliorie tecniche e non sarebbero state rigidamente vincolate dai contratti per quanto riguardava marche e modelli dei motori da montare sugli apparecchi; essendo derivati da quelli delle auto, erano già prodotti in serie.

La francese Blériot aveva partecipato al concorso sotto l’egida della S.I.T. (Soc. Italiana Transaerea) di Torino, di cui ufficialmente erano titolari due noti piloti del locale Aero Club, i fratelli Manissero; la S.I.T. impiantò un’officina di produzione di 4 mila mq ed ottenne una commessa per alcuni Blériot XI-2 e per i nuovi Farman MF.7 da ricognizione; per seguire la parte tecnica venne assunto il giovane ing. Raffaele Conflenti. Le attività dell’A.V.I.S. vennero rilevate da un altro torinese, Giuseppe Gabardini, già progettista in Francia e licenziatario per i modelli della Voisin; egli assorbì anche l’officina motori della Rebus, sempre a Cameri, ed avviò uno stabilimento a Taliedo, in via Mecenate, destinato in seguito ad essere acquisito dalla Caproni.
Sempre nel corso del 1913 alcuni azionisti della Isotta Fraschini fornirono a Lorenzo Domenico Santoni, titolare d’una avviata falegnameria a Turro (nord Milano), i capitali per sfruttare la licenza di costruzione dei Farman MF.11, dotati di motori da 80 cavalli. La nuova azienda assunse il nome “Savoia” ed ottenne dal BA una commessa per ben ottanta apparecchi, in parte realizzati nell’officina di Mombello. A Varese la S.A. Nieuport Macchi iniziò la produzione dei biplani anche presso la consociata Wolsit di Legnano.
Confidando sul favore sempre dimostrato da Pollio nei confronti dell’alleato tedesco, una delle maggiori aziende meccaniche lombarde, la SAML, avviò a Monza la produzione dei modelli dell’Aviatik; le eliche ed altre parti in legno piegato furono affidate alla grande falegnameria Zari di Bovisio. Douhet assunse il comando del BA dal novembre 1913; da poche settimane un altro ufficiale dei bersaglieri, Giulio Cesare Tassoni, era divenuto direttore generale del ministero della Guerra, e a lui si appellò per dotare le squadriglie di maggior autonomia logistica, assegnando a ciascuna manutentori fissi e predisponendo anche rimesse smontabili da trasportare in zona d’operazioni.

In volo sull’acqua

Tra i più attivi comitati della LAN v’era quello di Venezia, guidato dal sindaco Filippo Grimani, anti-giolittiano ed amico di Da Zara e di Gabriele D’Annunzio, il quale, in attesa del ritorno “trionfale” in Italia per svolgere la propaganda interventista, in quegli anni era spesso ospite a Milano del suo caro amico Luigi Albertini, editore e direttore del Corriere della Sera.  In Laguna molti temevano i sottomarini e gli idrovolanti posti dagli austriaci a presidio delle coste istriane. Grimani offrì l’area dell’ex convento delle Vergini, presso l’Arsenale, e la Marina, su interessamento dell’amm. Umberto Cagni, si accollò le spese per la costituzione, agli inizi del 1913, della Squadriglia San Marco e della relativa scuola di volo. Il comandante, Manlio Ginocchio, attivò anche un laboratorio sperimentale dove al suo vice, Alessandro Guidoni, venne affiancato il giovane marchese franco-argentino Raùl Pateras Pescara, ben dotato sia di nozioni tecniche che di quattrini. Egli s’attirò l’ostilità di un altro progettista di stanza all’Arsenale, Luigi Bresciani, sostenitore dell’imbarco di piccoli ricognitori sulle navi; egli profittò della temporanea caduta in disgrazia di Cagni per accusare il rivale d’essere una spia francese; così nel corso del 1914 l’amm. Paolo Tahon di Revel bloccò le ricerche sugli aerosiluranti.


L’Italia in armi

Nel marzo 1914, dopo le dimissioni di Giolitti, il gen. Carlo Porro sembrava destinato ad assumere la guida del ministero della Guerra. Egli tuttavia pose quale pre-condizione un forte incremento delle spese militari (600 milioni in quattro anni), con un atteggiamento che dispiacque ad alcuni ambienti di Corte, anche perché non era ancora ben chiaro contro chi dovesse combattere l’Italia. Il nuovo premier, Antonio Salandra, dovette nominare ministro il gen. Domenico Grandi, ultraottantenne, ma gli affiancò Tassoni quale Sottosegretario. I rapporti tra i due furono ovviamente pessimi, e contribuirono a rallentare i programmi del BA, specie quando si aprì tra gli alti gradi la gara per il successore di Pollio. Douhet, non abbastanza sostenuto da Tassoni, venne accusato di aver insistito nel salvataggio della Caproni, posta in difficoltà dal mancato accordo con la licenziataria, la Bristol: dapprima pagandole i 12 apparecchi fabbricati alla Malpensa ma non certificati dalla Bristol (una spesa 144 mila lire), poi “assorbendo” l’azienda nell’apparato militare, assumendo l’ing. Caproni alle dipendenze del BA. Douhet ed i suoi amici in seguito sostennero che in tal modo l’Italia poté disporre, agli inizi del conflitto, degli apprezzati bombardieri C1, ma in quel momento l’Esercito preferì silurarlo: mantenendo il grado di maggiore fu trasferito allo stato maggiore di una semplice divisione di fanteria, di stanza ad Edolo, in Val Camonica, ben lontano da Torino e da Roma.

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Ultima modifica 10/06/2015