India riassunto del mondo

Da tempo l’India attraversa una fase di trasformazione. Essendo uno dei pochi Paesi in cui si prevede un’accelerazione della crescita, le prospettive sono più che mai favorevoli

“ L’india assale, prende alla gola, allo stomaco. L’unica cosa che non permette è di restarle indifferente “ 

Tiziano Terzani (giornalista e scrittore)

L’India è una nazione che vista da lontano potrebbe apparire piuttosto omogenea. La realtà è molto più complessa e variegata di quanto si possa credere. E’ un “riassunto del mondo”, ci si trova un po’ di tutto: un sesto della  popolazione mondiale, più lingue che nell’intera Europa, tolleranza e spiritualismo, ma anche conflitti e corruzione. Analfabetismo e povertà, ma anche cultura e rapido sviluppo. Si passa dalla storia del Taj Mahal allo sviluppo della nuova silicon valley a Bangalore, dal retaggio delle caste ai nuovi tycoon indiani. Anche se ha un passato recente di miseria e malattie, il suo futuro è radioso: negli ultimi 25 anni oltre 200 milioni di indiani sono usciti dalla povertà ed entro 20 anni il Pil avrà superato quello europeo. E tutto in una nazione democratica e pluralista, dove la maggioranza della popolazione è sotto i 35 anni. 

Gli occidentali, davanti a un’India che in tutta la sua parte istituzionale si presenta al mondo in inglese, pensano di aver a che fare con un Paese fondamentalmente simile a loro, e si domandano dove sia la sfida e il motivo di tanto interesse per questa nazione. La risposta è nei numeri e nelle tendenze. Un miliardo e più di persone, che nel 2050 saranno un miliardo e mezzo; una classe media di cento milioni, che cresce del 10% l’anno e che, già oggi, è pari alla popolazione di Italia e Francia messe insieme (ma senza poveri!); cinquecentomila abbonamenti in più al mese ai cellulari, che da tempo hanno superato quelli di rete fissa; un settore informatico che in pochi anni ha visto l’emergere di diverse multinazionali di valore mondiale; un mercato automobilistico che è il sesto al mondo e che ha ormai compiuto il balzo dalle due alle quattro ruote. 

Un mercato in fortissima espansione insomma, che punta per ora sopratutto sulla sempre evocata classe media, sui cui numeri si discute, ma sul cui modello di consumo e capacità di spesa di tipo occidentale non vi sono dubbi. Un mercato che potrebbe nel medio termine assumere proporzioni ben più rilevanti, con l’ingresso di una quota crescente di quei seicento milioni che, al momento, non superano il dollaro al giorno di reddito.

Gli ultimi due anni saranno ricordati come un periodo di profonda trasformazione per l’India. Il cambiamento più significativo si è avuto nel panorama politico quando il partito fino a quel momento all’opposizione ha vinto le elezioni nazionali con il più ampio sostegno mai ottenuto nel Paese negli ultimi trent’anni: il mandato a governare è stato affidato a Narendra Modi, leader carismatico e dal sorriso contagioso capace di emanare fiducia e quindi sicurezza. 

Le precedenti amministrazioni indiane non avevano in genere le necessarie capacità decisionali per fare leva sui solidi fondamentali dell’economia ed erano eccessivamente dipendenti dagli alleati per approvare le riforme. L’ampia maggioranza con cui è stato eletto gli conferisce la capacità di portare avanti le riforme che dovrebbero porre le basi per una duratura ripresa economica. Da quando è entrato in carica, il nuovo governo ha agito rapidamente per ripristinare la fiducia delle imprese e dei consumatori. Ha affrontato con prudenza la maggior parte dei punti dolenti relativi all’esecuzione delle politiche, alla rapidità del processo decisionale e all’attuazione delle riforme. Il partito di Modi è definito come riformatore. Quando ha guidato il Paese l’ultima volta, tra il 1998 e il 2004, ha introdotto rinnovamenti che hanno avuto un impatto sull’economia indiana. 

Le sue credenziali sono senz’altro eccellenti. Una di queste riforme riguarda il settore manifatturiero. L’obiettivo dichiarato della nuova politica in quest’ambito è incrementarne la quota del PIL dall’odierno 15% a circa il 25% entro il 2022, nonché creare 100 milioni di posti di lavoro nel prossimo decennio. Un settore industriale più forte non solo stimolerebbe la crescita economica del Paese, ma contribuirebbe anche a creare occupazione, a contenere l’inflazione e a rafforzare il saldo di bilancio con l’estero. Inoltre, si prevede di creare 100 cosiddette “smart city”, il che comporta un ammodernamento delle infrastrutture e la creazione di nuovi centri urbani. Entro il 2040 il 40% della popolazione dovrebbe risiedere in queste città. Un’altra importante riforma è la tanto attesa “Goods and Services Tax” (GST) che dovrebbe semplificare significativamente la struttura fiscale e alimentare la crescita. La realizzazione di una GST è stata rinviata per anni, principalmente a causa delle differenze tra il governo federale e quelli dei vari stati sulla ripartizione del gettito. Una GST potrebbe semplificare radicalmente il sistema fiscale e fornire altresì una spinta significativa al settore manifatturiero (si stima un incremento del PIL di circa 1.5%).

Sulla scia di questi eventi il Sensex, ovvero l’indice composto dai 30 titoli maggiormente negoziati sulla Borsa di Bombay, ha segnato nel 2014 uno sbalorditivo +29,89%. Solo dall’inizio di quest’anno più di 7 miliardi di USD sono stati investiti nel mercato azionario e obbligazionario locale. L’anno scorso più di 42 miliardi di USD si sono riversati su quella che è ormai diventata la terza economia asiatica.

La situazione economico-finanziaria mondiale di oggi è assai favorevole all’India. Gli investimenti esteri non sembrano mancare e le stesse aziende nazionali sembrano rilocalizzare spinte dalle nuove politiche. L’inflazione è tornata a essere sotto controllo e il ministro delle Finanze ha appena presentato, con l’approvazione del parlamento, del Primo Ministro e del Governatore della Banca centrale, il nuovo bilancio per il 2016. Rajan, Presidente della Banca centrale, è un economista capace e dopo aver tagliato i tassi di 0,75 punti, passando da 7,50 a 6,75 punti, mira a un obiettivo d’inflazione del 4%. In un panorama economico finanziario volatile e ricco di colpi di scena, a sfondo sia politico sia economico, l’India sembra sempre più divenire una certezza. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto le previsioni di crescita al 7,5% per quest’anno e il prossimo e, stando ai fondamentali, queste attese non sembrano azzardate. Infatti, essendo l’India un importatore netto di greggio, dovrebbe beneficiare largamente del crollo del prezzo del petrolio e, allo stesso tempo, potrebbe godere di un momento favorevole alla gestione dell’inflazione. L’aumento degli investimenti, della produzione industriale e dei salari reali, dovuto al calo del prezzo dell’oro nero, dovrebbe permettere di crescere in maniera stabile e duratura.

Una delle tentazioni ricorrenti, quando si parla di India, è quella di riferirsi alla Cina, come se le due economie fossero paragonabili e consentissero valutazioni omogenee. Si tratta invece di Paesi profondamente diversi, il cui unico tratto comune è la tendenza dei livelli di crescita. Lo sviluppo infrastrutturale non è paragonabile – la Cina è per molti versi nel XXI secolo, mentre l’India deve ancora entrare, quanto a infrastrutture, pienamente nel XX – e le scelte di politica economica sono profondamente diverse: all’accelerazione cinese sul manifatturiero ha corrisposto un costante sottoinvestimento indiano e una priorità riservata ai servizi, all’outsourcing e al software. Sono profondamente diversi i sistemi politico-sociali. A differenza della Cina, l’India è una democrazia; questo è un elemento da non sottovalutare quando si pone l’attenzione sulla crescita di un’economia emergente. Difatti, il sistema politico indiano dovrebbe agevolare lo sviluppo di una classe media (caste permettendo) e quindi di una domanda domestica capace di aumentare la richiesta interna per beni di consumo e di dare una spinta all’innovazione tecnologica.

In Cina i giochi sono in atto da tempo e le imprese occidentali si contendono posizioni sempre più affollate. In India, al contrario, la partita è agli inizi e la liberalizzazione sta solo adesso cominciando a mordere. Al momento dell’indipendenza in pochi avrebbero scommesso che essa sarebbe rimasta a lungo democratica e sopratutto unita; le sono riuscite l’una e l’altra cosa e, oggi, rappresenta un modello per tutta l’Asia. Inoltre, in questo momento, nessuno fra i Paesi occidentali occupa posizioni dominanti. Non per molto, però. Tutti si stanno muovendo ed è facile prevedere che gli Stati Uniti entreranno alla grande sulla scena indiana: l’opinione pubblica è filo-americana e tutta la nuova borghesia non pensa ad altro che a copiare modelli USA. Se si parte dall’assunto che l’Italia non può permettersi il lusso di essere assente dall’Asia, la necessaria conclusione è che non è possibile essere presenti su uno scacchiere solo. In altre parole, puntare sulla Cina non basta: non solo per un’evidente contro assicurazione, ma anche per utilizzare meglio le interdipendenze. 

Le priorità sono congiuntamente la Cina, l’India e il Giappone: il Giappone per non perdere terreno, la Cina per consolidare l’acquisito e l’India per cominciare a fare sul serio. Nonostante marchi come FIAT e Piaggio fossero già presenti sul mercato indiano, la prima vera ondata d’investimenti italiani in India si è avuta negli anni ‘90.  Da allora le imprese italiane hanno continuato a guardare con estremo interesse al mercato indiano, anche se la loro presenza rimane ancora al di sotto delle potenzialità. Nei venti anni dal 1991 al 2011 l’interscambio commerciale Italia-India è cresciuto di 12 volte, passando dai 708 milioni a 8,5 miliardi di euro. A partire dal 2012 è tuttavia iniziato un trend decrescente, che ha portato il commercio bilaterale a 7,1 miliardi di euro nel 2012 (-16,6%) e a 6,95 miliardi di euro nel 2013 (fonte Eurostat).

Nell’immaginario di molti di noi l’India continua a rappresentare un esempio di spiritualità fortissima che riesce a liberare l’uomo dal travaglio e dalle tensioni dell’Occidente: continuiamo ad avere nel cuore il Siddharta di Hesse, o negli occhi l’immagine dei Beatles alla ricerca del loro santone. Questo colosso cresciuto sotto i nostri occhi ha saputo mantenere un aspetto mite e nell’immaginario europeo è ancora modello e simbolo di serenità e di distacco dalle cose materiali. Non ci spaventa insomma, come invece avviene per la Cina, anzi continuiamo a considerarla depositaria di valori che ci attraggono. Certo, inefficienza burocratica, corruzione e paralisi della magistratura sono tare che incidono pesantemente sulla vita quotidiana, ma non arrivano a modificare il giudizio di fondo. La locomotiva emergente oggi è l’India. Un Paese che, grazie alla congiuntura economica attuale, ha l’occasione di svoltare e, capitalizzando gli errori degli altri Paesi emergenti, di non perdere questa opportunità.

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Ultima modifica 05/02/2016