Expo 1915, l’Italia ottiene il Grand Prix

Sbaragliando la concorrenza di tutti i 110 Paesi partecipanti alla Panama-Pacific International Exposition, il Padiglione italiano, progettato dall’architetto Marcello Piacentini, vinse questo speciale riconoscimento

EXPO 2015 è stato sicuramente un evento di successo che ha visto il nostro Paese e la sua “capitale morale”, Milano, dare - nel complesso - buona prova di sé ed ampie dimostrazioni di saper realizzare e ben gestire un avvenimento che ha coinvolto milioni di persone. Discussioni a parte sul tema “nutrire il pianeta” o meglio sul modo in cui i Paesi l’hanno rappresentato nei vari padiglioni ed avviate le inevitabili discussioni sui destini dell’area, delle strutture e sul loro futuro possibile utilizzo, vogliamo ricordare che il Padiglione del nostro Paese ha riscosso molti consensi per il progetto architettonico, l’originalità degli allestimenti, i materiali utilizzati.  

Vantiamo del resto alle spalle una lunga e solida esperienza sul tema, e lo vogliamo qui ribadire raccontando di una lontana esposizione universale cui l’Italia partecipò, esattamente cento anni fa, con analogo successo: la Panama-Pacific International Exposition di San Francisco del 1915. 

L’occasione ci si è presentata quando siamo entrati in possesso di una rarità bibliografica (ndr: grazie ai buoni uffici di un bibliofilo appassionato, Luigi Bruschi di Milano, che ringraziamo per la cortese disponibilità): una bella e curata pubblicazione (Della cittadella italiana all’Esposizione di S. Francisco) stampata in Roma nel novembre del 1915 e che illustra con un ampio corredo iconografico quella nostra lontana partecipazione . 

L’Esposizione voleva sia celebrare la grande opera d’ingegneria rappresentata dall’apertura del canale di Panama - i cui lavori si erano conclusi nell’agosto del 1914 - sia affermare che la città di San Francisco, reduce dal terribile terremoto di pochi anni prima (1906), era in grado di organizzare e gestire un evento di portata internazionale quale un’esposizione universale.   

Lo sforzo fu di notevole portata e gli americani portarono all’evento il meglio della loro produzione industriale e dell’innovazione tecnologica del tempo: sbalordirono collegando con una linea telefonica diretta New York e San Francisco per far sentire il rumore dell’oceano Pacifico attraverso il continente; realizzarono per l’occasione, su un’area di quasi tre chilometri quadrati, svariati edifici “monumentali” tra i quali primeggiava per dimensioni e spettacolarità un “Albero della Vita” ante litteram: una torre alta oltre centotrenta metri (la “Tower of Jewels”) illuminata completamente di notte da oltre cinquanta fari e, di giorno, da innumerevoli specchi che riflettevano la luce del sole.  

Ogni Paese straniero non fu da meno nel rappresentare al meglio se stesso. Ed anche l’Italia con il proprio padiglione non solo ben figurò ma si distinse in modo particolare. L’organizzazione, i mezzi e, soprattutto, gli uomini messi in campo dal nostro Paese si dimostrarono all’altezza del mandato ricevuto.  

Il progetto fu seguito sin dall’inizio da un giovane architetto romano, Marcello Piacentini (Roma 1881-1960). Figlio d’arte - il padre Pio Piacentini, anch’esso architetto, aveva consentito al figlio di maturare precoci esperienze all’estero in Austria e Germania che gli avevano permesso di avvicinarsi alle esperienze della Secessione viennese ed allo Jugendstil tedesco -, Marcello Piacentini diventerà uno degli architetti più famosi del ventennio fascista e la sua opera, come architetto ed urbanista, discussa in passato alla luce dei suoi legami con il regime, è ora sottoposta ad una rilettura critica che lo colloca tra le figure più significative dell’architettura del Novecento.

Per l’Esposizione di San Francisco la scelta progettuale del giovane Piacentini fu originale e perseguita con determinazione: puntare sulla bellezza e sulla partecipazione del pubblico. “ Io non ho inteso - così scriveva in una sua relazione del tempo - di fare per San Francisco il solito padiglione stile ‘esposizione’.  Volli che la visione italica della grande festa della concorrenza mondiale fosse qualcosa di più complesso e caratteristico. Non dunque un solo corpo di fabbrica, ma più corpi, armonicamente riuniti, e tali da offrire l’aspetto di un angolo, di un cantuccio d’Italia. Non l’ostentazione di un grande fronte per illudere la gente comune, ma l’intimità di un’atmosfera raccolta, come potrebbe essere una piazza, ai lati della quale fossero erette le varie costruzioni, ispirate agli stili più belli che l’Italia abbia espresso. Per modo che i visitatori non debbano, girando l’Esposizione, ‘passare davanti’ all’Italia, come si passerebbe davanti ad una vetrina: ma abbiano ad ‘entrare’ nell’Italia, penetrarla, ed una volta dentro, come isolati dal guazzabuglio di stili e di maniere inevitabili di ogni grande Esposizione, possano religiosamente assaporare tutto il fascino di meravigliosa bellezza di che l’arte italica ha illuminato il mondo”. 

Il progetto trovò naturalmente l’incondizionato appoggio del personaggio che aveva fortemente sostenuto la candidatura di Piacentini: il Regio Commissario e Ministro plenipotenziario del Governo Italiano Ernesto Nathan (Londra 1845-Roma 1921). 

Nato a Londra in un ambiente cosmopolita (il padre era un agente di cambio tedesco naturalizzato inglese, la madre era italiana, di Pesaro, e di origini ebree come il marito), il giovane Nathan, cresciuto con la madre fervente attivista mazziniana, ne raccolse l’eredità (Giuseppe Mazzini ed Aurelio Saffi erano amici dei genitori) e trasferitosi in Italia, a Roma, abbracciò ben presto la carriera politica. Massone, laico e anticlericale, dopo i primi incarichi come consigliere comunale e assessore all’economato ed ai beni culturali nella capitale, ne divenne sindaco nel 1907.  

La sua amministrazione si distinse per il contrasto alla speculazione edilizia - suo il primo piano regolatore della città capitolina - e per la municipalizzazione del trasporto pubblico e dell’energia elettrica. Di grande respiro anche gli interventi sull’istruzione e l’assistenza scolastica. Ma si occupò anche di importanti opere pubbliche: sotto il suo mandato vennero inaugurati il Vittoriano, il Palazzo di Giustizia, la realizzazione della “passeggiata archeologica”, lo stadio Flaminio. 

Un personaggio politico di rilievo ma anche un grande organizzatore e leader Nathan, che - comprese le qualità del giovane Piacentini - gli delegò ampie responsabilità tecniche, artistiche ma anche gestionali ed amministrative. In sei mesi e non spendendo una lira in più di quanto preventivato (800.000 lire), la Cittadella fu realizzata. Squadre di operai, artigiani, decoratori, pittori si prodigarono e il 24 aprile alle ore 10 del mattino, dopo settimane di lavoro febbrile e senza sosta, il padiglione italiano aprì i battenti.  Il successo tributato dal pubblico e dalla commissione incaricata di premiare i migliori padiglioni fu unanime: l’Italia vinse lo speciale riconoscimento per la propria realizzazione (il Grand Prix di architettura) sbaragliando tutti i 110 padiglioni partecipanti tra Stati americani e Paesi esteri.   

Di quei lontani protagonisti di allora vogliamo, in chiusura, ricordare le vicende successive: conclusa l’esperienza americana dell’Esposizione, al rientro in Italia Marcello Piacentini divenne una vera e propria “archistar” del suo tempo, lasciando, come accennato in apertura, negli anni a venire un’impronta significativa nella storia dell’architettura e dell’urbanistica del nostro Paese, mentre l’inesauribile Ernesto Nathan, a 70 anni suonati, si arruolò volontario, partecipando ai combattimenti in prima linea sul fronte italiano, nella prima guerra mondiale.

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Ultima modifica 05/02/2016