L’aviazione italiana dal 1916 a Caporetto

La stampa faceva a gara ad esaltare le imprese più audaci, che avevano poco effetto sulle sorti della guerra, ma che erano fondamentali per la propaganda a sostegno dei prestiti di guerra

Nel 1915 il contrasto tra il Comando Supremo di Luigi Cadorna ed il ministro della Guerra Vittorio Zupelli aveva lasciato il Corpo aeronautico militare (CAM) in una situazione d’incertezza operativa. 
 

Solo nove le scuole di volo, solo quarantasette piloti terminavano il corso ogni mese, e le assegnazioni erano spesso casuali. Folco Ruffo di Calabria venne assegnato alla 4ª Squadriglia (osservatori per artiglieria) e non all’8ª, quella di Francesco Baracca, la sola dotata dei Nieuport 10 in grado d’intimorire i caccia austriaci. 
 

Sul numero 83 della rivista ho ricordato le prime vittorie dei caccia italiani, il 7 aprile 1916; qualche settimana prima (il 18 febbraio) a distinguersi erano stati i bombardieri, in una missione di rappresaglia per l’attacco a Monza avvenuto nel giorno di S. Valentino. I danni erano stati lievi, ma l’impressione notevole: il capoluogo brianteo, un polo industriale, era del tutto privo di contraerea. 
 

Quella volta non bastava ricordare che solo da pochi mesi il CAM del gen. Giovan Battista Marieni stava recuperando i ritardi, e neppure che i piloti al mattino avevano il sole negli occhi, al contrario degli avversari. 
 

Venne individuato un obiettivo d’analoga importanza nelle retrovie nemiche, Lubiana, alla cui volta partirono sei trimotori Caproni 300 Hp, scortati dai caccia di Giovanni Sabelli. I Fokker della base di Aisovizza, la più temuta dagli italiani, scaricarono le mitragliatrici sull’ultimo Caproni della formazione, che con una serie di cabrate riuscì a farsi inseguire sino alle linee italiane. Gli impianti sloveni subirono più danni rispetto ai monzesi, ma la loro difesa fu più efficace; sulla via del ritorno uno dei Caproni riuscì a rientrare, nonostante danni al motore; un altro fu costretto all’atterraggio presso Trieste. 
 

Una forza in crescita
 

Nel corso del 1916 l’aviazione austriaca effettuò 562 incursioni nel territorio controllato dagli italiani, a fronte di 154 effettuate dal CAM; tale dato però non tiene conto dei rapidi progressi ottenuti da Marieni nella seconda parte dell’anno, quando il nuovo governo Boselli riuscì a finanziare il piano industriale che faceva capo all’Aviazione. Cui vennero affidati anche gli idrovolanti della Marina, posta in seria difficoltà da alcuni rovesci subiti in Adriatico. 
 

A fine aprile il CAM riorganizzò i reparti, con l’obiettivo di giungere entro l’anno a disporre di ottantotto squadriglie: 30 di ricognitori, cui lasciare gli aerei più lenti; 38 di caccia, con compiti sia di attacco sia di pattugliamento sulle regioni settentrionali, e 20 di bombardieri. In tale quadro, la caccia assumeva un ruolo essenziale, analogamente a quanto stava avvenendo sugli altri fronti del conflitto. Furono agevolate le riassegnazioni e, ad es., Ruffo entrò nella 70ª Squadriglia caccia, e Pier Ruggero Piccio lasciò il comando d’una squadriglia di Caproni per quello della 77ª. 
 

Furono assegnati ai reparti anche i sottufficiali: il sergente Michele Allasia, ex tornitore, andò alla 37ª, a pattugliare con i Maurice Farman i cieli sopra Bergamo, ma nel marzo 1917 entrò nell’80ª, che operava sull’Isonzo con i Nieuport 11, detti Bébè per le dimensioni ridotte. Egli scelse come insegna un personaggio del Corriere dei Piccoli, Fortunello. 

Un ex soldato semplice del Genio, il piemontese Antonio Reali, passò dai Maurice Farman ai Nieuport, nella 79ª, e adottò per emblema il fez; il suo compagno Marziale Cerutti optò per l’asso di bastoni.
 

I piloti erano giovani che rischiavano ogni giorno la pelle al freddo, a bordo di fragili strutture - fatte di legno, tela e cavi - che i motori sempre più potenti rendevano difficili da governare; un certo grado di “guasconaggine” veniva accettata dai comandanti ed esaltata dalle riviste di propaganda, come “Lo Sport Illustrato e la Guerra” dei fratelli Morgagni.


 

Aerei e affari
 

Dopo Lubiana l’ex comandante del CAM Giulio Douhet, “silurato” nel 1914 perché aveva contravvenuto all’ordine di non intervenire nel salvataggio della Caproni, fece di tutto per tornare all’aviazione. Nei circoli militari si riteneva uno spreco lasciare il col. Douhet presso la XII Armata, di stanza in Carnia. Il suo comandante, Clemente Lequio, scrisse al gen. Carlo Porro, il vice di Cadorna, il quale comunicò a Marieni che nel caso fosse pervenuta una richiesta esplicita da parte del CAM, il Comando Supremo non avrebbe ostacolato il ritorno di Douhet. Il “no” di Marieni fu immediato. 
 

Nei mesi seguenti Douhet fece conoscere le proprie critiche sulla conduzione dell’Esercito a Leonida Bissolati, un anziano socialista interventista cui Boselli aveva affidato un ministero senza portafoglio coll’obiettivo di rilanciare il ruolo decisionale dei politici nella gestione della guerra, sempre più dispendiosa e problematica. Infatti, Cadorna s’era fino a quel momento riservato ogni decisione strategica, anche nei rapporti con gli Alleati. La reazione del comandante in capo fu immediata: Douhet venne arrestato il 16 settembre con l’accusa d’aver rivelato “segreti militari”; il processo fu fatto celebrare non a Udine, sede del Comando, ma nella piccola Codroipo, in pratica a porte chiuse; l’ufficiale dovette scontare un anno di reclusione nella fortezza di Fenestrelle.
 

Intanto Marieni aveva dato un forte impulso agli appalti aeronautici; il caso esemplare fu la nascita della F.lli Pomilio, una start-up cui fu il CAM a fornire, di fatto, sia parte del capitale sia i progettisti. 
 

Il primo modello realizzato, il ricognitore armato PC1, dotato del propulsore Fiat A 12 da 260 Cv, si rivelò instabile; le cose migliorarono con il successivo Pomilio PD, in produzione dal 1917. Oltre alla Fiat, beneficarono di vantaggiosi contratti con il CAM la Macchi e la Caproni (anch’essa ormai semipubblica), oltre alla Siai di Sesto Calende, specializzata negli idrovolanti. Il colosso siderurgico Ansaldo nel corso del 1917 accettò di sviluppare i progetti di tre “protetti” di Marieni (Rodolfo Verduzio, Umberto Savoja e Celestino Rosatelli) per dotare il CAM di un nuovo caccia monoposto, lo S.V.A. 5, e di un ricognitore-bombardiere ad ampio raggio, lo S.V.A.10, con cui D’Annunzio l’anno seguente avrebbe compiuto il raid di propaganda su Vienna.  



Le imprese audaci
 

La stampa faceva a gara ad esaltare le imprese audaci, che avevano un effetto limitato rispetto alle sorti della guerra, ma fondamentali per la propaganda a sostegno dei prestiti di guerra.
 

Nella primavera 1917 la rivista dei Morgagni ottenne dalla Pirelli la sponsorizzazione di un concorso con premio in denaro per il pilota da caccia col miglior palmares di duelli vinti. I più quotati parevano Baracca, Luigi Olivari o Ruffo, ma a sorpresa in poche settimane si mise in luce il giovane Flavio Torello Baracchini, classe 1895, che dopo essersi fatto le ossa sui ricognitori Blériot della 26ª e sui Nieuport della 70ª era pervenuto all’81ª, dove poté decorare con la sua insegna (uno scudo nero) un Nieuport 17, a bordo del quale aveva raffinato una tecnica audace e spettacolare: saliva molto in alto, circa 5 mila metri. e poi attaccava in picchiata, sparando raffiche brevi e ravvicinate, così da poter colpire anche più d’un avversario. I giornali lo soprannominarono D’Artagnan dell’aria; a luglio ottenne il trasferimento alla 76ª, la quale aveva in dotazione gli Spad S VII francesi, veloci in risalita e quindi adatti alla tecnica di Baracchini, il quale tuttavia l’8 agosto fu ferito mentre abbatteva il 13° avversario e rimase lontano dal fronte sino al marzo 1918, ma rimase sempre in contatto con il coetaneo Gastone Novelli, anche lui passato dall’81ª alla 76ª.
 

In risposta al concorso Pirelli, Il Secolo Illustrato lanciò un concorso “per il miglior bombardiere d’Italia”; in questa specialità s’era distinto l’equipaggio formato da Maurizio Pagliano e Luigi Gori, protagonisti di diverse azioni, anche notturne, ai danni delle piazzeforti austriache sulla costa dalmata e a Pola. In alcune di queste ospitarono sul loro Caproni, contrassegnato dall’asso di picche, il poeta-vate Gabriele D’Annunzio, la cui attività di combattente trovava sempre ampio spazio sui giornali, a partire dal Corriere della Sera. E fu forse proprio per questo che il Secolo assegnò il premio a Luigi Ridolfi, che poteva vantare un primato in termini di ore di volo, sei mila, e di numero di missioni, sessantacinque negli ultimi otto mesi.
 

Casi analoghi a quello di Ridolfi indussero un compagno di partito di Bissolati, Eugenio Chiesa, a preparare ben cinquantadue interrogazioni parlamentari. Se davvero in Italia si era passati dalla produzione complessiva di 593 velivoli e 875 motori nel primo semestre del 1916 ad oltre 800 motori e quasi 700 apparecchi in ciascun mese tra il giugno e l’ottobre 1917 (dati CAM), come mai in prima linea non si vedevano tutti questi aerei in azione, e c’erano piloti costretti a turni massacranti?
 

Mentre Chiesa attendeva la riapertura della Camera dopo la pausa estiva, all’indomani della sanguinosa battaglia di fine agosto nel settore Bainsizza-Hermada (nota come 11ª Battaglia dell’Isonzo) il CAM, dopo avere rivendicato il primato dell’impiego in linea di ben 275 apparecchi, sosteneva che in quel momento l’Italia disponeva di: 1031 apparecchi pienamente operativi, 757 tenuti di riserva, 734 in riparazione, e 1439 assegnati alle scuole di volo, il cui numero era salito a 16; esse erano frequentate da 2366 allievi, 878 dei quali ogni mese ottenevano il brevetto.
 

Questi dati diedero origine a nuovi sospetti: possibile che gli aerei-scuola superassero il numero di quelli utilizzati al fronte? Per spiegarlo ambienti del CAM fecero riferimento, in seguito, a due informazioni difficili da confutare: nel 1917 a Foggia erano stati istruiti circa 500 aviatori statunitensi (Gli USA erano entrati in guerra da gennaio) e “diverse migliaia” di motori di produzione italiana sarebbero stati ceduti a inglesi e francesi. 
 

Solamente nel Dopoguerra sarebbe emersa una serie di scandali legati alle forniture all’Aviazione; in quel momento la clamorosa disfatta di Caporetto determinò un completo cambio di prospettiva: tra la fine di ottobre e metà novembre Boselli fu sostituito da Vittorio Emanuele Orlando, Cadorna da Armando Diaz e Marieni proprio da Chiesa, cui il governo attribuì l’inedito ruolo di Commissario all’Aviazione; a lui dal gennaio del 1918 il nuovo Capo di Stato Maggiore affiancò Douhet, richiamato in servizio. Fu con questi uomini, e con i fondi straordinari concessi dal nuovo ministro del Tesoro, Francesco Saverio Nitti, che i piloti italiani diedero il loro contributo d’azione e, spesso, di sangue, all’ultimo anno del conflitto. 

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Ultima modifica 25/02/2016