Cesare Battisti, “martire” della Grande Guerra

Il patriota trentino venne fucilato il 12 luglio 1916 nella Fossa della Cervara del Castello del Buonconsiglio. Politico socialista, diresse giornali nella Trento asburgica e fu deputato al Parlamento di Vienna

A fine maggio 2016 l’esercito italiano subì un attacco in profondità: la Strafexpedition (Vendetta). Il 28 maggio cadde Asiago; il 4 giugno il Comandante supremo, Luigi Cadorna, esonerò il generale Clemente Lequio, e lo sostituì con il generale Ettore Mambretti, giunto all’Altipiano con la neo-costituita 5a Armata, cui erano stati aggregati alcuni reparti già impiegati nelle prime battaglie dell’Isonzo.

Vuoi per il numero dei difensori, vuoi per l’ offensiva russa in Galizia, gli austriaci dovettero fermarsi al Monte Pasubio. Il 18 giugno, mentre s’esauriva la Strafexpedition, entrava in carica il nuovo governo di unità nazionale, il cui ministro degli Interni, Vittorio Emanuele Orlando, era un avversario di Cadorna. Onde evitare intromissioni politiche, il Comandante ordinò a Mambretti una controffensiva immediata, senza preoccuparsi di studiare la nuova linea del fronte, ancor più favorevole per gli austriaci rispetto a quella del 1915. Sia il 30 giugno che il 6 luglio le truppe alpine vennero mandate all’assalto sull’Altopiano di Asiago, con gravi perdite e senza risultati decisivi. Il 10 luglio quattro compagnie del Battaglione Vicenza tentarono un colpo di mano sul Monte Corno di Vallarsa, nel massiccio del Pasubio; a causa dell’azione tardiva e inefficace del 69° e del 71° battaglione di fanteria, i quali avrebbero dovuto occupare in quota i valloni laterali del Monte Corno, gli alpini del tenente Cesare Battisti e del sottotenente Fabio Filzi, completamente circondati, dovettero arrendersi dopo alcune ore d’accaniti combattimenti. I due ufficiali vennero riconosciuti, accusati di tradimento (erano ancora, formalmente, cittadini austriaci) e inviati al castello di Trento, per esservi processati e giustiziati. Il fallito attacco al Monte Corno s’inseriva in una controffensiva già compromessa: ciò nondimeno Mambretti il giorno seguente, 11 luglio, mandò all’assalto altre brigate nel settore del Monte Zebio, dove in tre giorni quasi quattro mila italiani furono messi fuori combattimento.

Da parte italiana i due irredentisti catturati sul M.te Corno cominciarono ad essere definiti “martiri” solo dopo che la stampa nemica aveva dato ampio risalto, anche fotografico, al processo-farsa e alla loro esecuzione, il 12 luglio, nella Fossa della Cervara del Castello del Buonconsiglio, dove il 19 maggio era stato fucilato un altro irredentista catturato dagli austriaci, l’artigliere Damiano Chiesa, figlio di Gustavo, deputato liberale di Rovereto alla Dieta del Tirolo, cha aveva sede a Innsbruck.

La tragica scoparsa dei due ufficiali alpini suscitò notevole commozione in Italia; alla vedova di Battisti giunsero 10 mila lire dalla compagnia assicurativa triestina RAS, e venne assegnata una medaglia al valore alla memoria anche al cognato di Battisti, Mario Soini, di Ala, caduto il 20 maggio mentre combatteva tra le fila italiane. Al minore dei quattro fratelli Filzi, Fausto, giunto da Buenos Aires “per prendere il posto di Fabio”, fu consentito d’arruolarsi in artiglieria; egli morì l’8 giugno 1917, dilaniato dall’esplosione d’un deposito di bombe sul Monte Zebio.

Ritratto di un “martire” laico

Cesare Battisti (nato nel 1875) e Fabio Filzi (nato nel 1884) s’erano conosciuti a Rovereto, dove nel 1892 dall’Istria s’era trasferito il padre di quest’ultimo, per dirigere l’imperial regio liceo.

A Rovereto la famiglia materna di Cesare era stimata, per le ascendenze nobiliari e perché lo zio, Luigi Fogolari, aveva subito una condanna a morte per aver cospirato al fine di riunificare il basso Trentino al Veneto ed era stato graziato solo perché era un sacerdote. L’economia di Rovereto, terra di vigneti, era entrata in crisi dopo la guerra del 1866, che aveva provocato una maggior presenza di truppe e caserme nella zona e aveva ridotto i tradizionali sbocchi commerciali verso sud. I giovani di buona famiglia non potevano iscriversi alla storica università di Padova ma dovevano recarsi sino a Innsbruck, in mezzo alle valli tirolesi.

Per Cesare tale dilemma non si pose: il padre, Cesare senior, commerciante, s’era reso conto delle sue simpatie per l’irredentismo e aveva deciso d’iscriverlo all’Istituto Superiore di Graz, una scuola d’élite per gli studi economico-giuridici, dove si formavano le nuove leve della burocrazia imperiale. Tuttavia la Graz di fine ‘800 non poteva definirsi una tranquilla città universitaria: lo sviluppo industriale anche qui aveva provocato tensioni sociali, in primo luogo a causa della carenza d’abitazioni decenti e non sovraffollate per gli operai. Il giovane trentino iniziò a frequentare un gruppo d’ispirazione marxista, e insieme ad alcuni compagni fondò un giornale che venne subito fatto chiudere dalla polizia. Il padre, onde evitare un danno all’immagine della ditta, accettò la proposta del giovane di proseguire gli studi in Italia, e lo iscrisse alla facoltà di Lettere di Firenze.

Non poté tuttavia impedire al figlio di mantenere i contatti con i primi socialisti trentini: nel febbraio 1895, a vent’anni, Cesare fece stampare il primo numero della Rivista popolare trentina , che venne immediatamente soppressa. Egli non si perse d’animo: in primo luogo si pose a capo della Società degli studenti trentini, il cui programma – ottenere l’apertura d’una facoltà universitaria a Trento – era largamente condiviso tra quanti criticavano il fiscalismo e il dirigismo di Vienna, anche e soprattutto nella classe media; nel 1896, mentre proseguiva la spola tra il Trentino e Firenze, dove s’era fidanzato con Ernesta Bittanti (1871-1957), fondò il settimanale d’ispirazione socialista L’Avvenire del lavoratore . L’anno seguente si laureò in Lettere, tuttavia in quel momento i suoi interessi s’erano spostati verso il campo geografico ed etnografico, anche perché avevano avuto un discreto successo di pubblico alcune sue Guide turistico-storiche di Trento e dei maggiori centri della regione, che percorreva spesso, unendo alle ragoni di studio quelle di propaganda. Nel 1898, sempre a Firenze, ottenne una seconda laurea in Geografia; ovviamente, la tesi era sul Trentino. Poco dopo il ritorno a Trento, anche su pressione del fratello Giuliano (1868-1921), cui era molto legato, Cesare decise di regolarizzare il rapporto con Ernesta, e la sposò nell’agosto 1899. Dal matrimonio nacquero tre figli: Luigi nacque nel 1901, l’anno della pronuncia del cosiddetto “giuramento mazziniano”; seguirono Livia, nel 1907, e Camillo nel 1910

Col nuovo secolo iniziarono le pubblicazioni del nuovo organo dei socialisti trentini, il quotidiano Il Popolo, di cui Cesare qualche anno dopo divenne gerente, chiamando a collaborare per alcuni mesi, nel 1909, l’allora fuoriuscito attivista Benito Mussolini. I rapporti tra i due giornalisti si guastarono abbastanza presto: il futuro Duce poneva al centro della propaganda socialista un anticlericalismo radicale, mentre Battisti, specie dopo la breve esperienza della carcerazione ad Innsbruck, nel 1904 (s’era espresso contro il servizio militare), riteneva opportuno distinguere caso per caso. Infatti il vescovo di Trento nominato in quell’anno, monsignor Celestino Endrici, aveva fama di progressista, quindi poteva essere un avversario sul piano politico, ma un alleato quando faceva emergere l’ottuso preconcetto anti-italiano che caratterizzava l’azione di molti dei funzionari stipendiati da Vienna. A ciò si aggiunga che Battisti riteneva confine naturale del Trentino Salorno, il centro ita liofono più settentrionale; Mussolini, invece, sosteneva che il Trentino doveva includere lo spartiacque alpino, cioè il passo del Brennero. Nel 1911 Battisti subentrò, al Parlamento di Vienna, a un deputato socialista dimissionario.

Nell’aprile 1914 venne eletto deputato per Trento alla Dieta tirolese. In entrambi i casi la qualifica di deputato non fornì a Battisti strumenti per un’azione più incisiva, anche a causa del clima politico dell’Impero, dove si moltiplicavano i contrasti tra le diverse etnie, in primo luogo per quanto riguarda il trattamento fiscale: la minoranza “italiana” era considerata dall’opinione pubblica austriaca tra le favorite.

 

All’armi! 

Nell’agosto 1914, subito dopo l’inizio del conflitto tra Austria e Serbia, Battisti lasciò Trento, con la scusa di andare a trovare la sorella Maria, sposata e residente a Milano. L’8 agosto fu tra i firmatari d’un appello che chiedeva al re d’Italia d’impegnarsi onde farsi cedere il Trentino, quale “compensazione” (prevista nelle clausole della Triplice Alleanza) dell’espansione austriaca nei balcani. Nei mesi seguenti, pur non riavvicinandosi – ufficialmente – a Mussolini (il quale due anni prima era stato espulso dal PSI per essersi dichiarato favorevole alla guerra in Libia), Battisti condivise la campagna interventista di alcuni leader storici del partito, tra cui Leonida Bissolati, preoccupati per le conseguenze politico-ideologiche d’una eventuale vittoria degli “unni”, che avevano aggredito il neutrale Belgio.

Battisti si fece conoscere quale energico oratore nei teatri di molte città del Regno; il momento più intenso della sua personale campagna interventista fu la sera del 17 maggio 1915, quando s’accompagnò a Gabriele D’Annunzio a incitare la folla nella piazza del Campidoglio. 

Pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra all’Austria, il ministro della Guerra, Vittorio Zupelli, irredentista per nascita e per convinzione, autorizzò le autorità militari ad arruolare anche i “profughi” giuliano-dalmati e trentini, anche se con la precauzione di fornire loro generalità fittizie; ad esempio a Damiano Chiesa (già renitente alla leva austriaca per la classe 1894) fu attribuito il nome “Mario Angerlotti”. Il 29 maggio Battisti si presentò a Milano alla sede del 5° Reggimento Alpini; soldato semplice nel battaglione Edolo, Battisti passò ben presto dall’Adamello ai dintorni di Rovereto, dove poté far valere le sue conoscenze geografiche. Al processo Battisti, già pesantemente dileggiato da alcuni trentini in via Borgonovo, cercò invano d’ottenere il trattamento previsto dalle convenzioni internazionali per i soldati catturati in tenuta da combattimento; la Corte Marziale, presieduta da Carlo Issleib, decise di rivestirlo in grezzi abiti civili, forse per far valere la tesi che il “deputato traditore” fosse anche una spia. A guerra conclusa i nomi dei “martiri” Chiesa, Battisti e Filzi vennero incisi nel Monumento alla Vittoria di Bolzano.

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Ultima modifica 23/12/2016