Il tornio che ha costruito un futuro

Quando parli con Claudio Ongis ti colpiscono la sua calma e la sua determinazione. Racconta la sua vita e il suo successo imprenditoriale con serenità, quasi come fosse stata una passeggiata. Ma dalle sue parole traspare anche una forza di volontà unica.

Senza la quale difficilmente un ragazzo di buone speranze, ma senza un soldo, sarebbe riuscito a creare un gruppo solido, con ramificazioni internazionali e ormai diversificato, come la CMO di Cesano Maderno.

Claudio Ongis, quando è iniziata la sua avventura lavorativa?

Molto presto. Sono nato a Bergamo in una famiglia di contadini mezzadri. Per generazioni, i miei parenti hanno dissodato la terra con immensi sacrifi ci e vivendo in povertà. Mio padre non vedeva prospettive in quella vita e perciò, quando avevo un anno e mezzo, ha deciso di abbandonare la campagna e di andare a lavorare in fabbrica. Si è trasferito in Brianza dove è stato assunto prima alla Singer di Monza e, poi, all’Autobianchi di Desio. Lavorando come operaio (e nel tempo libero come muratore), mio padre è riuscito a costruirsi una casa e ad aprire un’osteria. 

In quel momento, posso dire, è iniziata la mia vita lavorativa. Andavo a scuola e, allo stesso tempo, davo una mano a mia mamma nell’osteria. Finite le scuole medie, sono diventato apprendista. Ho fatto veramente di tutto: dal lucidatore al saldatore, al tornitore.

La sera frequentavo i corsi di avvio al lavoro dell’Itis. Lì ho imparato a fare il meccanico. Insegnamenti che mi hanno accompagnato tutta la vita.

 

Quando ha deciso di mettersi in proprio?

Alla fine degli anni Settanta, per ragioni economiche, i miei sono tornati a Bergamo. Ma la mia vita era qui in Brianza e non volevo trasferirmi. Grazie a conoscenze, nel 1978 sono riuscito a trovare un posto come tornitore all’Omega, un’azienda di Desio che produceva macchine per stampare viti. Quattro giorni prima di compiere 22 anni, mi sono sposato e stabilito a Desio.

Dal 1978 al 1983 ho lavorato all’Omega e, quando uscivo di fabbrica, in una bottega artigiana. Nel 1982 l’Omega è entrata in crisi. L’azienda non aveva liquidità e rischiava di non riuscire a pagare né gli stipendi né le liquidazioni. Io non volevo farmi travolgere dalla chiusura e trovarmi senza lavoro. Sono andato a parlarne col mio capo che però mi ha sconsigliato di andarmene perché l’azienda non aveva abbastanza fondi per pagarmi le spettanze. In quel momento mi è venuta un’intuizione: se invece della liquidazione mi facessi dare il tornio su cui lavoro? Lo avrei potuto mettere in cantina e, con quello, andare avanti da solo. Anche perché, nel frattempo, avevo conosciuto qualche cliente dell’Omega e avevo capito che un’eventuale chiusura dell’azienda li avrebbe messi in diffi coltà. Così ho preso la palla al balzo e mi sono messo in proprio. Ero sposato da tre anni, avevo una bambina di due anni e un tornio. Un bel rischio, ma sentivo che ce l’avrei fatta. Col tornio, mi sono messo a produrre le matrici per le viti.

 

Ma com’è stato possibile trasformare una bottega artigiana in un’industria? 

Ci ho messo molto impegno, ma alcune persone mi hanno dato un grande aiuto. Penso, per esempio, ai fratelli Gaiani di Desio che vendevano macchine utensili. La prima volta che mi sono presentato da loro gli ho detto: «Ho un tornio e ho bisogno di un po’ di attrezzatura, ma non ho contanti per pagarvela, mi aiutate?». Pietro, il più vecchio dei due, mi ha detto: «Non preoccuparti, l’attrezzatura te la diamo.

Ce la paghi quando hai i soldi». Quell’apertura di credito è stata fondamentale per me e ai due fratelli Gaiani sarò sempre riconoscente. Così come sono molto riconoscente nei confronti di un funzionario di banca: il signor Tadoldi. Era il 1985 ed ero riuscito a prendere lavoro da un’azienda di Cormano, ma dovevo attrezzarmi. Soldi non ne avevo. Mi sono rivolto alla banca e il direttore mi ha detto: «La tua attività procede bene, posso darti una mano». Mi ha fatto credito per 800mila lire. Una cifra non astronomica, ma con quei soldi sono riuscito ad acquistare una fresa e l’attrezzatura per iniziare a produrre i rulli per i nastri trasportatori. Tadoldi mi faceva credito, ma veniva spesso a controllare che cosa facessi nella mia cantina. Molte volte me lo sono trovato in offi cina la sera tardi. Voleva essere sicuro che i soldi della banca fossero bene impiegati. Ma alla fi ne ha imparato a fi darsi. Tanto che, quando Desio ha dato vita alla zona industriale lui mi ha chiamato e mi ha detto: «Guarda che il Comune di Desio creerà una zona industriale e io ho già fatto domanda a tuo nome». «A mio nome? - gli ho risposto -. «Come a mio nome?».

Non ci credevo e l’ho presa come una boutade. Sei mesi dopo mi è arrivata a casa una lettera del Comune in cui mi si chiedeva di pagare gli oneri. Tadoldi, che credeva in me, mi ha anticipato i soldi necessari per pagare gli oneri di urbanizzazione e per costruire il capannone. Nel 1991 ho così inaugurato la prima sede «fuori terra» della mia azienda.

 

Da quel momento inizia una nuova vita per la sua azienda...

Sì, arrivano nuovi e più importanti clienti e l’attività si espande. Non è tutto rose e fiori. Alcuni vecchi clienti che volevano lavorassi per loro quasi in esclusiva, mi hanno abbandonato e mi hanno messo un po’ in difficoltà. Ma questo non ha fermato la mia attività.

Dal 1991 al 1999 ho acquistato altri due capannoni, triplicando l’area a disposizione. Tutto questo sempre grazie anche alla fiducia di Tadoldi che ha continuato a garantirmi i finanziamenti e la possibilità di espandermi.

Fino al 1995-1996 abbiamo continuato a lavorare nel comparto della meccanica generale, facendo un po’ di tutto: dalle piscine di raffreddamento in azoto per i laser militari, ai rulli per i trasportatori, ai manubri di guida per i transpallet, ecc. Ma nel 1995 arriva una nuova svolta...

 

Di che cosa si tratta?

Nel 1995 ho acquistato dai fratelli Gaiani il primo centro di lavoro, cioè una fresa a controllo numerico.

Dopo sei mesi, i Gaiani ne hanno venduta un’altra a un anziano imprenditore di Busnago e gli stessi Gaiani mi hanno chiesto di aiutarlo a farla funzionare. Per un anno, la sera sono andato gratuitamente a Busnago a programmare la fresa di questo imprenditore. A un certo punto non ce la facevo più così gli ho detto che non sarei più andato. Lui, però, forse anche in segno di riconoscenza, mi ha dato il numero di telefono dell’Abb di Bergamo e mi ha detto di cercare un certo Salvetti. L’ho chiamato e, nel giro di tre giorni, mi ha fissato un appuntamento. Una volta lì, mi ha chiesto che tipo di lavoro facessi e poi mi ha dato il disegno di un pezzo in rame. Con un po’ di sufficienza, gli ho risposto che, lavorando con acciaio durissimi, era banale per me trattare il più malleabile rame. Ho portato a casa il disegno e ho cercato di realizzarlo.

È stata un’esperienza disastrosa perché, a dispetto di quanto credessi, lavorare il rame è difficilissimo.

Bisogna adottare una tecnica particolare. Dopo due mesi di lavoro, sono però riuscito a realizzare il pezzo e l’ho portato a Salvetti. È stata la svolta della mia vita, da quel momento sono entrato nel settore elettromeccanico. Questa svolta è legata alla mia perseveranza nel voler lavorare il rame, materiale molto strano, ma anche alla benevolenza di Salvetti che mi ha permesso di lavorare. Da qual momento ho ricevuto sempre più commesse dall’Abb. E poi, specializzandomi sempre di più, oltre all’Abb, ho iniziato a lavorare anche per altri clienti.

 

L’Abb le ha anche permesso di crescere ulteriormente. Come?

Alle soglie del 2000, la Abb mi ha chiamato e mi ha detto: «Dobbiamo esternalizzare l’officina meccanica, vorreste rilevarla voi?». Per me era un grande salto. Allora avevo tre capannoni, una cinquantina di dipendenti e fatturavo circa due milioni di euro. Le officine di Abb avevano un capannone di quasi diecimila metri quadrati, fatturavano 6 milioni di euro e avevano più di 170 dipendenti (ma producevano perdite per un milione di euro). I dubbi erano tanti. In quel frangente, però, ho incontrato un’altra persona che mi ha aiutato: Davide Mariani, un advisor finan ziario. Grazie a lui, sono riuscito a portare a termine la trattativa e, da quel momento, è diventato mio socio.

Dopo sei mesi Abb ci ha proposto di acquistare un’altra società che si occupava di stampaggio di elettrici e poi, nel 2003, un’altra società ancora che curava la manutenzione di impianti di alta tensione.

Probabilmente lavoravamo bene e ispiravamo fiducia e ci venne offerto di acquistare altre due realtà industriali in Italia. La mia società, che era una piccola realtà, stava crescendo esponenzialmente: nel 2005 avevamo 240 dipendenti e fatturavamo 35 milioni di euro. Ma non ci siamo fermati lì. Negli anni successivi abbiamo deciso di aprire Tunitek in Tunisia e Kovitec in Slovacchia. Filiali che oggi sono gestite da mia figlia Monica.

 

Quando avete deciso di investire nel settore turistico? 

Nel 2012 mia figlia Deborah ha terminato gli studi, ma non si sentiva portata per seguire il settore meccanico.

Insieme abbiamo così deciso di investire in un Resort a Sirmione sul Lago di Garda. Non ci eravamo mai occupati di turismo, ma abbiamo pensato che fosse un buon modo per diversificare il nostro business. I risultati sono stati subito positivi e abbiamo deciso di andare oltre. Nel 2013 abbiamo costruito un hotel a Collegno (To) e successivamente ne abbiamo acquistato un altro a Grugliasco (To).

 

Oggi com’è strutturato il vostro gruppo?

Il core business è sempre la lavorazione e produzione di contatti elettrici (in rame e nelle leghe di rame) per media e alta tensione. Questo comparto pesa per circa il 60% del nostro fatturato. Sta poi con Airwork, prendendo forma una sorta di produzione a catalogo di componenti (cilindri, valvole, ecc.) per l’automazione pneumatica. Questo comparto vale il 20-25% del fatturato. L’ultimo ramo è quello turistico-alberghiero che vale un 15% del fatturato (al quale è associata anche la gestione del nostro patrimonio immobiliare). Abbiamo 300 dipendenti suddivisi nelle sedi di Cesano Maderno, Bergamo, Lodi, Carate Brianza, Torino. All’estero abbiamo unità produttive in Tunisia, Slovacchia e Francia. I nostri clienti sono le cinque sorelle, cioè i grandi gruppi internazionali che controllano il settore elettromeccanico: Abb (Svezia), Alstom (Francia), General Electric (Usa), Siemens (Germania) e Schneider (Francia). Esportiamo quindi il 100% della nostra produzione.

 

Avete subito la crisi? 

Abbiamo avuto problemi, ma non di carattere produttivo quanto, piuttosto, legati all’oscillazione del prezzo del rame. Il rame ha sempre avuto un prezzo altalenante. Nel 2008 però è passato da 6 a due euro al chilo. Noi avevamo i magazzini pieni di rame acquistato a sei euro e ci siamo trovati con le scorte svalutate. Questo ci ha messo in difficoltà dal punto di vista economico-finanziario. Anche se, grazie alla fiducia accordataci dalle banche, siamo riusciti a uscire da quel momento difficile. E oggi guardiamo al futuro con fiducia.

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Ultima modifica 09/01/2017