Bollate, tra acque, gelsi e polveriere

Il territorio di Bollate, come molti dei comuni prossimi a Milano (una delle sue cascine storiche, la Triulza, era inclusa nell’area dell’Expo 2015) negli anni ‘60 del secolo scorso ha conosciuto un notevole incremento edilizio.

L’aumento delle case, dei capannoni e dei residenti è stato il volano alla scissione Baranzate, la frazione a sud del paese dove tale fenomeno era stato ancor più marcato. La fi ne del secolo scorso ha sancito la rinnovata autonomia per questo piccolo comune, che dal 1869 aveva mal digerito l’aggregazione ad un centro il cui sviluppo è sempre stato condizionato in negativo dalla prossimità alle sterili Groane.

Il paese si trova sulla fascia delle risorgive, il punto dove la faglia freatica era tanto prossima al piano di campagna da far emergere le teste dei fontanili, sfruttati sin dal Medioevo per irrigare prati stabili. Ciò, naturalmente, fi n dove la pendenza lo consentiva: più in alto, il suolo quasi impermeabile delle Groane impediva la dispersione delle acque meteoriche e favoriva la formazione di vari torrenti.

L’insediamento del paese risale all’epoca romana; le risorse fondamentali erano il legname ed il bestiame, specialmente ovini e suini, oltre alla cacciagione e alla raccolta di frutta e miele. Nel Medioevo qui, come in tutta la Lombardia, erano testimoniati insediamenti monastici, ed in particolare un convento Agostiniano, S.

Maria del Bosco, nella frazione di Ospiate. Nel XV e XVI secolo gran parte delle terre appartenevano in prevalenza a famiglie già potenti nella zona, come gli Arese, o favorite dai signori di Milano, come i Seccoborella; di entrambe rimangono in paese le residenze; accanto a quella degli Arese, la bella chiesa secentesca dedicata alla Madonna della Neve. All’epoca altre famiglie investivano nella costruzione delle cascine. Una delle maggiori, realizzata dai Dugnani a nord est del centro, non a caso venne denominata Cascina Nuova.

Dal secolo seguente s’intensifi cò in tutta la zona la trasformazione di antichi casini di caccia nelle "ville di delizia", tra cui la celebre villa Arconati Sormani di Castellazzo.

Le ville, utilizzate soprattutto nei mesi estivi, oltre che alla villeggiatura e all’ostentazione d’una "degna accoglienza" ad altri nobili e ad ospiti illustri, servivano quale punto di raccolta per i bachi da seta. In effetti tra il XVII ed il XIX secolo, grazie anche al progressivo sviluppo della rete stradale, vennero piantati migliaia di gelsi. Il maggior impianto bollatese per la trattura della seta entrò in funzione piuttosto tardi, verso il 1890; in precedenza la produzione era svolta, come in molti altri centri, in piccoli opifi ci dotati di bacinelle e acqua bollente.

Un’altra attività intrapresa con un certo successo nelle Groane fu quella delle fornaci per mattoni e laterizi: non mancavano né il legname per alimentarle, né gli strati superfi ciali d’argilla ferrosa.

Dopo la Grande Guerra la fi landa di Bollate non resse la concorrenza delle fi bre artifi ciali, ottenute con procedimenti chimici con un’alta percentuale di residui inquinanti.

Dal 1925 Eugenio Pio Borroni, divenuto proprietario dell’opifi cio, vi avviò la produzione di mattoni e, nel Secondo Dopoguerra, di collanti chimici, cui fecero seguito, negli anni del baby boom, bambole e trenini.

Agli inizi di questo secolo il nipote Eugenio, appassionato collezionista, ha ristrutturato la Fabbrica Borroni e l’ha destinata ad esposizione permanente d’opere di pittori italiani contemporanei, aperta a visite gratuite previo appuntamento.

 

Le polveriere e le Guerre

Una delle prime aziende chimiche ad insediarsi nel territorio di Bollate fu la milanese Carlo Erba: nel 1880 l’ormai anziano fondatore aveva pensato di trasferirle in un luogo più facile da controllare rispetto allo stabilimento aperto vent’anni prima nell’ormai semi-centrale via Marsala. Secondo la vulgata locale egli sperava anche di piantare in loco una qualità di tamarindo adatta al clima lombardo, così da diminuire il costo dell’importazione dall’India d’uno dei prodotti di maggior successo della ditta. Alla sua morte, nel 1888, il fratello minore Luigi Erba, erede universale, mancava d’esperienza gestionale (era un musicista) ed era propenso ad accontentare il desiderio di molti dipendenti di rimanere nella periferia nord di Milano.

Fu lo studio legale Barzanò & Zanardo, specializzato nella tutela di brevetti industriali, a trovare una produzione adatta al moderno impianto chimico: le cartucce per fucili e pistole. Analogamente a quanto accaduto nel 1881 alla Edmond Frette &C, cioè la ri-capitalizzazione da parte di alcuni imprenditori di Monza d’una ditta in origine francese, nel 1884 s’era costituita a Milano la “Leon Beaux & c.”. Inizialmente essa realizzava munizioni per la carabina Flobert, “adatta anche alle signore tiratrici”, ma dopo l’insediamento nell’ex opificio Erba, ed il successo ottenuto all’Expo di Milano del 1906, la produzione si orientò su cartucce per le carabine Winchester e su quelle di calibro adatto ad una delle maggiori produttrici di armi europee, l’austriaca Steyr. 

Consapevoli dei rischi connessi alla lavorazione della polvere da sparo, i dirigenti della Beaux avevano acquisito un vasto appezzamento di bosco a Bollate, in zona Caloggio, e vi avevano realizzato una polveriera che sfruttava la lieve pendenza come terrapieno naturale. 

Oggi il bosco del Caloggio è diventata un’oasi del WWF, mentre la sorte della vecchia fabbrica, chiusa dal 1975, rimane incerta: la posizione è centrale, ma chi si accollerà il costo della bonifica ? Nel 1914 l’esempio della Beaux venne seguito, su scala ben maggiore, dal Regio Esercito, che requisì 36 ettari nel cuore delle Groane, tra Ceriano e Solaro, e realizzò una grande polveriera dove vennero trasferiti parte degli arsenali dei numerosi reparti di stanza a Milano, onde evitare i rischi di eventuali incursioni aeree nel corso dell’imminente conflitto mondiale.

A guerra iniziata, il crescente fabbisogno di bombe e di esplosivi indusse gli alti comandi ad aprire nuovi opifici. 

Dato che la Beaux lavorava già a pieno regime, si decise d’insediare un centro di produzione alla ex fornace Bonelli, collegata alla piccola stazione Torretta di Castellazzo. L’attività iniziò ufficialmente nel novembre 1916, dopo una sommaria ristrutturazione del vecchio impianto. Fin dall’inizio la manodopera fu prevalentemente femminile, dato che quasi tutti gli uomini erano al fronte. Gli esplosivi in parte venivano forniti dalla polveriera di Ceriano, in parte lavorati in loco. La gestione dell’impianto era stata affidata ad un’azienda svizzera, la Sutter; vi si producevano bombe a mano su licenza della francese F. Thevenot (il "Petardo Thevenot" e la "Ballerina"), due modelli dall’innesco più rapido rispetto a quelle italiane della SIPE. L’8 giugno 1917 il sindaco di Bollate autorizzò l’ampliamento dell’impianto, che assunse l’aspetto d’un piccolo villaggio, comprendente circa 40 edifici, con una media di dieci addetti per ciascuno. Il 7 giugno 1918 il reparto spedizioni saltò in aria, forse a causa dell’innesco di qualche bomba mal confezionata. Gli effetti furono devastanti: i resti di 65 operaie dilaniate furono riconosciuti, ma si raccolsero altre 24 casse con parti e frammenti di corpi. Le ferite gravi un centinaio. La tragedia ebbe un testimone d’eccezione: Ernest Hemingway, che si trovava con alcuni commilitoni della Croce Rossa militare americana a Milano, in procinto di partire per il fronte veneto. Le loro ambulanze vennero inviate sul luogo del disastro, e i giovani americani contribuirono all’opera pietosa di raccolta dei resti. Venne esclusa l’ipotesi del sabotaggio: sia perché sarebbe stato un attacco suicida, sia perché 5 minuti dopo era previsto il passaggio d’un convoglio ferroviario: le vittime potevano essere molte di più. 

Ai funerali prese parte una folla stimata dai cronisti in 10 mila persone; l’attività riprese a ritmo molto ridotto, e alla fine del conflitto questa polveriera venne presto abbandonata. Una sorte diversa toccò alla Beaux: l’Italia nel 1919 entrò in possesso d’una grande quantità di fucili del modello Steyr Mannichler M95, in dotazione alle truppe austriache.

Roma ne stabilì l’invio alle truppe coloniali di stanza in Libia, Eritrea e Somalia. L’azienda bollatese era già in possesso degli stampi per le cartucce di calibro 8 (superiore al 6,5 adottato in Italia) e negli anni seguenti ottenne diverse commesse per le munizioni di tali armi.

Nell’ultima fase della II Guerra Mondiale sia la Beaux che la polveriera di Ceriano passarono sotto il controllo diretto degli occupanti tedeschi, insediati nella villa Arconati Sormani; le due strutture divennero quindi un obiettivo primario della guerra partigiana.

Ecco un brano del memoriale del muratore Mario Rebosio, il partigiano Marino, protagonista nell’aprile 1945 della liberazione del paese: "Dicembre 1944. Consegnai al Comando della Brigata [Garibaldi] i due schizzi richiesti, riguardanti la polveriera di Ceriano Laghetto e della Leon Beaux, con un mio ordine di bombardare solo nei giorni di sabato pomeriggio e domenica, per evitare vittime fra gli operai".

Il 25 dicembre 1944 gli aerei alleati colpirono a Ceriano, provocando danni ingenti ai depositi. La reazione dei nazifascisti fu posta in atto, secondo Rebosio, dal doppiogiochista Arconati, il quale a fine gennaio 1945 avrebbe convinto i tedeschi a fermare a Saronno un treno di munizioni, obiettivo di un’altra azione concordata tra i partigiani e gli Alleati. Così in quella gelida mattina, alle 8,20 ad essere attaccato da quattro cacciabombardieri americani fu un treno di pendolari, in località Vignetta a Bollate. L’azione venne portata a termine, anche se contro persone inermi; vi furono 84 morti, e decine di feriti.

L’episodio suscitò nella zona un’impressione seconda soltanto a quella della strage degli scolari di Gorla avvenuta durante il bombardamento americano su Milano del 20 ottobre 1944.

Rubrica: 
Autore: 
Ultima modifica 09/01/2017