Formazione: la ricetta per costruire il futuro

Cultura, formazione professionale, forte legame con il mondo produttivo. Può essere questa la ricetta per uscire dalla crisi occupazionale? Soluzioni miracolose e universali non esistono, ma la lunga pratica e gli ottimi risultati dicono che il progetto di Galdus sta andando nella direzione giusta. Ai ragazzi viene offerta la possibilità di costruirsi un futuro attraverso un percorso che unisce il lavoro a una seria preparazione teorica. E a loro il futuro fa meno paura. Ne abbiamo parlato con Diego Montrone, il Presidente di Galdus.

Quando è nata Galdus?

Galdus è nata nel 1991 nella parrocchia milanese di San Galdino (da qui il nome). All’allora parroco, don Giancarlo Cereda, è venuto in mente di creare una struttura per aiutare il reinserimento lavorativo e sociale di persone con esigenze particolari. In particolare, nei primi tempi, le attività erano rivolte ai giovani che faticavano a inserirsi in un percorso lavorativo e vivevano ai margini senza fare nulla e quelli che uscivano dai circuiti più complessi delle dipendenze o del carcere. Queste sono state le prime categorie interessate dalla nostra attività.

Galdus ha iniziato con molta umiltà, rivolgendosi a pochissime persone e con percorsi non strutturati.

Fin dall’inizio si pensa a un rapporto con il mondo dell’impresa?

Sì, fin dall’inizio abbiamo pensato a un rapporto organico con le aziende. Volevamo insegnare un lavoro ai ragazzi, un’attività che permettesse loro di uscire dalla spirale che li teneva ai margini della società. Quindi fin dagli inizi ci siamo mossi su un duplice binario: l’attenzione alla crescita educativa e professionale della persona e la collaborazione con il mondo produttivo.

In mezzo c’era un attento lavoro per far incontrare i ragazzi con le imprese. Fin da allora il nostro obiettivo era inserire i giovani in azienda, ma l’azienda doveva essere contenta di poterli assumere. Nel senso che la formazione che offrivamo ai ragazzi doveva anche essere funzionale alle esigenze delle imprese.

Siete subito riusciti a creare questa relazione?

Sì, perché abbiamo avuto la fortuna che nella nostra parrocchia aveva sede la casa editrice Fabbri che dava lavoro in outsourcing. Così i nostri ragazzi, affiancati da professionisti di livello, hanno iniziato ad acquisire professionalità particolari legate al mondo della grafica editoriale. E, gradualmente, si sono avviati su una strada di autonomia personale ed economica.

Come si è strutturato il processo di crescita di Galdus?

Lentamente la nostra attività ha assunto una dimensione sempre più grande. Nel 1994, abbiamo avviato i primi corsi rivolti anche ai disabili. Parallelamente abbiamo avviato una riflessione sul senso della nostra attività. Abbiamo capito che la collaborazione tra la formazione professionale e le aziende funzionava. I ragazzi che frequentavano i nostri corsi avevano risultati eccellenti e, parallelamente, le imprese erano contente di averli. Ma Galdus era qualcosa di più di una scuola di formazione professionale. Il successo della nostra azione era ed è tuttora la nostra capacità di affiancarsi al ragazzo, in quanto persona, e di diventarne il suo punto di riferimento, stimolo e accompagnamento. E ciò senza sostituirsi all’autonomia della persona, né al suo contesto famigliare. Questa dinamica, però, è utile a chiunque, non solo a chi ha qualche fragilità. Per questo motivo abbiamo deciso di aprire le porte non solo alle persone ai margini e ai disabili, ma a tutti i ragazzi.

La vostra è una ricetta particolarmente adatta alla situazione attuale in cui i giovani sembrano aver smarrito la capacità di crearsi un futuro...

Oggi esiste un dilagante disagio che porta i giovani a far fatica a crearsi un percorso che abbia un senso. Magari il loro comportamento non degenera in atteggiamenti pericolosi per la società, ma non ce la fanno a intraprendere una strada che li aiuti a strutturarsi. Queste situazioni, se affrontate in giovane età ci danno qualche possibilità in più. Il successo della nostra ricetta ci incoraggia ad andare avanti in questa direzione.

Oggi com’è strutturata Galdus?

Attualmente abbiamo due sedi a Milano (una al Corvetto e l’altra in zona Parco Ravizza/Bocconi), una a Lodi e una a Cremona. I dati del bilancio sociale 2015 (l’ultimo disponibile) parlano di 1189 giovani che seguono regolarmente i nostri corsi, il 78% dei nostri ragazzi viene avviato al lavoro. Con Galdus collaborano a vario titolo 1950 imprese, 700 coinvolte nell’inserimento dei giovani e 500 nei processi di formazione continua. La nostra è una più delle grandi strutture di formazione professionale a Milano e in Italia. In essa convivono spazi abitativi, didattici, per lo sport e per la cultura.

Perché avete creato spazi abitativi?

Gli spazi abitativi (70 appartamenti) sono destinati in piccola parte ai nostri corsisti fuorisede, ma la maggior parte sono destinati a studenti universitari, giovani coppie, persone sole. Qui trovano una situazione dignitosa con costi abbordabili. Chi vive nei nostri alloggi partecipa poi, a vario titolo, alle attività di Galdus.

Come si struttura la parte didattica?

Il centro della nostra didattica è la formazione professionale degli adolescenti. Siamo presenti principalmente nei settori della ristorazione, della manutenzione/ creazione impianti (elettricisti, idraulici, ecc.), del commercio (segretarie, commercio estero, ecc.), dell’oreficeria.

Sono percorsi di tre, quattro, cinque anni che rilasciano formali diplomi e/o certificazioni e danno la possibilità di assolvere l’obbligo formativo. Detto questo, Galdus non è affezionato e vincolato a un settore piuttosto che a un altro. I nostri insegnanti sono esperti di didattica e di accompagnamento nel percorso scuola/ lavoro, mentre i docenti «tecnici» provengono dal mondo del lavoro e vengono condivisi con le aziende del settore di riferimento. Questo ci lascia liberi di cambiare il settore a seconda delle esigenze del mercato del lavoro o della specifica necessità dell’azienda che ci contatta. Periodicamente rimettiamo in discussione i settori di intervento, verificando il numero di effettivi inserimenti generati.

Senza mai rinunciare al rapporto con le aziende...

La formazione professionale in Italia è nata grazie all’industria.

Negli anni Cinquanta e Sessanta le imprese che avevano bisogno di personale qualificato lo formavano in propri centri. Con il tempo, questi centri sono entrati nel circuito dell’educazione pubblica allontanandosi dalle imprese. Non voglio giudicare se le scuole pubbliche facciano o meno bene il loro lavoro. Noi però abbiamo la prova che il legame con le imprese funziona e le stesse imprese sono disponibili a collaborare con i centri specializzati nella formazione dei lavoratori quando il bisogno di personale è reale. Con queste imprese noi lavoriamo volentieri e bene.

Come funziona il vostro rapporto con le imprese?

Non esiste un modello unico, esistono molti modi per collaborare con il mondo produttivo. Con alcune aziende o associazioni di categoria abbiamo un rapporto organico.

Loro ci aiutano a creare i laboratori, a formare i nostri docenti e, al termine del ciclo formativo, si trovano il personale che cercavano. L’associazione orafa della Lombardia, per esempio, ha iniziato a collaborare con noi perché nella regione non c’era più una scuola che formava orafi. Nel farlo, si è fatta carico di dar vita a una struttura per la formazione. Attualmente siamo l’unico ente formativo in Lombardia che offre una qualifica per orafo. In altri casi, le aziende ci forniscono macchinari sui quali formare i giovani. Nella ristorazione, per esempio, esistono forni ipertecnologici che hanno rivoluzio nato il lavoro in cucina. Sono forni che ci sono stati dati dalle aziende che li producono (come Rational e Baron) affinché i nostri studenti possano imparare a lavorare con essi. Una volta che questi ragazzi vengono introdotti al lavoro portano con sé questa esperienza. Per l’azienda è quindi un investimento. Lavoriamo anche con imprese che non trovano nel nostro istituto un corso di studi corrispondente alle loro esigenze. A esse diciamo: la scuola porta a termine una formazione personale, culturale, motivazionale, voi vi fate carico, attraverso lo strumento del nuovo apprendistato di primo livello, di insegnare una professione. Ora è possibile condividere l’obiettivo comune di formare i giovani – rilasciando un titolo di studio – in un contesto lavorativo.

In questo senso la nuova legge sull’apprendistato vi sta aiutando?

L’apprendistato sta superando la prima fase sperimentale, ma ha già dimostrato di funzionare. La formula, che ha ripreso e migliorato il vecchio apprendistato, ha successo perché struttura in modo chiaro e organico il rapporto tra l’azienda e il giovane. Consente una corposa attività formativa in azienda senza generare complessità nella gestione (di fatto a carico dell’ente formativo) in un contesto di economicità generale del costo di questo contratto. La responsabile ultima del percorso è la scuola perché il percorso ha come obiettivo quello di assegnare il titolo di studio (verificando costantemente le competenze imparate in azienda). Al termine del percorso l’azienda sarà libera di proseguire il rapporto con il giovane con gli strumenti contrattuali che deciderà di utilizzare.

Se da un lato Galdus scommette sulla formazione professionale però non trascura la formazione culturale...

In Italia è molto diffuso il concetto che se lavori con le mani ti è preclusa una parte importante della cultura.

Non c’è nulla di più falso. Non è vero che se una persona fa il panettiere non possa apprezzare la letteratura, la pittura, la musica. Molti pensano che dietro al fare vi sia solo la meccanica ripetizione del gesto. Ma si dimenticano che pensiero, azione, fatica, passione, desiderio, talento sono aspetti inscindibili in chiunque prenda sul serio la vita e l’opera a cui è chiamato.

Per dimostrarlo, undici anni fa abbiamo organizzato un concorso letterario. Inizialmente era una competizione interna. Oggi è diventato un concorso scolastico importante a livello nazionale. E alcuni nostri ragazzi hanno vinto questo concorso (superando anche alcuni licei) o si sono piazzati molto bene. Questo anche grazie al fatto che i nostri corsi di studio non tralasciano le materie umanistiche. Nel corso dell’anno, poi, ospitiamo scrittori importanti che incontrano i giovani e presentano i loro libri. Sono incontri che permettono di parlare di cultura a chi da grande farà l’artigiano. È questo spalancamento alla realtà che rende «intelligente» il fare; è questo l’approccio che proponiamo alle persone che frequentano le attività di Galdus alla ricerca di un lavoro, di un percorso formativo, di una riqualificazione.

Anche lo sport ha una parte importante nei vostri programmi?

Noi puntiamo molto sullo sport, soprattutto sulle discipline cosiddette minori. I ragazzi fanno piscina, capoeira, arrampicata, arti marziali, ecc. Se il fisico è in forma ne beneficia la persona nel suo complesso. Tra i giovani, per esempio, sono molto diffusi i problemi alimentari.

Questi spesso sono legati a una scarsa e alterata consapevolezza del proprio corpo. Lo sport aiuta a superare questi problemi e ad avere una maggiore consapevolezza e accettazione del proprio corpo.

Galdus però non è solo un centro di formazione.

Qual è il vostro ruolo nelle politiche attive del lavoro?

La parte che riguarda le politiche al lavoro non è legata alla formazione dei nostri ragazzi. In Lombardia ogni disoccupato può/deve avvalersi di una serie di servizi funzionale al reinserimento lavorativo a seconda della sua formazione e dell’occupazione che svolgeva. Il nostro compito non è trovare un posto di lavoro a chi non ce l’ha, ma «riattivare», cioè motivare chi ha perso il posto in modo di tirarlo fuori da una spirale negativa che rischia di portarlo a fondo. Saranno poi le singole persone, grazie ai loro rapporti, contatti, risorse personali, a rimettersi in moto e trovarsi da sole il lavoro. Finora sono state accompagnate alla professione con politiche attive del lavoro più di duemila persone, il 55% di esse hanno trovato un’occupazione.

Uno dei migliori risultati in Lombardia.

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Ultima modifica 06/03/2017