“Da ricco che era...”

Oggi il sogno del Venerabile milanese Marcello Candia viene coltivato dalla Fondazione che porta il suo nome

C’ è una grande immagine di Marcello Candia sul portone di ingresso della sede della Fondazione a lui intitolata, nel cuore della città di Milano.

Il suo sguardo sereno e sorridente sembra quasi contemplare e al tempo stesso proteggere l’umanità che anima la metropoli, nella quale è nata l’esperienza di vita e di fede dell’industriale di successo che si fece servo degli ultimi: “La sua vicenda – spiega Gianmarco Liva, presidente della Fondazione Marcello Candia onlus - è quella di un imprenditore che a un certo punto della sua vita decide di fare una scelta totalizzante, ovvero lasciare tutto e rispondere evangelicamente alla chiamata verso il prossimo”.

Negli anni del boom economico italiano è una scelta in grado di sconvolgere e disorientare la Milano-bene del tempo, impegnata a costruire un benessere tanto agognato in un Paese uscito dall’ultimo conflitto mondiale.

Come allora, la storia di Marcello Candia interpella ancora oggi la coscienza di ciascuno.

Nel piccolo studio del presidente della Fondazione, a fianco di un’altra foto del fondatore, c’è un’immagine del Cardinale Carlo Maria Martini, che nel 1991 introdusse la causa di canonizzazione di Candia, proclamato Venerabile da Papa Francesco nel 2014: “Oggi la Chiesa riconosce che Marcello Candia, durante la sua esistenza, ha vissuto profondamente le virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità – prosegue Liva – e può essere indicato come un esempio per tutti i cristiani. E non solo per chi crede, naturalmente”.

Nel dire queste parole Liva alza lo sguardo alle nostre spalle, dove è appesa una grande cartina geografica. Ci sono i confini del Brasile, la terra che Candia raggiunge nel 1965, da missionario laico, attraversando l’Oceano, per dare fuoco alla scintilla accesa da un amico, padre Aristide Pirovano, missionario del Pime e poi Vescovo di Macapà, che lo invita a costruire nella sua diocesi un ospedale, laddove regnavano miseria e povertà, nell’Amazzonia brasiliana.

Candia ottiene i mezzi per realizzare questo progetto vendendo la fabbrica di famiglia (fondata dal padre agli inizi del secolo scorso), della quale era rimasto l’unico proprietario dopo aver liquidato i suoi fratelli.

Nel 1969, dopo anni di intenso lavoro, viene inaugurato un ospedale efficiente e moderno, con 150 posti letto: “Ripeteva sempre queste parole – ricorda Liva -: ‘Dobbiamo fare in modo che il povero, almeno nel momento del dolore, sia accudito come un ricco’”.

Per dare continuità alla struttura decide di donare l’ospedale a una congregazione religiosa. È una strategia vincente, che anche oggi dura, perché ogni opera e ogni progetto realizzato viene appunto affidato a chi ha la giusta competenza per gestirlo e per portarlo avanti negli anni. “È troppo semplicistico – spiega Liva - dire che Candia decide di mettere la sua forza manageriale al servizio dei più poveri. C’è di più: alla base della sua scelta di vita c’è la profonda adesione al Vangelo. Lui si sentiva consacrato in forza del Battesimo che aveva ricevuto”. Un uomo che non accetta di stare in panchina, ma sempre al centro del campo. È la forza della fede che spinge Candia a fare ancora di più quando incontra i lebbrosi, a Marituba, alla periferia di Belém, e rimane sconvolto per il loro abbandono. Si imbatte in un villaggio di mille lebbrosi abbandonati a sé stessi: senza solidarietà, senza legge, senza igiene, senza morale, senza pace, quasi senza cure, ammassati in padiglioni putrescenti.

Con la stessa determinazione ristruttura il lebbrosario e anima con un centro sociale i malati. Diventa “Marcello dei lebbrosi”.

È un’avventura fatta di continue sfide, di traguardi da tagliare, di energie da impiegare, di ostacoli da superare.

I risultati, concreti e visibili, sono molteplici: case per disabili, centri di accoglienza per bambini abbandonati, ambulatori, scuole, asili nido. E ancora ospedali a Quixadà, Porto Velho, Rio Branco, Araripina e a Caruarù.

Costruisce ambulatori a Rio de Janeiro nella favela do Borel, a Belo Horizonte nella favela do Planalto Novo, a Marituba nel bairro di Docouville, a Brumadinho nel Minas Gerais, ad Antonio Goncalves, a Macapà e alla periferia di Salvador de Bahia.

Candia torna ogni anno a Milano. C’è un giro vorticoso di impegni: incontri, conferenze, dibattiti a non finire.

Nasce un circuito di solidarietà inatteso. La sua vicenda finisce sui giornali. Il giornalista Giorgio Torelli gli dedica prima un’intervista a due pagine su Il Giornale di Indro Montanelli e poi un libro, ‘Da ricco che era…’, best-seller che ha venduto 130 mila copie. La sua storia prima incuriosisce, poi affascina, poi spinge ad aiutarlo. Candia va, realizza e torna per dimostrare che ha fatto. Ed è pronto per ripartire con nuova linfa e nuove risorse. Il suo non è uno show pirotecnico, di cui dopo il botto resta solo la cenere: c’è lo spettacolo del bene realizzato.

“Ho conosciuto Marcello Candia nel 1980, proprio in uno dei suoi periodi di permanenza in Italia, dove tornava per reperire fondi e soprattutto per raccontare la propria esperienza di missionario laico – afferma Liva -.

Quella sera era ospite di mio suocero, Gaetano Lazzati, suo grande amico e consigliere. Mi aspettavo di vedere un missionario, un po’ trasandato. Alla porta si presenta invece un signore in doppio petto blu e con un mazzo di 24 rose rosse per mia suocera. Quella sera non la dimenticherò mai. L’ho ascoltato per ore raccontare delle sue opere in missione. In lui c’era l’ansia di raccontare dei suoi poveri, dei lebbrosi, della pericolosa navigazione in barca alla ricerca di un lebbroso che non poteva farsi curare, di mille altri piccoli episodi che riguardavano gli ultimi degli ultimi. I suoi ultimi”.

Poco prima di morire, nel 1983, Candia decide di dare forma a una Fondazione, che porta il suo stesso nome.

Liva è il terzo presidente del sodalizio: “La Fondazione, costituita da consiglieri tutti volontari, è la conseguenza dello slancio missionario di Marcello Candia – afferma -. Si prefigge di dare continuità alle opere da lui realizzate e di svilupparne altre a favore dei ragazzi, dei lebbrosi e dei poveri del Brasile, con particolare riferimento alla regione Amazzonica e a quella del nord-est che sono le più povere del Paese. I fondi raccolti vengono destinati dal Consiglio della Fondazione alle diverse iniziative e consegnati direttamente ai responsabili di ogni singola opera in Brasile. La Fondazione opera in collaborazione con religiosi e laici appartenenti a Istituzioni che garantiscono la continuità delle opere”. Sono stati realizzati in questi anni più di ottanta progetti e ogni anno vengono spesi circa 2 milioni di euro per realizzarne altri. “Dove troviamo le risorse? – si chiede Liva - È questo il miracolo di Marcello Candia. Il miracolo è appunto il fatto che un uomo con la forza della sua fede ha mosso e muove tutto questo. Tante persone sostengono la realizzazione delle opere della Fondazione, che ha lo scopo di far vivere e dilatare questo ‘impero’ di carità da lui lasciato, con la stessa passione e la stessa concretezza. C’è una frase che Marcello Candia ripeteva spesso e che mi piace ricordare.

Diceva: ‘Ho cercato solo di essere coerente fino in fondo alle parole del Vangelo: vai, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, e mai mi sono pentito della mia scelta’. È questa la sintesi di una figura che davvero deve essere presa ad esempio. Non dobbiamo fare tutti le stesse cose. Ciascuno deve dare secondo le proprie possibilità e secondo le proprie capacità. L’importante è essere attenti al prossimo per creare un mondo dove la giustizia abbia il sopravvento”.

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Ultima modifica 03/07/2017