Una Repubblica fondata sul RISPARMIO

Un’adeguata educazione finanziaria è nell’interesse nazionale: un Paese di risparmiatori con alto debito pubblico non può avere bassa cultura economica, perché mette a rischio la sua esistenza.
Una Repubblica fondata sul RISPARMIO

Il cammino verso la ricchezza dipende essenzialmente da due parole: lavoro e risparmio.

Qui comincia la filastrocca. Se c’è poco, poco ti tocca, ma se il poco serberai, presto o tardi molto avrai. Poche briciole non fanno un pane, molte briciole sazian la fame; un granello non è molto, molti granelli fanno un raccolto. Pochi chicchi non fanno vino, molti chicchi riempiono
il tino. Un filo d’erba non è nulla, ma senz’erba la terra è brulla; metti un filo e l’altro a lato: filo più filo formano un prato. Di una pietra nessuno si cura, con molte pietre si fanno le mura e se un seme è poca cosa, molti semi dan frutti a iosa. Una lira nessuno l’apprezza, ma è il principio della ricchezza; con ogni lira risparmiata, la ricchezza vien seminata; quanto più risparmierai, tanta più ricchezza avrai. Perché il seme frutti bene, procedi come si conviene: prendi un bel salvadanaio e ogni giorno mettine un paio”. Questa vecchia filastrocca popolare per bambini ci è sembrato il modo migliore per affrontare uno dei pilastri della nostra economia, nonché una delle maggiori fonti di ansia per molti di noi: il risparmio. Infatti, la ricchezza complessiva delle famiglie italiane è stimata in circa 10 mila miliardi di euro (quasi 5 volte il debito pubblico), di cui 6 mila in beni immobili e oltre 4 mila in attività finanziarie (fonte Banca d’Italia, marzo 2017). La nostra propensione a investire nel mattone è un dato noto: il 73% delle famiglie abitano in case di proprietà (fonte Eurostat). In Francia sono il 64,3% e in Germania soltanto il 52,6%. Il dato che sorprende è invece quello relativo ai beni mobili. Tenendo conto che il Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’Italia è quasi 1.700 miliardi di euro, si può calcolare che le attività finanziarie degli italiani sono due volte e mezzo il PIL annuo. Questo indice di 2,5 è molto significativo, poiché colloca l’Italia in vetta alla classifica dei più importanti Paesi Europei.
Infatti, la Francia ha un rapporto 2,2, la Germania 1,8. Insomma, gli italiani mediamente sono più ricchi dei francesi e dei tedeschi, sia per il valore delle abitazioni sia per la quantità di denaro disponibile o investito. A tale proposito, nonostante una congiuntura economica a dir poco asfittica, c’è la fila per la conquista dei denari degli italiani. E i motivi sono essenzialmente due: il primo è dovuto al fatto che la quota di risparmio privato continua a crescere e pertanto a essere molto appetibile. Il secondo motivo è legato al fatto che nel nostro Paese è in atto una riorganizzazione del sistema bancario e, di conseguenza, dell’attività di private banking, terreno di caccia privilegiato dai grossi asset manager stranieri. In generale, la ricchezza mobiliare delle famiglie è investita in cinque strumenti: depositi, obbligazioni, azioni e partecipazioni, fondi comuni, strumenti assicurativi e pensionistici privati. La sua composizione è influenzata da fattori di natura congiunturale e strutturale, come il livello dei tassi di interesse, la tassazione degli strumenti finanziari, l’andamento della Borsa, le scelte dei risparmiatori e la loro propensione al rischio, le politiche di offerta di prodotti da parte delle banche e degli altri intermediari, la centralità delle banche rispetto alle dimensioni dei mercati finanziari, le condizioni dei sistemi pensionistici pubblici. I depositi bancari e postali costituiscono oggi, con il 32% della ricchezza finanziaria, la forma principale di investimento per le famiglie, mentre la discesa dei tassi d’interesse degli ultimi anni è tra le motivazioni della caduta al 10% (il livello minimo storico) del peso delle obbligazioni nella ricchezza finanziaria degli italiani, dal 30% del 1990. L’incidenza di queste ultime era cresciuta negli anni Ottanta, a causa della crescente diffusione dei titoli di Stato tra i risparmiatori, determinata dalla necessità dei governi di finanziare un crescente debito pubblico. Il peso della componente pubblica si è perso negli anni successivi in favore delle emissioni bancarie, mentre non sono stati offerti agli investitori prodotti alternativi a questi. La carenza di una tale offerta deriva da due principali fattori. Il primo è l’utilizzo massiccio di titoli per il finanziamento delle banche. Il secondo sta nelle scelte degli emittenti aziendali, che hanno preferito il canale creditizio piuttosto che rivolgersi direttamente al mercato dei capitali privati. Negli ultimi anni le emissioni degli istituti di credito hanno perso peso, a causa della scomparsa dei benefici fiscali nel 2012 e nel 2014, della contrazione dell’offerta dei titoli, vista la dinamica lenta del credito, e dell’entrata in vigore delle regole sul bail-in.
Ma c’è un altro dato interessante che caratterizza gli italiani: dei 4.000 miliardi di euro di attività finanziarie, la cifra investita in azioni di società quotate in Borsa è soltanto il 2,2%, mentre in Francia si tratta del 4,6% e in Germania del 5%. Insomma, le famiglie italiane non ripongono molta fiducia nelle quotazioni dei listini di Piazza Affari. D’altronde, la connessione tra risparmio e investimenti, soprattutto nelle piccole-medie imprese, è nell’interesse nazionale. Si tratta di un passaggio culturale decisivo, da cui l’Italia è lontana. Una potenza manifatturiera senza capacità finanziaria è disarmata e destinata a diventare più debole, più fragile e meno influente. Per questo occorre rendere visibile l’impresa italiana per i grandi investitori internazionali e canalizzare verso di essa non solo la massa degli investitori istituzionali (assicurazioni, fondi pensioni, casse previdenziali, ecc…), ma anche i grandi e piccoli patrimoni privati. Due acronimi hanno indicato un nuovo percorso: SPAC (Special Purpose Acquisition Company) e P.I.R. (Piani Individuali di Risparmio). Le SPAC sono veicoli finanziari promossi da imprenditori e professionisti che mettono insieme capitali di investitori professionali per la quotazione di imprese italiane. Dalla loro introduzione nel 2011 hanno raccolto capitali per circa 1,2 miliardi. Per i piccoli risparmiatori, il tentativo di canalizzare parte della loro ricchezza verso l’economia reale è giunto nella legge di bilancio 2017 con i P.I.R. I P.I.R. consentono alle persone fisiche residenti fiscalmente in Italia di investire fino a 30 mila euro all’anno e con un limite massimo di 150 mila euro in strumenti finanziari da tenere per almeno cinque anni. L’investimento è vincolato per almeno il 70% a imprese residenti in Italia o in Stati UE con stabile organizzazione in Italia. Di questo 70% almeno il 30% va investito in imprese diverse da quelle dell’indice principale di borsa. Gli investimenti godono di un’esenzione totale dalla tassazione dei redditi sui profitti. Si tratta di un impiego di risorse pubbliche decisamente contenuto (minor gettito 2017 di circa 10 milioni).
Niente illusioni: il passaggio dal risparmio all’investimento non è né una bacchetta magica in mano ai politici, né una questione esente da rischi. Tutte le più recenti ricerche confermano, infatti, il basso livello di conoscenze economiche delle famiglie italiane. Secondo le statistiche dell’Ocse sull’alfabetizzazione finanziaria dei quindicenni, l’Italia è al penultimo posto, prima della Colombia e dietro la Slovacchia. Altrettanto preoccupante è il disinteresse diffuso; informazione e analisi interessano una minoranza della popolazione: il 46,5% contro il 53,5% che si dichiara poco o per niente interessato (quota che sale al 63,8% tra gli over 65). Il livello di conoscenza di tali argomenti, omogeneo tra generi, è più elevato per i soggetti più istruiti e i residenti in Italia settentrionale. Più del 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuna classe di investimento, mentre il restante 80% indica più frequentemente i titoli del debito pubblico e le obbligazioni
bancarie, seguiti da azioni quotate e fondi azionari. La ridotta alfabetizzazione finanziaria incide sensibilmente sulla comprensione dell'andamento dei mercati e di nuovi fenomeni congiunturali. Tanto
per fare un esempio, il concetto di diversificazione dovrebbe far parte del bagaglio conoscitivo anche degli investitori meno esperti. Le evidenze raccolte, tuttavia, rivelano che solo il 6% degli intervistati conosce le implicazioni di una corretta diversificazione delle attività mobiliari, mentre il 52% o ne coglie solo un aspetto, dichiarandosi disposto a investire in numerosi titoli a basso rischio (erronea diversificazione), o non comprende l’antitesi fra rischio e rendimento, dichiarandosi disposto a investire soltanto in prodotti a basso rischio e alto rendimento. In realtà in tema di risparmio sarebbe nel nostro interesse nazionale un’adeguata educazione finanziaria. Un Paese di risparmiatori con alto debito pubblico non può avere bassa cultura economica, perché mette a rischio la sua esistenza. Un primo tentativo per ovviare a queste problematiche si è avuto con una legge del febbraio 2017 che prevede una strategia nazionale per l’educazione alle varie forme di risparmio da attuare nell’arco di sei mesi (purtroppo lo stanziamento è di appena un milione di euro). Ogni strategia del genere, oltre alle forche caudine dei comitati e provvedimenti attuativi, deve considerare due problemi. Primo: all’Italia occorre qualcuno che sappia raccontare la finanza. Un’ora di Alberto Angela su Mario Draghi potrebbe migliorare la nostra pubblica amministrazione più di qualunque riforma. Secondo: se pensiamo che una tale educazione riguardi solo gli studenti, commettiamo il solito errore strategico, perché non guardiamo l’Italia allo specchio. La sfida della formazione deve coinvolgere fasce di popolazione matura e anziana, in cui si concentrano e si concentreranno il risparmio e il controllo delle imprese, vista la nostra evoluzione demografica. Sul tema, in un recente discorso, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha sottolineato che “in una società in cui cresce la longevità dei suoi componenti aumenta l’importanza di poter compiere scelte di risparmio e di investimento finanziario lungimiranti e consapevoli”. Per tutelare il risparmio bisogna avere uno sguardo nitido e presbite, senza lasciarsi ingannare da proposte poco trasparenti e interessi molto alti, che nascondono sempre rischi elevati. Il risparmio, si sa, non va d’accordo con l’azzardo, nemmeno con quello finanziario.

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Ultima modifica 26/02/2018