LAOS

Il Regno del milione di elefanti
LAOS

Sospeso tra un complesso passato e un promettente futuro, il piccolo stato del Laos nasconde meraviglie storiche, architettoniche e naturalistiche.

Ci sono nomi che, soprattutto per chi è nato tra gli anni ’50 e ’60, sono impressi nella memoria e hanno accompagnato l’infanzia con un alone tragico, anche senza che ne fosse ben chiaro il significato: Vietnam, Vietcong, Mekong, Laos, Ho Chi Minh. Il nome Laos, per esempio, personalmente mi ha sempre evocato l’immagine di bambini denutriti con in mano una ciotolina di riso. Nulla di più diverso dalla realtà, grazie al cielo: ripresosi dalla guerra (e che guerra: questo paese detiene il primato mondiale di maggior numero di bombe pro capite sganciate sul territorio) il Laos è oggi allegro, accogliente, tranquillo e ragionevolmente pulito (almeno per gli standard del sudest asiatico). E, soprattutto, è un piccolo paese dal grandissimo fascino, che merita sicuramente di essere esplorato e conosciuto.
A partire dalla capitale, Vientiane, una tranquilla cittadina (le megalopoli sono un concetto inesistente, da queste parti) in cui si sente ancora forte l’influenza francese: bei locali e ristoranti, affascinanti negozi, un vivace mercato serale lungo il Mekong. La città sta crescendo e si vede: grandi automobili nuovissime, costruzioni che spuntano come funghi, accoglienti alberghi di ottimo livello, turismo internazionale in ogni mese dell’anno. E anche se non ci sono particolari monumenti da visitare, con il suo clima rilassato e rilassante, la sua architettura coloniale e i suoi templi dorati rappresenta una perfetta tappa di avvicinamento a un mondo decisamente molto distante dal nostro.
È infatti sufficiente uscire dalla città e incamminarsi verso nord – preferibilmente a bordo di un minibus per turisti o di un’auto con autista, dal momento che guidare e orientarsi da queste parti è piuttosto complicato – per ritrovarsi immersi in scenari che sembrano tratti dalle tipiche stampe orientali: sorprendenti montagne a forma di immensi massi rocciosi ricoperti da palme, banani e altra vegetazione tropicale, intorno a cui si sfilacciano nuvole lattiginose, e in basso grandi fiumi in cui mandrie di bufali stanno immersi fino alle ginocchia. La tortuosa strada che collega Vientiane a Vang Vieng è lunga circa 150 chilometri e richiede, in auto, dalle 4 alle 5 ore: ma è tempo decisamente ben speso dal momento che, una volta superata la periferia urbana, fuori dai finestrini sfila uno spettacolo naturale assolutamente straordinario. Un percorso che, peraltro, testimonia l’evoluzione di questo paese, se si considera che fino a una ventina di anni fa questa lingua di asfalto e terra battuta era in mano ai temibili banditi Hmong e poteva essere percorsa solo con una scorta armata di polizia, attraversando continui posti di blocco; oggi, fortunatamente, gli unici brividi che questa strada riserva sono quelli dei vertiginosi tornanti che si arrampicano sui fianchi delle montagne.
Anche la cittadina di Vang Vieng, in anni più recenti, ha radicalmente cambiato faccia: fino al 2012, infatti, era nota soprattutto come meta di giovani “backpackers” alternativi provenienti da tutto il mondo, che qui organizzavano feste folli all’insegna di droghe e alcol. Una situazione a cui il governo, sei anni fa, ha messo un drastico freno, obbligando alla chiusura tutti i locali in cui questi selvaggi “party” si svolgevano; il risultato è che Vang Vieng è ora una tranquilla cittadina affacciata sul fiune Song, al centro di un meraviglioso panorama carsico, che offre ai turisti una quantità di attività outdoor di tutti i tipi e livelli di intensità: dal trekking al kayak, dall’arrampicata su roccia alle gite in barca, fino alla visita di fattorie tipiche. Senza dimenticare che a qualche decina di chilometri a sud si trova il vasto Nam Ngum Reservoir, immenso lago artificiale creato da una diga sul fiume Nam Ngum, costruita in varie fasi tra il 1968 e 1984: e anche se l’obiettivo principale era quello di produrre energia idroelettrica (obiettivo peraltro raggiunto, dal momento che l’impianto fornisce la maggior parte dell’energia utilizzata nel Paese e consente di esportarne un ingente quantitativo in Thailandia), un risultato secondario è stato quello di creare una suggestiva “zona umida”, verdissima e costellata da mille isolette tra cui si muovono piccole imbarcazioni di pescatori.
Ma è continuando la strada verso nord che si raggiunge la meta più affascinante di tutto il paese, la bellissima Luang Prabang, non a caso residenza del sovrano fino al 1975 e iscritta al Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. L’antichissima città (le cui origini risalgono a epoche preistoriche e che fu dal XIV al XVI secolo la capitale del Regno di Lan Xang, il primo grande Stato laotiano) sorge in una valle in cui si congiungono i fiumi Mekong e Nam Khan. Moltissime le attrazioni da visitare in questa piacevole cittadina, perfetta da esplorare in sella a una bicicletta percorrendo le tranquille vie del centro storico su cui si alternano edifici in legno nello stile tradizionale laotiano e ville del periodo coloniale: a partire dal Haw Kham, ex Palazzo Reale dell’epoca coloniale (fu costruito nel 1907) tramutato oggi in Museo Nazionale, per arrivare agli innumerevoli templi, tra cui il Wat May, del 1700, dalla facciata dorata e dalle ricchissime decorazioni nei toni accesi del rosso e del giallo- oro e il Wat Xieng Thong (“Tempio della città d’oro”), posto sulla punta del promontorio che digrada verso il fiume e risalente alla metà del XVI secolo: qui fino al 1975 (anno dell'avvento del regime comunista) venivano incoronati i re del Laos.
Ma il fascino di Luang Prabang va ben oltre la bellezza dei singoli monumenti e consiste soprattutto nell’irripetibile atmosfera di questo luogo: i fiammeggianti tramonti sul lungofiume, la tranquillità delle vie alberate, i piacevoli bar all’aperto, il divertente passeggio serale tra le bancarelle del mercato notturno (imperdibile appuntamento di tutti i turisti). Certo, molte cose si stanno trasformando in questo Paese e l’autenticità sta cedendo il passo a formule e atteggiamenti più commerciali: una tendenza che è destinata a essere sempre più marcata nei prossimi anni, dal momento che si prevede un massiccio incremento dell’afflusso turistico soprattutto dalla Cina. Questo il motivo per cui è probabilmente il momento ideale per visitare il Paese, già dotato di ottime strutture turistiche ma in cui ancora – per ora – sopravvivono tradizioni, costumi e usanze autentiche e sincere. Ne è un esempio, proprio a Luang Prabang, la quotidiana processione dei monaci buddisti per la raccolta delle elemosine: un rituale che si svolge ogni giorno prima dell’alba nelle vie della cittadina. Gli abitanti della città si fanno trovare seduti davanti alle proprie abitazione, con delle pentole di riso cotto tra le mani; riso che viene distribuito ai monaci delle varie scuole buddiste che, a loro volta armati di contenitori, sfilano a gruppi per raccogliere quanto viene loro donato; nella cultura buddista fare l’elemosina ai monaci è considerato un privilegio, assai più che un atto di carità, e lo svolgimento dell’intera “cerimonia” ha in sé un fascino e un alone di spiritualità che riesce comunque a emergere, nonostante la presenza di turisti curiosi.
Quello in Laos è sicuramente un viaggio impegnativo: per la distanza, per la diversità (di lingua, di abitudini, di alimentazione) rispetto al mondo occidentale, per lo stato delle strade e dei collegamenti (in netto miglioramento ma ancora ben distanti dalle abitudini europee). Ma è uno sforzo di adattamento che vale senza dubbio la pena di fare, per andare alla scoperta di quello che un tempo era definito come “il Regno del milione di elefanti”.

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Ultima modifica 22/03/2018