Il castello di Magione

antiche congiure e nuove realtà

Adagiata sulle colline che circondano il Lago Trasimeno in uno splendido scenario bucolico, la cittadina di Magione, di origini etrusco-romane, vanta una storia lunga e ricca di episodi di rilievo.

Tra le testimonianze del suo lungo passato c’è ad esempio la Chiesa della Madonna delle Grazie, del 1209, che ospita una serie di importanti dipinti tra cui, nell’altare maggiore, un bellissimo affresco di Bartolo di Fredi e Jacopo di Mino del Pellicciaio che ritrae Maria che allatta al seno Gesù bambino. Magione è anche la patria di Frate Giovanni da Pian del Carpine, seguace di San Francesco ed affascinato dai grandi viaggi, che nel 1245 partì per l'Oriente arrivando in Mongolia alla corte del Gran Khan e che al suo ritorno scrisse una Historia Mongolorum (Storia dei Mongoli).

Ma a caratterizzare l’intero centro è soprattutto il grande Castello dei Cavalieri di Malta che domina il borgo e che - chiamato anticamente “La Magione” - ha dato il suo nome alla località.

Questa zona, nota come Pian di Carpine, costituiva infatti in passato un importante punto di passaggio per i pellegrini in cammino lungo la Via Francigena, diretti alla volta di Roma o di Gerusalemme. Ed è proprio per fornire ospitalità e assistenza ai viandanti che fu creato nella seconda metà del 1100 questo complesso fortificato, citato nei documenti storici già a partire dal XII secolo. Inizialmente il castello era formato da due costruzioni a “L” sovrastate da una torre campanaria. A partire dal Quattrocento furono effettuate una lunga serie di radicali modifiche e ampliamenti - in buona parte attribuiti all’architetto bolognese Fioravante Fioravanti - che nel corso del tempo finirono con il trasformarne quasi completamente l’aspetto, oltre che la finalità d’uso: l’originario hospitium gestito dai cavalieri gerosolimitani divenne prima un’abbazia, e poi una vera e propria fortezza. L’edificio, oggi, presenta una pianta di forma quadrata con mura esterne, torrioni angolari e un vasto cortile interno centrale.

Nella parte più antica del Castello si trova la cappella dedicata a San Giovanni Battista, in stile romanico, all’interno della quale si conservano due affreschi della scuola del Pinturicchio (XVI sec.) che rappresentano una Natività e una composizione con la Vergine e il Bambino, San Giovanni Battista e San Giacomo, patrono e protettore dei pellegrini.

Ma a dare celebrità al castello (in cui dimorarono a più riprese Pontefici e Sovrani) è soprattutto la sanguinosa vicenda passata alla storia proprio con il nome di “Congiura della Magione”, diffusamente descritta da Nicolò Machiavelli. Proprio nelle stanze del castello, infatti, nel 1502 fu ordita una cospirazione ai danni di Cesare Borgia (detto “il Valentino”, figlio naturale di Papa Alessandro VI) da parte di alcuni nobili inizialmente schierati come suoi alleati. Il motivo scatenante era l’eccessiva ambizione del Duca Valentino, che dopo aver conquistato Rimini, Ravenna, Forlì, Cesena e Urbino era deciso a prendere Bologna, retta all’epoca dalla famiglia Bentivoglio, per farne la capitale del suo Ducato di Romagna. Un piano espansionistico che non poteva non destare preoccupazione nei suoi capitani e nei suoi nemici, che temevano di essere fagocitati dalle mire di potere di colui che divenne poi la figura ispiratrice del “Principe” machiavelliano.

Per questo motivo un gruppo di cospiratori - tra i quali Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Paolo Orsini, suo cugino Francesco (IV Duca di Gravina), Giampaolo Baglioni da Perugia e Antonio Giordano, ministro di Pandolfo Petrucci, che rappresentava Siena - si incontrarono nel castello di Magione, nell'appartamento del cardinale Giovanni Battista Orsini, per stabilire una strategia di difesa contro il Borgia per tutelare i Bentivoglio, tramite un'alleanza con i Da Montefeltro, i Medici e la Repubblica di Venezia.

I Fiorentini, però, non solo non accettarono di aiutare i nemici del Borgia, ma inviarono allo stesso Valentino (che si trovava ad Imola) Niccolò Machiavelli, per avvertirlo del tradimento da parte suoi soldati. La reazione fu sanguinosa: dopo aver sedato la rivolta dei suoi capitani promettendo che non ci sarebbero state ripercussioni, Cesare Borgia invitò a Senigallia i principali artefici della congiura: Vitellozzo Vitelli, il Duca di Gravina, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo. Qui, il 31 dicembre 1502, i congiurati vennero catturati e si compì la vendetta: quella stessa notte, Vitellozzo e Olivierotto morirono strangolati, mentre i due Orsini aspettarono la morte a Castel della Pieve (l’attuale Città della Pieve, in provincia di Perugia), morendo anch’essi strangolati il 18 gennaio 1503.

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Ultima modifica 14/02/2019