MODENA e un giudizio di Leonardo

Nel 2019 cade il quinto centenario della scomparsa di Leonardo da Vinci (1452-1519). Per lui la narrativa rivestì un’occupazione di secondo piano; tuttavia, data anche l’assidua frequentazione delle corti rinascimentali, provò anch’egli a cimentarsi nel genere della novella, popolare nella sua Firenze quasi quanto la musica, di cui Leonardo fu appassionato cultore.

Eccone una, di cui ho un po’ attualizzato il linguaggio: “Uno andando a Modena ebbe a pagare cinque soldi di gabella della sua persona. Alla qual cosa, cominciato a fare gran clamore e ammirazione, attrasse a sé molti circonstanti; i quali domandando donde veniva tanta meraviglia, Maso rispose così: "O non mi debbo io meravigliare quando constato che qui [a Modena] tutto un omo non paga altro che cinque soldi, e a Firenze io, solo a metter dentro el c…o, ebbi a pagare dieci ducati d'oro, e qui metto el c…o, e co…ni, e tutto il resto per sì piccol dazio? Dio salvi e mantenga tal città e chi la governa!"

Ma chi è costui? Persona o personaggio? “Maso” è il nome del protagonista della più nota novella della III Giornata del Decameron di Boccaccio; Tommaso è l’apostolo noto per l’espressione “mettere il dito nella piaga”. Tuttavia è più probabile che Leonardo abbia riportato motto e facezia di Tommaso Masini, detto lo Zoroastro da Perétola, noto come cultore di scienze occulte oltre che esperto di pietre preziose e fabbricatore di colori (anche per lo stesso Leonardo, di cui era minore dieci anni).

Era vegano e rifiutava d’indossare indumenti di pelle, perché riteneva sacro ogni essere vivente. Leonardo aveva ideato per lui una zimarra ricoperta di bolle. Per i fiorentini era quindi un tipo bizzarro, citato come tale nelle novelle cinquecentesche del Lasca.

La Modena di Ercole I

Se non v’è certezza sul protagonista, l’antagonista è certo: il duca Ercole I d’Este (1431-1505).

Il titolo nobiliare più importante di questa dinastia, entrata nella storia cittadina nel 1289 con il podestà Obizzo, è legato alla città di Ferrara, la capitale del ducato. Tuttavia Ferrara era un feudo ecclesiastico, mentre la signoria su Modena derivava da un’investitura imperiale. La composizione del collegio dei cardinali, cui spettava l’elezione dei pontefici, era piuttosto variabile; esso era in ogni caso più numeroso rispetto ai sette principi tedeschi elettori di diritto dell’imperatore, stabiliti nella Bolla d’Oro del 1356 che venne scrupolosamente rispettata fino al XVII secolo.

Ercole non era l’erede designato del ducato; aveva trascorso la giovinezza alla corte di Napoli, poi su indicazione del duca Borso d’Este, suo fratellastro, era passato nel 1460 al servizio degli angioini, che dalla Puglia tramavano di rovesciare gli aragonesi. Nel 1463 Borso lo nominò governatore di Modena; qui riuscì a formare una propria compagnia e a ottenere diverse condotte sotto Bartolomeo Colleoni, al servizio di Venezia. Nel 1469 uno dei più notabili gentiluomini modenesi, Gian Ludovico Pio, co-signore di Carpi, gli chiese di partecipare a una congiura per rovesciare Borso, ma Ercole lo denunciò, ottenendo la designazione a erede del ducato (ma anche la diffidenza di gran parte della nobiltà modenese). Borso morì nel 1471, ma solo l’anno dopo il papa ratificò la successione. Negli anni seguenti Ercole si mosse con prudenza nel complesso gioco diplomatico delle corti italiane; approfittò di un temporaneo miglioramento dei rapporti tra Venezia e Napoli per sposare, nel 1473, Eleonora d’Aragona, ma poi, specie dopo il fallito colpo di mano di Niccolò d’Este dell’estate 1476 (cui fece seguito una sanguinosa repressione, anche a Modena) ritenne prudente avvicinarsi agli Sforza di Milano (sostenitori dei Bentivoglio a Bologna) e ai Medici di Firenze, anche tramite fidanzamenti dei figli ancora bambini.

Nel 1478 aveva ottenuto un forte compenso per guidare la lega delle signorie avverse a Sisto IV e Ferrante d’Aragona, tuttavia i Fiorentini, i maggiori finanziatori, furono molto delusi dalla sua condotta, e dopo alcuni rovesci intrapresero trattative segrete per una pace separata (1480). A quel punto furono i Veneziani a far la voce grossa con Ercole, il quale fu pesantemente sconfitto nella cosiddetta guerra di Ferrara (1482-1484), perdendo Rovigo e altre terre nel Polesine.

In quel periodo Leonardo si trasferiva da Firenze alla corte sforzesca di Milano, dove inizialmente ebbe qualche difficoltà d’inserimento, nonostante l’avallo di Lorenzo il Magnifico. È possibile che il duro giudizio su Ercole espresso nella novella di Maso risalga a quel periodo, e che rifletta non solo la cattiva reputazione del duca presso i fiorentini, ma anche l’esasperazione dei cittadini modenesi, costretti a subire la stretta fiscale decisa dal governo in un momento di grave difficoltà finanziaria: in effetti quel che stigmatizza Leonardo è che gli estensi avevano fissato un dazio non solo sull’ingresso delle merci, ma anche delle persone fisiche. Negli anni seguenti il successo della politica matrimoniale di Ercole e l’abilità del suo ambasciatore presso Ludovico il Moro, Antonio Costabili, non potevano non rendere Leonardo, uno degli uomini di punta di quella corte, ben più prudente nell’esprimere giudizi negativi sul duca di Ferrara.

La connessione ebraica

Ma cosa faceva “Maso” a Modena ? In quegli anni i rapporti culturali tra la Toscana e il territorio modenese erano intensi, come dimostra la biografia del filosofo Giovanni Pico della Mirandola, nato nel 1463 nell’omonima cittadina nei pressi di Modena e morto di veleno a Firenze nel 1494. Più specificamente il Masini, morto a Roma nel 1520, stando al genealogista cinquecentesco Scipione Ammirato fu riconosciuto parente di Bernardo Rucellai, cognato di Lorenzo il Magnifico. Rucellai aveva fatto studiare il figlio Giovanni, molto legato al cugino omonimo (futuro papa Leone X) ma anche a Zoroastro, alla scuola di Francesco Cattani (1466-1522), il più fedele discepolo di Marsilio Ficino. Questo celebre umanista nel 1463 tradusse dal greco il Corpus hermeticum, riscoperto dieci anni prima dal monaco Leonardo da Pistoia e acquistato da Cosimo de Medici. Alla sua corte si era convinti che Ermete Trismegisto fosse il detentore dei segreti degli antichi egizi, in seguito pervenuti tramite Mosè (e poi Re Salomone) al popolo ebraico. Marsilio non conosceva quella lingua, ma fu il primo, nel 1479, a definire “cabbalisti” alcuni intellettuali connessi a lui e alla corte medicea. In particolare Yohanan Alemanno, insegnante d’ebraico e amico del Pico, egli stesso un entusiasta dei riferimenti matematici insiti nella tradizione della cabbala.

In ambito ecclesiastico le teorie neoplatoniche elaborate dal Ficino con una chiara prospettiva teologica (De Christiana religione,1476) trovarono molti oppositori. Nel 1487 la pubblicazione da parte di Pico, a proprie spese, delle 900 Tesi (un’opera permeata di sincretismo ebraico- cristiano) aveva suscitato la condanna del papa Innocenzo VIII. Nel 1492 gli ebrei dovettero lasciare la Spagna, e molti di loro approdarono a Ferrara e a Modena, dove la presenza di una comunità è testimoniata dal XIV secolo. In conclusione, non si può escludere che Maso cercasse contatti con i cabalisti modenesi; peccato per le scarsissime tracce lasciate da Isaac Modena, padre del più noto Léon (Judah Areyeh mi-Modena,1571–1648).

Rubrica: 
Autore: 
Ultima modifica 14/02/2019