PISA e il primo Congresso degli Scienziati Italiani

PISA e il primo Congresso degli Scienziati Italiani

Nell’autunno del 1838 la classe dirigente del Granducato di Toscana accolse con soddisfazione la notizia che il Granduca Leopoldo II aveva aderito all’idea di ospitare una riunione tra gli scienziati di lingua italiana, seguendo un modello già posto in atto da alcuni anni con grande successo in gran parte dei Paesi di lingua germanica. I caratteri salienti di queste riunioni erano l’esclusione dei riferimenti alla politica e la partecipazione aperta sia agli accademici e docenti universitari che ai giovani ricercatori e ai “dilettanti” non ancora ammessi. La proposta era stata avanzata da un noto ornitologo, Carlo Luciano Bonaparte: del ramo cadetto laziale dei napoleonidi, era legato ad ambienti illuministi (e massonici) che esaltavano le “magnifiche sorti e progressive” cui non credeva Giacomo Leopardi.
A Napoli un settimanale “scientifico artistico letterario” dal significativo nome "Il Lucifero" dedicò molti numeri ai convegni degli scienziati; l’argomento venne trattato nei mesi seguenti anche dai giornali di tutte le capitali italiane.
La campagna di stampa non poteva non allarmare l’Austria, potenza egemone nella penisola. In anni recenti sia Vienna che Praga avevano ospitato gli scienziati tedeschi, quindi l’ambasciatore a Firenze, l’ex cancelliere ungherese Ádám Reviczky, si limitò a sostenere dietro le quinte le perplessità espresse da altri governi italiani. Il ministro degli Esteri piemontese, Clemente Solaro della Margherita, già nel corso del Congresso di Vienna (1815) si era scontrato con Neri Corsini, successore designato, a Firenze, dell’anziano Vittorio Fossombroni. Questi si era laureato in legge alla Sapienza di Pisa nel 1778, e da allora aveva percorso una brillante carriera politica, anche grazie alle sue doti di economista, matematico ed esperto di idraulica applicata. Leopoldo II, succeduto al padre nel 1824, ne era sempre rimasto un po’ intimidito, e accolse il parere di non esporsi in prima persona. L’invito pubblico agli scienziati italiani sarebbe partito dal Bonaparte, affiancato da un pool di cinque toscani; la sede non sarebbe stata la capitale ma Pisa, polo universitario del Granducato, che aveva dato i natali a Galileo Galilei.
Il manifesto ufficiale presentava al centro un ritratto del Granduca che cavalcava in una fertile campagna; ai lati quattro colonne di un tempio, quello della Scienza, sulle quali sarebbero stati segnati i nomi di chi aderiva. In alto, al centro del frontone, fungeva da nume tutelare l’immagine di Galileo con lunga barba bianca, omaggiato da due “geni alati”.
La scelta di Pisa rincrebbe al marchese Cosimo Ridolfi, possidente terriero e sperimentatore in campo agronomico, che in quel periodo dirigeva la Zecca. Egli era genero di un Guicciardini e primo cugino di Gino Capponi, uno dei leader del “moderatismo toscano”. Da anni collaborava con l’eminenza grigia della Firenze laica, Gian Pietro Viesseux, il quale già dagli anni ‘20 aveva dato notizia sulla sua Antologia dei convegni tra gli scienziati di altri Paesi.
Nel 1834 Ridolfi aveva ospitato a Firenze uno dei più promettenti studiosi delle applicazioni dei campi elettrici, il forlivese Carlo Matteucci, il quale dichiarò la sua indisponibilità a partecipare al convegno se - come sembrava prevedibile - il governo pontificio non avesse consentito l’adesione ai propri sudditi.
Carlo L. Bonaparte vantava l’amicizia con Gregorio XVI, tuttavia a pesare nei rapporti tra Roma e Firenze c’era l’annosa irrisolta questione della restituzione alla Santa Sede dei beni ecclesiastici sequestrati in Toscana durante il regime napoleonico. Dato che il fratello maggiore di Neri Corsini, Tommaso, era un patrizio romano, qualcuno sperava che una volta pensionato Fossombroni si sarebbe giunti a un compromesso.
I tre fiorentini firmatari del manifesto d’invito, reso noto a metà marzo del 1839, erano: il marchese Vincenzo Antinori, direttore del Museo di Fisica e Storia Naturale che nella sede di palazzo Torregiani esponeva alcuni cimeli di Galileo; l’astronomo G.B. Amici, suo collaboratore; Maurizio Bufalini, titolare della cattedra di Clinica Medica presso l’Ospedale di S. Maria Novella e direttore della Gazzetta delle scienze fisico-mediche, il quale non faceva mistero delle proprie idee liberali.

Entra in campo la Sapienza

Uno dei firmatari pisani era il prof. Paolo Savi, docente nato e vissuto in città, dove aveva aperto il museo universitario di storia naturale. Aveva avviato gli studi sistematici sulla geologia dei Monti Pisani e delle Alpi Apuane, ma si interessava anche all’ornitologia. L’altro era invece un “fuoriuscito” lucchese, Gaetano Giorgini, da pochi mesi Provveditore Generale dell’Università di Pisa: un ruolo chiave nel Comitato promotore, dato che sarebbe toccato a lui occuparsi dei risvolti finanziari e amministrativi del Congresso. Giorgini, laureatosi a Parigi, doveva la nomina al Fossombroni, il quale aveva apprezzato i suoi interventi di idraulica applicata nel piccolo ducato di Lucca, cui da tempo Firenze “faceva la posta”. La sua nomina aveva suscitato qualche malumore nel corpo docente, specie tra quanti ritenevano che gli studi teorici avessero dignità più elevata rispetto alle applicazioni pratiche. Ad esempio la docenza in "Calcolo sublime" (cioè il calcolo differenziale) alla Sapienza era considerata più prestigiosa rispetto a quella in Algebra.
Di quest’ultima nel 1839 era titolare Filippo Corridi, un livornese che aveva potuto studiare a Pisa grazie a una borsa di studio. Egli si dimostrò una risorsa preziosa per Giorgini, che gli affidò il delicato ruolo di Segretario del Congresso. Corridi sfruttò i propri buoni rapporti personali con la stamperia Nistri per diffondere tra i 421 partecipanti registrati al Congresso (molti dei quali non avevano mai visto Pisa) utili indicazioni sulle sedi delle sei Sezioni in cui si articolò l’evento, nei primi 15 giorni di ottobre.
Giorgini l’8 giugno insieme a un gruppo di pisani lanciò la sottoscrizione per l’acquisto di una statua marmorea di Galileo. Il 13 agosto il Comitato diffuse una seconda circolare di invito, rivolta ai “cultori delle scienze naturali”: era stato eliminato il termine “professori”, per giustificare la presenza anche di liberali schedati durante i moti del 1930-31 e di conseguenza esclusi dalla carriera universitaria.
Ad esempio il matematico lombardo Angelo Genocchi, il quale presentò il nuovo sistema di illuminazione a gas di cui si era dotata la città di Milano. Per lui e altri liberali, tra cui l’avv.Vincenzo Salvagnoli, le prime due settimane di ottobre del 1839 furono più un’occasione per confrontarsi con altri leader giunti a Pisa anche senza invito: tra loro Carlo Farini, suddito pontificio. Come previsto, il Congresso ebbe un enorme successo e se ne parlò molto anche in Europa; Ridolfi alla vigilia si era riconciliato con il Comitato, ottenendo la presidenza di una Sezione e, a lavori già aperti, l’assicurazione che nel 1840 si sarebbe tenuto il Congresso a Torino e nel 1841 a Firenze.

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Ultima modifica 18/05/2020