L’economia nell’era Covid

Cosa sappiamo? Cosa possiamo aspettarci?
L’economia nell’era Covid

"L'epidemia è una faccenda di ciascuno e ciascuno deve compiere il suo dovere."
(“La Peste” Albert Camus, scrittore, filosofo)

Nel secondo trimestre l’attività economica ha subìto un rallentamento più brusco di quanto generalmente previsto alla fine del primo trimestre. La congiuntura globale ha sperimentato uno stallo improvviso, poiché molti Paesi hanno adottato severe misure di blocco per frenare la diffusione del coronavirus. Queste azioni hanno portato a un’ampia recessione globale che è stata più profonda e veloce di qualsiasi altra a memoria d’uomo. Nell’aggiornamento di giugno del World Economic Outlook, il  Fondo Monetario Internazionale ha ulteriormente rivisto al ribasso le previsioni formulate in aprile, nelle quali già delineava una recessione mondiale mai sperimentata in tempo di pace: nel complesso dell’economia mondiale il Pil fletterebbe del 4,9% (1,9 punti percentuali in meno rispetto ad aprile); nelle economie avanzate la contrazione sarebbe dell’8%, mentre nei mercati emergenti risulterebbe del 3%. Le previsioni sono ancora più pessimistiche sul commercio mondiale, per il quale anticipano una contrazione dell’11,9%. È come se la congiuntura mondiale stesse andando in frantumi sotto i nostri occhi. Oltre alle centinaia di migliaia di morti, la pandemia provocherà perdite economiche colossali: 9.000 miliardi di dollari per il 2020. Più delle economie di Germania e Giappone messe insieme.
Ciò che conta in questa fase non è però tanto l’entità della contrazione della ricchezza nel periodo del lockdown, quanto la rapidità del recupero successivo, ovvero quanto delle perdite di prodotto interno lordo accusate nella fase delle chiusure si protrarrà ancora, una volta terminata la fase dei vincoli amministrativi, all’attività economica. In questo senso, secondo gli indicatori anticipatori, a sette mesi circa dallo scoppio della pandemia la congiuntura globale sembra orientata verso un recupero ciclico; la ripresa appare tuttavia disomogenea, tra Paesi dove la diffusione del virus mostra una dinamica esponenziale e Paesi che, superato da tempo il picco della pandemia, si confrontano con il pericolo di una seconda ondata. Gli indici globali di fiducia, dopo essere precipitati in aprile, in maggio e giugno hanno iniziato a registrare un’inversione ciclica. In Italia l’industria sta risalendo dai minimi e in agosto la stagione turistica è stata caratterizzata da una crisi grave, ma decisamente meno profonda rispetto a quanto si temesse. È probabile che nel terzo trimestre il Pil registri anche in Italia un recupero significativo, dell’ordine del 10% secondo le previsioni più accreditate. Un aspetto che certamente va sottolineato è che il fatto di vedere un rimbalzo marcato della produzione dopo il lockdown è da interpretare come una sorta di effetto meccanico delle riaperture; in altri termini, chi ha bloccato una quota maggiore della produzione registra poi ovviamente un maggiore numero di riaperture. Ciò è stato reso possibile anche grazie alle politiche economiche, monetarie e fiscali, che sono state molto rapide e di dimensioni decisamente superiori rispetto a quanto osservato nel corso della crisi del 2008, svolgendo un ruolo decisivo nel limitare le perdite in termini di capitale e lavoro utilizzati.
La domanda che tutti si pongono adesso è: quanto durerà? Ovvero, l’attuale scenario si rivelerà drammatico ma breve, con un ritorno all'attività economica una volta appiattita la curva pandemica? O ci troviamo invece all’inizio di una recessione globale profonda e prolungata? Il risultato dipende dalla traiettoria della pandemia, dalle politiche messe in atto per contenerla e dal fatto che queste siano sufficienti a contenere i danni mentre si ricostruisce la fiducia dei consumatori e delle imprese. Inrealtà, nessuno può veramente sapere cosa succederà nei prossimi mesi e anni, ma è possibile individuare alcuni tra i fatti economici e sociali che stanno accadendo e che è molto probabile che accadranno nel prossimo futuro. Una cosa che appare certa è che continueremo ad assistere a una forte ondata di disoccupazione, più o meno mitigata nella durata e nelle conseguenze dagli interventi dei governi e delle organizzazioni assistenziali. Da questo punto di vista sono terrificanti i dati dei senza lavoro negli Usa. La Banca Centrale statunitense ha stimato che si arriverà a registrare nel Paese un livello di disoccupazione pari al 25% (considerando anche quelli che lavoravano in nero, che hanno lasciato in via permanente il mercato del lavoro e i giovani che non sono ancora riusciti a entrarvi). Il fenomeno sta toccando anche molti dirigenti e quadri. A testimoniarlo, tra l’altro, la presenza di molte vetture Mercedes e Bmw nelle lunghe code di auto in fila per ottenere un pacco viveri in varie città. Si valuta inoltre che con la ripresa all’incirca il 40% delle persone licenziate non ritroverà il lavoro di prima e che molti di quelli che torneranno alle loro occupazioni riceveranno un salario più basso. Di conseguenza non può mancare un aumento dei livelli di povertà nel mondo. La Banca Mondiale stima che il virus spingerà 60 milioni di persone in più verso una condizione di povertà estrema, ovvero di chi dispone di meno di 1,90 dollari al giorno.
Insieme alla povertà, le diseguaglianze. Gli esperti del Comitato delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano hanno pubblicato un rapporto in materia, secondo cui l’indice dello sviluppo umano nel mondo, in relazione alla crisi del coronavirus, sta conoscendo un declino rapido e senza precedenti, cancellando tutti i progressi fatti negli ultimi sei anni: si tratta della più grave caduta dal 1929. Per far fronte alla crisi i governi dovranno necessariamente aumentare i deficit di bilancio, con un conseguente incremento dell’indebitamento. Tipico è il caso dell’Italia, il cui governo teme che quest’anno il livello del debito raggiunga il 160% del Pil, mentre dovrebbe arrivare al 200% in Grecia, al 130% in Portogallo e avvicinarsi al 120% in Francia.
Al contempo, dovrebbe aumentare anche l’indebitamento delle imprese e delle famiglie: le conseguenze negative di questo fenomeno saranno attenuate dal bassissimo livello dei tassi di interesse, ma nessuno può essere certo che essi rimarranno per sempre su valori così ridotti. Come si farà fronte a questo aumento dei debiti? In mancanza di una marcata crescita dell’economia, si dovrà ricorrere al taglio delle spese e/o a una lievitazione della tassazione. Di recente, la Banca Mondiale ha lanciato un’iniziativa perché i creditori alleggeriscano il carico dei debiti dei Paesi più poveri, e questo è perlomeno un fatto positivo portato dal coronavirus.
Un’altra tendenza fatta emergere dalla pandemia riguarda il lavoro a distanza. Solo in Italia il fenomeno dovrebbe aver toccato fino a 8 milioni di persone. Si pensa che tale tendenza permarrà anche dopo la crisi. Che non si tratti di una moda passeggera è dimostrato, ad esempio, dal caso di Facebook, che prevede che entro una decina di anni circa il 50% della sua forza lavoro opererà da remoto. Twitter e la casa di investimenti Schroders, dal canto loro, hanno annunciato che i propri impiegati potrebbero chiedere di lavorare a domicilio per sempre. In effetti tale forma di organizzazione (che tocca soprattutto gli impiegati, meno gli operai) presenta numerosi vantaggi per i datori di lavoro, soprattutto in termini di risparmio di spazi, di attrezzature e di impianti. Ma si rischia così facendo di far deperire le interazioni tra le persone, che sono una delle fonti principali della crescita e dell’innovazione nelle aziende. In ogni caso potrebbero manifestarsi alcuni vantaggi per la società intera, quali la riduzione nei livelli di inquinamento e congestione delle città. L’attuale crisi ha inoltre portato in dote il rafforzamento di grandi gruppi operanti in alcuni settori, legati soprattutto alla tecnologia, con il conseguente rischio che questi si abbandonino alla tentazione di far pesare sempre di più il loro potere economico e finanziario: da una parte per determinare le decisioni dei governi, dall’altra per cercare di assorbire i potenziali concorrenti all’orizzonte. Molto significativo è anche l’impatto della pandemia sulla globalizzazione. Si è infatti scoperto che, a causa della chiusura delle fabbriche in Oriente, gli stabilimenti dell’auto in molti Paesi si sono fermati per mancanza di pezzi, e si è visto cosa ha significato la mancanza di medicinali e di dispositivi di igienizzazione e protezione individuale. Intanto si chiudevano le frontiere anche in Europa, il Giappone offriva compensi in denaro a chi riportava nel Paese attività oggi localizzate in Cina, Trump minacciava in molti modi i commerci di Huawei (società di telecomunicazioni cinese) e bloccava alcuni investimenti in titoli cinesi da parte di organismi pubblici USA.
L’Organizzazione Mondiale del Commercio segnala che nel primo semestre del 2020 vi è stata una drammatica caduta del commercio internazionale. Ci si può chiedere cosa succederà ora. Quello che appare certo è che un certo livello di “deglobalizzazione” prenderà piede nel mondo, aiutato anche dai processi di sviluppo tecnologico. Ciò che invece è poco chiaro è sino a dove si spingerà questo processo.
Ma il coronavirus ci porta anche qualche buona notizia. La pandemia ha sottolineato l’importanza dei fattori ambientali, sociali e di governance (ESG), in quanto si è potuto vedere che le aziende meglio preparate a gestire questi rischi hanno affrontato meglio la crisi, distinguendosi per le capacità di prevenzione dei disastri, compresa la gestione della catena di fornitura e la pianificazione della continuità operativa. Con il settore privato impegnato a svolgere un ruolo chiave negli sforzi volti ad arginare il virus e ad adattarsi al mutamento delle abitudini di consumo, le aziende che possiedono solide credenziali ESG saranno le più preparate per affrontare i drammatici cambiamenti in atto in tutto il mondo.
In sintesi, è indubbio che le restrizioni per combattere il coronavirus avranno un impatto rilevante e probabilmente duraturo sul modo di vivere, lavorare, studiare, viaggiare e divertirsi, in particolare sulle giovani generazioni. Siamo a un punto di svolta. Le dinamiche di globalizzazione, di consumo e, più in generale, di sviluppo, pongono problemi che è divenuto troppo difficile - se non impossibile - aggirare o rimandare. Serve una presa di coscienza collettiva, che coinvolga i vari livelli di azione del sistema economico. Da quello macro, che coinvolge le istituzioni, a quello micro (comportamenti individuali), nel contesto di un rinnovato patto sociale, che veda aumentati i livelli di fiducia verso le proprie classi dirigenti e, in generale, le istituzioni.

Rubrica: 
Ultima modifica 15/03/2021