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Bologna

La città del “bon vivre” per eccellenza. Ma non solo. Perché la capitale dell’Emilia-Romagna è anche una fucina di intellettuali tra le più prolifiche in Italia

«C’è come un’aura grave e dotta che si libra e si stende su questa città, e che basterebbe da sé a lasciargli di essa un’impressione particolare e affatto distinta fra tutte le altre città. Bologna vivrà anche in modo spiccato nella memoria del visitatore per i suoi istituti, le sue chiese, i suoi palazzi e soprattutto per l’Accademia di Belle Arti...». Così il romanziere inglese Charles Dickens (1812-1870) descriveva la città felsinea nel novembre del 1844, esaltandone quelle caratteristiche che la rendono unica. Sono passati tanti anni da allora, ma Bologna continua a mantenere quell’aura e aggirandosi per le strade del centro storico si resta incantati dall’arte e dalla cultura in ogni angolo. Scenografie che restano nella memoria e che si svelano a uno sguardo curioso. A iniziare dai luoghi di Pier Paolo Pasolini, scrittore, regista, poeta e maître à penser, che qui è nato il 5 marzo 1922 (nell’incipit del poema autobiografico “Poeta delle ceneri” la definirà “una città piena di portici”) e vi ha vissuto a lungo, avendo con il capoluogo emiliano un legame indissolubile, oltre ad aver girato alcune scene dei famosi film. Ad esempio, sulle scalinate della Basilica di San Petronio quelle finali dell’Edipo Re (1967). Il controverso e (allora) censurato Salò o le 120 giornate (1975), invece, ebbe tra i vari set villa Aldini, un edificio neoclassico sui colli bolognesi. Anagrafe a parte, qui ci sono le radici della cultura e dell’immaginario pasoliniano. Questi sono i luoghi in cui ha mosso i primi passi nella letteratura, studiando a fondo e con passione la lingua latina e quella greca, appassionandosi per le arti figurative, il cinema e il teatro. Più in là con l’età, per la verità, confidò in un’intervista a Enzo Biagi che, non fosse stato abile con la penna, gli sarebbe piaciuto diventare un bravo calciatore. Lo sport e l’eros, amava dire, rappresentano due facce della condizione umana dalle quali non si può prescindere. Qui ha conosciuto una figura per lui fondamentale come Roberto Longhi, un peso massimo della critica d’arte in Italia. Sono gli anni in cui deve fare i conti col regime fascista, che inizialmente il giovane poeta vive come riflesso dell’autorità paterna e contro il quale, maturando le sue convinzioni politiche, poi si ribellerà. «Cos’ha Bologna che è così bella? L’inverno col sole e la neve, l’aria barbaricamente azzurra sul cotto. Dopo Venezia, Bologna è la più bella città d’Italia, questo spero sia noto», scriveva nel 1969 sulla rivista “Tempo”.

Passava ore al Portico della Morte (prende il nome dal vicino ospedale – oggi sede del Museo civico archeologico – gestito dalla Compagnia della morte che si prendeva cura dei malati nel XIV secolo), vicino alla Basilica di San Petronio, dove affaccia la storica Libreria Nanni. «Pasolini all’uscita del liceo si precipitava qui e spendeva interi pomeriggi a guardare e sfogliare pagine su pagine. Per noi questa è una grande pubblicità: la gente viene da tutto il mondo per vedere il posto in cui l’autore ha acquistato i testi a lui più cari», spiega Andrea Nanni, libraio e gestore dell’omonima libreria. Ne “I Quaderni”, lo scrittore riporta questa citazione.

Atmosfere parigine

«È il più bel ricordo di Bologna. Mi ricorda L’Idiota di Dostoevskij, mi ricorda il Macbeth di Shakespeare... A quindici anni ho cominciato a comprare lì i miei primi libri, ed è stato bellissimo, perché non si legge mai più, in tutta la vita, con la gioia con cui si leggeva allora». Da fuori dà l’idea di essere a Parigi con le caratteristiche “bancarelle” – che ricordano quelle dei bouquinistes lungo le rive della Senna attorno a Notre Dame – ,volute da Arnaldo Nanni nel 1928, quando rilevò la libreria dalla famiglia Marchesi che l’aveva fondata nel 1825. È questa una libreria dove si possono trovare moltissimi libri usati e che piace anche a Pupi Avati. «È stato Giorgio Forattini a farmi innamorare dei libri usati. Ci sono sottolineature, delle note, che ti mettono in contatto con chi ha posseduto quel libro e ritrovi una sorta di vita ulteriore tra quelle pagine», dice il popolare regista. Tanti i personaggi passati di qui. Lo stesso Umberto Eco, professore di semiotica all’Università, ogni tanto vi faceva capolino in cerca di qualche volume per la sua straordinaria biblioteca milanese. Parliamo di 35 mila libri, molti di inestimabile valore, che da Milano traslocheranno proprio a Bologna una volta perfezionato l’accordo tra gli eredi dello scrittore alessandrino, l’Unibo e il CNR.

A Pasolini sono dedicate due sezioni e non di rado in città capita di sentir parlare di lui. Numerosi sono i luoghi che frequentò, come il Liceo classico Luigi Galvani (per tre anni, dal 1936 al 1939) che fa emergere subito la vocazione letteraria e umanistica. Il voto in pagella in lettere latine, italiano e greco non scende mai sotto il 7, e molti sono gli 8. In condotta aveva addirittura 10, mentre raggiungeva a stento la sufficienza in matematica e fisica. Superato di poco l’ingresso dell’Istituto – in via Castiglione 38 – una targa ricorda quel periodo di studi: “Pier Paolo Pasolini studente storico di questa scuola” e a lui è dedicata anche la biblioteca che un tempo era l’Oratorio dei Gesuiti. A pochi passi dal liceo – in via Borgonuovo 4 – c’è la sua casa natale, anche se non è visitabile, in quanto è una foresteria della Guardia di Finanza. Su una parete, la lastra di marmo commemorativa in cui sono impresse le parole: “In questa casa nacque Pier Paolo Pasolini, poeta scrittore regista”. Nella biblioteca della Cineteca, invece, sede del Centro Studi/Archivio Pier Paolo Pasolini, sono conservati i documenti originali relativi alle sue opere cinematografiche: foto di scena, sceneggiature, ritagli stampa, oltre a rari documenti audiovisivi. A Pasolini riporta pure il Modernissimo, il cinema tornato al suo splendore dopo quindici anni di chiusura, proprio davanti a Piazza Maggiore, in via Rizzoli 1/2, con tanto di insegna liberty originale all’esterno. Propone una programmazione di classici, restauri, film contemporanei, incontri con artisti. Da vedere, inoltre, la mostra “Bologna fotografata!” Persone, luoghi, fotografi, allestita - sempre dalla Cineteca - nel vicino sottopasso (fino al 4 agosto). Nei mesi estivi di giugno e luglio, poi, va in scena “Sotto le Stelle del Cinema”, la rassegna cinematografica all’aperto con la scenografia di Piazza Maggiore. Sempre in Piazza, a giugno, c’è l’anteprima di Cinema Ritrovato, le più belle pellicole del passato, restaurate nel laboratorio (adorato a Hollywood) della Cineteca.

Il pittore del silenzio

Un altro personaggio che ha lasciato il segno in città è Giorgio Morandi, una delle più celebri figure del Novecento italiano (1890-1964). Proprio quest’anno si celebrano i sessant’anni dalla sua morte. Merita una visita la sua casa, in Via Fondazza 36 (ingresso gratuito), dove abitò insieme alle sue sorelle, Anna, Dina e Maria Teresa, non essendosi mai sposato, dal 1933 fino alla morte nel 1964. Bottiglie, ciotole, scodelle, vasi, scatole di ogni dimensione, conchiglie, hanno ritrovano il loro posto nell’atelier e nel ripostiglio, ricostruiti per apparire così come erano ai tempi in cui viveva l’artista. Oggetti, apparentemente senza valore, che lui stesso aveva comprato da qualche rigattiere o che aveva recuperato in cucina (i famosi barattoli tanto immortalati sulle sue tele, altro non erano che contenitori di Ovomaltina, una sorta di cacao da sciogliere, di cui era un grande consumatore ogni pomeriggio alle cinque), e lo facevano partire per il suo “viaggio personale”. La fantasia era l’unica concessione alla sua solitudine. Il “pittore delle bottiglie”, com’è stato affettuosamente definito, spaziava con “le cose protagoniste dei suoi quadri”, le guardava durante le giornate assolate per vedere i giochi di luce che si riflettevano sulle superfici, le osservava alla sera quando i colori non erano più vivi e sembravano assomigliarsi tutti. Gli piaceva che la vita quotidiana, fatta di piccoli cambiamenti, le rendesse diverse ogni giorno, soprattutto con un filo di polvere in più. Pochi viaggi fuori Bologna, scarsi contatti con la gente. E dire che aveva sperimentato, prima di approdare alla sua caratteristica poetica pittorica negli anni ’20, tutte le possibili tecniche: impressionismo, futurismo, cubismo, metafisicismo. Nell’atelier un interessante percorso - costruito attraverso un’accurata selezione di fotografie, libri e documenti di vario genere - racconta i principali momenti della vita del maestro, i rapporti con la famiglia, la formazione artistica, e gli incontri con personalità del mondo del cinema e dell’arte. Installazioni audio-video, una biblioteca con più di 600 volumi - consultabili su prenotazione - e una sala polivalente dedicata a incontri, seminari e attività culturali, contribuiscono ad approfondire la sua opera. Per ammirare i suoi quadri si va al Museo Morandi all’interno del MAMbo - Museo d’Arte Moderna, nella sede dell’Ex Forno del Pane (in via Don Minzoni 14). Fino al 7 luglio è visitabile anche la mostra “Morandi’s Books”, una serie fotografica dell’artista americana Mary Ellen Bartley che ha realizzato personali composizioni costruite con i libri appartenuti a Morandi.

Alma Mater Studiorum

La cultura, l’abbiamo detto, si respira in ogni dove e del resto uno dei tanti appellativi è proprio quello di Dotta, per via della sua Università, la più antica d’Europa (1088). Pare che in città sarebbe nata pure la consuetudine di conferire, al termine degli studi, un documento chiamato “laurea” (dal latino “laureus” che significa “cinto d’alloro”, il simbolo dei poeti e dei sapienti). Una tappa da non perdere è proprio il Palazzo dell’Archiginnasio - sotto il portico del Pavaglione patrimonio Unesco insieme ad altri undici tratti di questo lungo “ombrello di pietra” - eretto tra il 1562 e il 1563 che ha ospitato le lezioni dell’Ateneo, scandite dal rintocco della “Scolara”, una delle campane della vicina Chiesa di San Petronio. Le pareti delle sale, le volte degli scaloni e dei loggiati sono abbellite da iscrizioni celebrative dei maestri dello Studio e da migliaia di stemmi e di iscrizioni, a perenne ricordo dei tanti studenti e professori provenienti da tutto il mondo che hanno frequentato questo edificio. Al suo interno anche la sala del Teatro Anatomico, così chiamata per il suo aspetto ad anfiteatro. Sempre in zona, apre le sue porte il Museo della Musica (in strada Maggiore), all’interno del Palazzo Sanguinetti e del resto Bologna è stata dichiarata dall’Unesco “città creativa della musica” (dal 2006). Al piano nobile spartiti, partiture, lettere, manoscritti e antichi strumenti fanno rivivere cinque secoli di storia della musica europea e qui studiò anche Mozart, seguito da Padre Martini, grande erudito e compositore. Visibile la prova del suo compito (aveva 14 anni) per accedere all’Accademia Filarmonica.

Tra i nuovi musei, c’è il Museo Ottocento, dedicato alla pittura bolognese del XIX e XX secolo, in piazza San Michele, con opere di Giovanni Paolo Bedini, Alfredo Protti, Luigi Busi, e tanti altri. Vale la pena spingersi verso la prima periferia per il Mast (in via Speranza), una città nella città, con edifici, porticati, terrazze, gallerie, spazi verdi e una grande vasca ornamentale. Ospita mostre temporanee a ingresso libero. Infine, una sosta al cimitero monumentale della Certosa, a poca distanza, uno dei più antichi d’Europa, che si caratterizza per la scultura e l’architettura del XIX e del XX secolo. Di recente è stato anche lanciato un percorso di visita virtuale - il progetto VN 360° - fruibile attraverso qualsiasi dispositivo con accesso a Internet e con visori VR, che permette di scoprire gli spazi di questo “luogo senza tempo” da punti di vista normalmente inaccessibili durante la visita fisica, come i dettagli di decorazioni pittoriche, elementi architettonici dei soffitti o decori scultorei di arcate e colonne. Così la Sala del Colombario, uno degli spazi storici coperti più vasti di Bologna, accoglie diversi capolavori. Tra questi il grandioso Monumento a Gioacchino Murat, re di Napoli e generale della cavalleria imperiale francese, realizzato nel 1864 dal più celebre scultore europeo del momento, Vincenzo Vela. Il marmo fu voluto dalla figlia di Gioacchino, Letizia, che non desiderò essere sepolta nella tomba di famiglia collocata a poca distanza, ma in un sepolcro tutto per sé in ricordo del padre. Durante l’Ottocento fu meta privilegiata dei visitatori del Gran Tour. Lord Byron, Jules Janin, Charles Dickens hanno lasciato traccia scritta della loro passeggiata tra cipressi e cappelle. Vi si trovano le tombe di Giorgio Morandi e del premio Nobel per la letteratura e “Vate d’Italia” Giosuè Carducci. E non ci si può non fermare commossi davanti all’inconfondibile sagoma dell’uomo col bastone e il cappello: il luogo del riposo eterno per Lucio Dalla.