Quando i prodotti di largo consumo meritano di essere messi in mostra
Un autentico tesoro. Un bene da valorizzare e da sostenere. E ancora una volta, una storia di eccellenza tutta italiana. I Musei di Impresa sono ormai diventati parte integrante del panorama culturale nazionale, e attirano ogni anno migliaia di visitatori. Tanto che nel 2001 è nata a Milano l’associazione Museimpresa, una rete unica a livello europeo, che riunisce appunto archivi e musei di impresa, con lo scopo di tutelarne e promuoverne il patrimonio. Negli anni il numero degli associati ha continuato a crescere, fino a raggiungere quota 154. A fare la parte del leone è – come prevedibile – la Lombardia con 51 aziende associate. Seguono il Piemonte (25) e il Lazio (17).
Negli ultimi anni (con un’impennata durante il periodo del Covid) si sono moltiplicate queste strutture che raccontano le storie delle aziende e dei loro prodotti. Prodotti che spesso si sono trasformati in vere e proprie icone, diventando simboli di un’epoca.
Basta pensare per esempio al Museo Kartell che ha sede a Noviglio (Milano). Fondato nel ’99 da Claudio Luti, presidente della società, nel 2001 è stato addirittura insignito del Premio Guggenheim Impresa & Cultura come miglior museo di impresa. La sua collezione, che si arricchisce di anno in anno, conta oltre 8.000 prodotti, 15.000 fotografie e 5.000 disegni. Tra gli oggetti esposti, molti hanno ottenuto il Compasso d’Oro e portano la firma di designer famosi. Tra i pezzi da segnalare: la seggiola per bambini K1340 progettata da Marco Zanuso e Richard Sapper nel 1964, prima seduta al mondo prodotta interamente in materiale plastico; e la rivoluzionaria libreria Bookworm di Ron Arad, pensata come un pezzo unico in metallo e “tradotta” da Kartell in un originale oggetto in estruso di PVC, flessibile e resistente nello stesso tempo.
«Perché proprio a noi il Premio Guggenheim? Il nostro Museo è stato aperto 25 anni fa, siamo stati un po’ dei pionieri in questo campo, e il Premio ha voluto essere anche un riconoscimento per questo. Oltre che per la quantità degli oggetti e dei documenti in esposizione, che raccontano non solo la storia dell’azienda ma anche quella del design in generale e dell’evoluzione del materiale plastico – considera Elisa Storace, curator del Museo Kartell –. In più non va sottovalutato l’allestimento scenografico studiato da Ferruccio Laviani (il designer che tra l’altro ha firmato per Kartell un pezzo intramontabile come la lampada Bourgie, ndr). Il percorso espositivo segue un ordine cronologico, ma in ogni stanza si affronta una particolare narrazione tematica. I pezzi, retro-illuminati, emergono davanti agli occhi del visitatore come sculture. L’impatto emozionale è molto forte».
Anche per un’azienda come Alessi a un certo punto era diventato quasi inevitabile realizzare una propria esposizione. Tanto più che molti dei suoi oggetti si trovano esposti in oltre 50 musei e istituzioni culturali in tutto il mondo (tra questi il MoMA di New York, Il Centre George Pompidou di Parigi, il Victoria & Albert Museum di Londra). Ecco allora nascere ad Omegna, già nel 1998, il Museo Alessi, dove oggi sono custodite circa 25 mila opere di design, inclusi prototipi, stampi e bozzetti. A progettarlo è stato Alessandro Mendini, che oltre ad essere uno dei designer italiani più eclettici e innovatori, per Alessi ha creato pezzi senza tempo come le diverse versioni del cavatappi antropomorfo Anna G.
«In realtà la nostra struttura è organizzata più come archivio che come vero e proprio museo – spiega la curator Francesca Appiani –. Gli oggetti sono classificati in base alla loro funzione, e la raccolta ha anche la funzione di strumento operativo. I progettisti e gli addetti marketing possono consultare i documenti e studiare disegni e prototipi». Non si pensi, però, che il Museo Alessi sia soltanto un luogo di studio. In realtà la valenza artistica è fortissima. Tanto che vengono organizzate iniziative culturali, mostre e prestiti. «L’anno scorso – continua Appiani – abbiamo partecipato a 33 esposizioni temporanee in tutto il mondo. Mandando non solo i pezzi delle collezioni, ma anche prototipi e disegni». Già, perché spesso sono proprio questi ultimi ad attirare l’attenzione degli appassionati. Tra le “star” sicuramente il prototipo in cartoncino della caffettiera 9090 con chiusura a leva disegnata da Richard Sapper. In questo caso il pezzo è poi diventato un best seller, ma molti disegni non sono stati sviluppati. «Sono quelli che noi chiamiamo “progetti congelati” – spiega Francesca Appiani –. Magari firmati da grandissimi designer, ma per qualche motivo non passati alla fase della realizzazione. Ora Alessi sta pensando di recuperare parte di questo patrimonio, mettendo in produzione alcuni pezzi e rilanciandone altri usciti da tempo dal catalogo». Perché il design, come l’arte, non ha tempo.
E di design parla anche il Molteni Museum realizzato dall’omonima, storica azienda di arredamento fondata nel 1934 a Giussano (Monza Brianza) da Angelo Molteni. Che è stato tra l’altro uno dei 14 fondatori del primo Salone del Mobile. Inaugurato nel 2015 per celebrare gli 80 anni del Gruppo, oggi il Molteni Museum è allocato nello scenografico Glass Cube, un padiglione che già di per sé è un’opera d’arte. Il percorso tra arredi, documenti e materiali d’archivio racconta 90 anni di storia del brand e ripercorre alcune tra le tappe fondamentali del design mondiale. Nel 2012 Molteni&C in collaborazione con l’Archivio Gio Ponti e gli eredi del grande architetto ha dato vita alla Collezione Gio Ponti. E di questa fanno parte anche alcuni pezzi iconici inseriti nella collezione permanente del museo, come la scrivania D.847.1 e il coffee table D.552.2.
Pezzi che hanno segnato un’epoca. Così come gli indimenticabili cartelloni pubblicitari esposti alla Galleria Campari di Sesto San Giovanni (Milano). Inaugurata nel 2010 in occasione dei 150 anni dell’azienda, si trova all’interno dell’Headquarter del Gruppo, progettato dall’architetto Mario Botta. Insieme ad installazioni interattive, ospita manifesti della Belle Epoque, disegni, schizzi e libri d’artista realizzati da artisti come Dudovich, Depero, Munari. E racconta anche il rapporto tra il brand e il mondo del cinema, vivo fin dagli anni ’60 con i Caroselli e rafforzato poi con gli spot televisivi e i cortometraggi firmati da registi del calibro di Fellini, Sorrentino, Garrone. Oltre a questo, la Galleria ospita anche una selezione di strumenti del mondo della miscelazione, bottiglie e bicchieri storici, oggetti di design legati al culto tutto milanese dell’aperitivo.
Nel 2009, un anno prima dell’apertura di Galleria Campari, era stato inaugurato sempre a Milano un altro museo d’impresa legato all’industria del beverage e con una lunghissima storia alle spalle: il Museo Branca della Fratelli Branca Distillerie. «Si tratta di un’area di mille metri quadrati ubicata all’interno dell’unità produttiva. Il percorso espositivo è un viaggio tra profumi, spezie, suggestioni culturali», racconta il direttore, Marco Ponzano, che dagli anni 70 lavora in azienda e oggi si occupa a tempo pieno del Museo. Una storia affascinante, quella della Fratelli Branca Distillerie. Il capostipite, Bernardino, era un esperto di erbe officinali e aveva un laboratorio sul Lago Maggiore. Tra il 1835 e il 1837, quando a Milano si diffuse il colera asiatico, scese in città portando uno speciale elisir che propose a padre Nappi, allora direttore dell’Ospedale Fatebenefratelli. L’elisir fu testato sui malati, con buoni risultati, e da quel momento iniziò l’avventura della dinastia Branca. «Un’avventura che è sempre stata legata a doppio filo al territorio, anche dal punto di vista sociale, come nel caso di altre grandi aziende lombarde – continua Ponzano –. Nel ’26 era stato creato il dopolavoro, che offriva l’opportunità di fare sport non solo ai dipendenti, ma anche alla gente del quartiere. Poi c’erano le colonie estive per i bambini. Nei terreni a ridosso della fabbrica si coltivavano frutta e mais, e nel periodo della guerra venivano fatte distribuzioni gratuite di cibo. Più tardi, negli anni 60, durante gli scioperi caldi, la Branca faceva arrivare i pasti agli operai impegnati nei picchetti davanti alle fabbriche».
Storie che sembrano passato remoto, e che vengono ricordate lungo il percorso espositivo del Museo. Insieme a una “storia d’amore” che non si è mai interrotta: quella tra il brand Branca e il design. Un legame storico che inizia con i manifesti pubblicitari e i calendari, prosegue con i Caroselli (indimenticabili quelli con le figurine di plastilina realizzati dallo Studio K di Firenze) ed è più vivo che mai ancora oggi. «In occasione di Expo, la ciminiera della nostra fabbrica è stata dipinta dagli artisti di Orticanoodles, diventando il primo esempio di street art verticale – racconta ancora Marco Ponzano –. E durante la Design Week abbiamo spesso sponsorizzato diverse iniziative».
Oggi anche il Museo Branca, così come la maggior parte dei musei d’impresa italiani, sta registrando un forte incremento di visitatori: studenti universitari, gente che vuole scoprire la storia del proprio territorio, e più di recente tantissimi stranieri.
«Il turismo industriale in Italia sta vivendo un periodo di forte crescita, grazie alla sempre maggiore attenzione e valorizzazione del patrimonio aziendale e della memoria storica», confermano a Museimpresa. Secondo l’Osservatorio sul Turismo Industriale creato dall’Associazione insieme a Nomisma, il settore è dominato proprio da musei e archivi d’impresa, che rappresentano una valida e originale meta culturale.
«La Lombardia si distingue come una delle regioni con la maggiore concentrazione di queste strutture, contribuendo significativamente alla diffusione della cultura d’impresa. Sebbene il pubblico sia prevalentemente italiano (67%), esiste un grande potenziale di sviluppo verso un’audience internazionale. Gli investimenti recenti si concentrano su digitalizzazione, accessibilità e innovazione, con il 47% delle realtà pronte a introdurre app interattive nei prossimi anni». Le prospettive? «Puntano su esperienze immersive, collaborazioni con istituzioni culturali e un rafforzamento delle strategie di marketing per rendere il turismo industriale un motore di sviluppo sostenibile».