
Vino come sapienza produttiva, come tradizione, come cultura, ma anche - in alcuni casi - come importante storia familiare: è il caso di Allegrini, azienda agricola che ha da molte generazioni le sue solide radici nel territorio della Valpolicella, in provincia di Verona. Un’azienda con una lunga storia alle spalle, ma anche una realtà dinamica e in continuo sviluppo: come ci racconta Marilisa Allegrini, titolare dell’azienda.
Come nasce l’Azienda Allegrini? Qual è la sua storia fino a oggi e quale la particolarità che caratterizza un’azienda vinicola di questo tipo?
La nostra è un’azienda storica della Valpolicella: la mia famiglia vive in questo territorio e in specifico in questo paese, Fumane, che si trova proprio nella Valpolicella classica, da moltissimi anni: ci sono documenti che citano la presenza nel 1500 di un tale Allegrino Allegrini, che era già un agricoltore dedito prevalentemente alla coltivazione della vite. Anche se in quegli anni non era l’unica coltivazione del territorio: come tutte le zone agricole, ciò che si produceva doveva servire al sostentamento della famiglia. Non esisteva quindi all’epoca una coltivazione intensiva della vite come invece è avvenuto successivamente, quando il mercato del vino si è sviluppato, non solo dal punto di vista del mercato italiano ma anche per quanto riguarda il mercato straniero.
Possiamo insomma dire che si tratta di un’azienda storica. Con l’aggiunta, però, di una considerazione: come in generale tutta la viticoltura in Italia, il suo sviluppo è avvenuto principalmente a partire dal dopoguerra. È in questo periodo, infatti, che hanno incominciato a svilupparsi i mercati esteri, che le aziende hanno iniziato a esportare i loro vini… e anche per quanto ci riguarda, possiamo dire che proprio nel dopoguerra abbiamo dato una reale identità all’azienda. Sono stati inizialmente mio padre, Giovanni, e mio zio, Francesco, che hanno impostato l’azienda così come la vediamo oggi, anche se - chiaramente - le dimensioni attuali sono molto diverse da quelle di quegli anni. Le scelte di mio padre e mio zio, valide ancora oggi, sono state fin da subito di orientarsi alla qualità del prodotto. Cosa che in quegli anni non era affatto scontata: in generale la Valpolicella era conosciuta soprattutto per vini di volumi, assai più che per vini di qualità. Mio padre e mio zio, invece, hanno voluto questa scelta qualitativa, specializzandosi nei rispettivi ruoli: mio zio si dedicava alla coltivazione dei vigneti e mio padre alla vinificazione. Sono quindi stati, da un certo punto di vista, degli antesignani di tendenze che poi si sono realizzate pienamente negli anni successivi. Il tutto creandosi un know how da autodidatti, dal momento che, all’epoca, non esistevano scuole di viticoltura o simili: la tendenza del mondo agricolo era che le nuove “forze lavoro” dovessero inserirsi il prima possibile nell’attività della famiglia. Credo che li abbia guidati moltissimo l’esperienza (anche il nonno e il bisnonno facevano questo lavoro, quindi c’era già una certa competenza di base avendo potuto vivere da sempre, direttamente, il lavoro in ambito vitivinicolo), ma anche una grandissima passione per il lavoro nei campi e in cantina.
E questa passione è una cosa che anche noi figli - io e i miei fratelli Walter e Franco - abbiamo respirato fin da subito: non abbiamo mai pensato che si potesse fare qualcosa di diverso dal puntare al massimo della qualità, in qualsiasi ambito: nella produzione, nell’ospitalità, nel packaging, nel customer care… questo, in sintesi, è ciò che abbiamo imparato dalla nostra famiglia. Un approccio che porta con sé anche una grande attenzione all’innovazione. Credo sia proprio questa una delle caratteristiche dell’azienda Allegrini che ci ha sempre distinto, sia dal punto di vista della gestione del vigneto, sia da quello della produzione del vino: non essersi mai fermati solo alla tradizione. In altri termini, grande rispetto per ciò che è stato fatto nel passato, ma anche molta volontà di guardare avanti. Ad esempio sono state introdotte nuove tecniche e nuove modalità di impianto del vigneto: questo concetto di innovazione è stato sempre molto sentito e molto “abbracciato”.
Lo zio Francesco è mancato ancora molto giovane, per un incidente automobilistico; quando poi, tempo dopo, anche mio padre è mancato, mio fratello Walter - il primogenito - ha preso in mano la parte viticola, sviluppando ulteriormente molte delle innovazioni che già mio padre aveva iniziato a introdurre: Walter è stato l’anima viticola dell’azienda, il vignaiolo che ha introdotto tante innovazioni ‘sul campo’. Franco, a sua volta, si è occupato della parte enologica, arrivando a essere uno dei migliori winemaker italiani e portando l’azienda ai vertici dell’enologia. Purtroppo entrambi i miei fratelli ci hanno lasciati, e io sono rimasta l’unica rappresentante della mia generazione. E pensare che invece, all’inizio, non credevo che lavorare in azienda fosse la mia scelta naturale: non tanto per qualche forma di ribellione, ma più che altro perché anni fa il lavoro in agricoltura era molto legato al mondo maschile. La donna non era considerata un elemento indispensabile per la continuità aziendale, e così io avevo voluto fare una scelta professionale diversa: inizialmente volevo fare il medico, e poi ho deciso di concentrarmi sulla fisioterapia. Ho lavorato cinque anni in ospedale come fisioterapista, dopo di che mio papà ha voluto che entrassi in azienda: anche da questo punto di vista, è stato un antesignano perché ha capito che la figura femminile poteva fornire un qualcosa in più. Un apporto che, nella sua visione, non necessariamente riguardava la produzione ma aveva soprattutto a che fare con l’approccio al mercato, alla parte commerciale. E così anch’io sono tornata in azienda, a mia volta senza una specifica preparazione; certo, ho seguito corsi di formazione per capirne di più di viticoltura e di vino, di come parlarne, di come raccontarlo. Da qui in avanti, per me è stata una strada molto entusiasmante, perché “raccontare il vino” da parte di un’azienda come la nostra significa raccontare la storia di famiglia: mi era facile raccontare ciò che avevo vissuto sulla mia pelle, che faceva parte del mio dna. Così ho cominciato ad andare in giro per il mondo, a parlare: dapprima del territorio, della città di Verona, delle sue bellezze, del perché valeva la pena di venire a visitare questa bellissima città non molto nota - almeno dal mio punto di vista - all’estero. E poi a presentare la Valpolicella, i motivi per cui questa zona di produzione è così conosciuta, la storia millenaria di questa area produttiva, inserendo i prodotti del territorio all’interno del loro contesto storico: la Valpolicella produceva apprezzatissimi vini già ai tempi dei romani (l’antenato del Valpolicella era il Retico, così come l’antenato dell’Amarone e del Recioto era l’Acinatico). Sono informazioni che i collezionisti, i consumatori più attenti, e anche i sommelier assimilano con interesse e ricordano meglio: un tipo di informazione più completa e memorabile che parlare unicamente dei giorni di macerazione di un determinato tipo di vino, o del passaggio in barrique, o di tipologie di botte… gli aspetti tecnici sono sicuramente importanti, ma devono essere supportati da un quadro più ampio, da un racconto più completo: quello che oggi si chiama “storytelling”, e che io facevo istintivamente fin dall’inizio.
A proposito di elementi tecnici: come si compone la vostra produzione principale? Accennava poco fa a mercati internazionali: quali sono gli sbocchi principali dei vostri prodotti?
Fino agli anni 2000 la nostra produzione più importante è stata quella della Valpolicella, quindi i vini classici di questa zona: Valpolicella, Amarone, Recioto. E poi tutti i “single vineyard”, i vigneti specifici che avevamo acquistato e ai quali avevamo dato un’identità di prodotto, passando dal vigneto al singolo vino: Palazzo della Torre, La Grola, La Poia e Fieramonte. Negli anni 2000, poi, io e mio fratello Walter abbiamo voluto uscire un po’ da quella che era la nostra storia familiare: abbiamo esplorato e poi creato una nuova azienda in Toscana, in un territorio bellissimo che è quello di Bolgheri, vicino al mare. Qui abbiamo creato un’azienda partendo veramente da zero, da terreni incolti. Abbiamo messo insieme queste terre, una settantina di ettari; abbiamo guardato alle esperienze positive della zona; abbiamo deciso le varietà da impiantare e le tipologie di prodotto da realizzare; e così abbiamo creato Poggio al Tesoro, la nuova azienda che è andata ad aggiungersi ai nostri vini della Valpolicella, forte di una denominazione incredibilmente attraente come è quella di Bolgheri. Si tratta di una zona dimensionalmente molto più piccola, ma per noi si è trattato di un’esperienza bellissima, perché creare un’azienda partendo letteralmente da zero significa mettere a frutto tutte le proprie esperienze per portare a compimento con successo una struttura completamente nuova, che non fa parte del nostro vissuto ma che in quello stesso vissuto trova le proprie radici.
Un ampliamento che è poi proseguito anche in anni successivi…
Nel 2007 io ho acquistato un’azienda già esistente - che però ho completamente rivoluzionato dal punto di vista colturale - a Montalcino: altro meraviglioso territorio vinicolo italiano. San Polo, questo il nome dell’azienda, completa così il quadro delle nostre strutture, affiancandosi ad Allegrini in Valpolicella e a Poggio al Tesoro a Bolgheri. L’insieme di queste realtà autonome ha potuto dare un ulteriore impulso al nostro sviluppo commerciale, differenziando la nostra offerta e permettendoci di rispondere alle specifiche richieste dei diversi mercati: in certi luoghi sono più richiesti i vini della Valpolicella, mentre in altri la Toscana ha un grandissimo riscontro. Mettere insieme queste differenti eccellenze è stata per me una delle sfide più appassionanti e coinvolgenti, oltre che più impegnative.
Si parlava di innovazione: quali sono i temi e le aree di intervento su cui siete maggiormente impegnati in questo senso?
Le scelte qualitative sono state fondamentali già al tempo della generazione che ci ha preceduto, ed è una tematica che continua ad essere seguita con grandissima attenzione non solo da noi, ma anche dalle nuove leve della famiglia che lavorano in azienda: i miei nipoti Francesco, Giovanni e Matteo, figli di Franco, e Silvia, figlia di Walter. Un concetto di ricerca di assoluta qualità che è per noi una caratteristica permanente nell’arco del tempo. In aggiunta a questo, adesso le scelte si stanno orientando tutte anche verso il rispetto dell’ambiente e della natura: in vigneto realizziamo coltivazioni quanto più possibili con metodo biologico. Un rispetto che non coinvolge solo (e doverosamente) la natura in sé, ma che ha il massimo riguardo anche alle persone che nella natura operano. E poi c’è tutto il filone del risparmio energetico, che caratterizza tutte le nostre scelte in cantina. Insomma: qualità, ma anche qualità nel rispetto di questi nuovi concetti fondamentali, che dobbiamo abbracciare per avere un’azienda che sia moderna ma anche rispettosa dell’ecosistema.
Oltre alla produzione vinicola, avete anche deciso di aprire le vostre porte ai visitatori: come si declina questa attività?
Come Allegrini offriamo la possibilità di visite alla cantina, di degustazioni, di visite ai vigneti. È noto, del resto, che il settore del turismo del vino è in forte sviluppo, non solo per i visitatori italiani ma anche e soprattutto nei confronti di turisti provenienti dall’estero: Europa, Stati Uniti, e stanno iniziando a crescere anche i mercati asiatici.
In aggiunta a questo, nel 2008 io ho acquistato una villa qui in Valpolicella, che si chiama Villa della Torre, dove viene offerto anche turismo residenziale di qualità: lo scenario è quello di una villa del Cinquecento, uno dei monumenti più importanti del Rinascimento italiano nella zona, ed è quindi molto bella anche da visitare; e sul relativo sito (www.villadellatorre.it) si trovano le varie proposte di tipo alberghiero. Quella dell’ospitalità è un’altra attività in via di sviluppo, di cui attualmente si sta occupando mia figlia Caterina: le mie due figlie (oltre a Caterina c’è Carlotta) sono ancora giovani e non sono ancora entrate in azienda, ma stanno già iniziando a individuare quale sarà la loro collocazione futura. Del resto, questo per loro è il momento di farsi esperienza, di chiarirsi le idee. Perché non importa in quale settore si lavora, l’importante è capire come funziona il mondo del lavoro. Mio padre mi diceva sempre una cosa che io condivido in toto: prima di imparare a comandare bisogna imparare a obbedire.
I progetti per il futuro, quindi, non mancano: c’è qualcosa di specifico su cui state concentrandovi in questo periodo?
Per quello che riguarda Allegrini, il progetto è quello di una cantina molto innovativa, finalizzata al rispetto dell’ambiente e al risparmio energetico.
E poi, come dicevo, stiamo sviluppando molto l’ospitalità; quindi sia a Poggio al Tesoro di Bolgheri che a San Polo di Montalcino stiamo adeguando delle altre strutture di nostra proprietà, al fine di incrementare questo tipo di attività e renderla ancor più completa. Considerando le caratteristiche delle diverse località, per i nostri clienti poter visitare queste tre bellissime zone viticole può davvero trasformarsi in un “mini Grand Tour”, un’esperienza memorabile e ricca di contenuti.