COMO e le vestigia medievali

COMO e le vestigia medievali

La colonia di Como venne edificata dai romani su una piana costiera originata dai detriti di due torrenti, il Cosia e, più a est, il Valduce. La “fine del lago” mutò, nei secoli, per forma e profondità, come testimoniano i resti d’una antica darsena scoperti nel 1961 all’incrocio tra via Carcano e piazza Mazzini, ben lontano dall’attuale Lungolago.
Nel corso del Medioevo la vivacità economica e commerciale del capoluogo lariano portò a un aumento della popolazione e al dissolvimento della rete viaria antica, nell’ambito d’un confine comunque determinato dalle condizioni ambientali. La vicinanza al porto e/o la disponibilità di acqua per le tintorie sono state alla base della dislocazione delle più importanti attività produttive della zona. Il perimetro “quadrato” di Como verso il 1170 venne allargato solamente d’una ventina di metri: le nuove mura seguirono lo schema della cinta tardo-romana abbattuta dai Milanesi nel 1127, al termine della Guerra Decennale. Non si vollero includere i popolosi borghi a est e ovest, né si tenne conto del “consumo di suolo” originato (un secolo prima) dalla scelta dei vescovi di trasferirsi da S. Fedele in una zona prossima al lago. Qui, al nuovo Duomo e ad altre chiese (tra cui San Giacomo, di impronta romanica poi volta, sul finire del cinquecento, al barocco) s’aggiunsero il Pretorio e il Broletto, a significare la vocazione della città verso il suo lago, in direzione opposta rispetto al Baradello, voluto dal Barbarossa quale perno della difesa verso la pianura.
I contrasti tra le consorterie che facevano capo ai “guelfi” Vittani e ai “ghibellini” Rusconi si tradussero, nel corso del ‘200, nella realizzazione di torri poste là dove potevano dare più fastidio agli avversari; questi edifici in pietra, di cui rimangono alcuni esempi in parte ristrutturati, come il Palazzo Pantera (via Rodari) o le facciate di via Lambertenghi, si mescolavano con le abitazioni comuni realizzate in legno, paglia e mattoni; tra le più note, le cosiddette case a sporto di piazza San Fedele. Già in origine servivano sia da abitazione, al primo piano, che da fòndaco e bottega: sulla piazza infatti per secoli ebbe sede il mercato dei grani. Sulla destra della chiesa, verso i giardini di via Vittorio Emanuele, è possibile vedere una “nevera”, edificio in mattoni dove si conservava per mesi la neve refrigerante.
I vecchi quartieri residenziali dopo la riedificazione delle mura non ebbero a disposizione nuovi spazi, anche a causa dell’azione posta in atto dalle famiglie nobili; le quali, sia per ragioni di prestigio che di “sicurezza”, si sforzavano di trasformare le dimore in grandi palazzi articolati su fronte strada e cortili interni, acquisendo (e poi spesso abbattendo) le casupole adiacenti.
Dal 1210, per ordine del Podestà, vennero proibiti i tetti di paglia o di canne, facili a incendiarsi; andavano sostituiti, o con coppi di terracotta, o con lastre di pietra, dette astreghi, oppure con piote (zolle erbose). È chiaro che solo i ricchi o gli enti ecclesiastici potevano permettersi il primo tipo di copertura; il secondo costava meno, ma a causa del peso rendeva necessari interventi strutturali di rinforzo. Il terzo era più economico, ma non preservava le abitazioni dall’umidità, e dopo pochi anni bisognava sostituire le travi. Altri provvedimenti che pesarono maggiormente sui poveri riguardavano la posa e l’uso di reti e nasse sulle rive del lago: vennero vietati i capanni a palafitta, che potevano servire anche ai contrabbandieri; vietate le reti a strascico e la pesca nei corsi d’acqua; era vietato asportare sabbia o creta in corrispondenza del centro cittadino.
Nella seconda metà del secolo la cinta muraria venne estesa fin verso la riva del lago e la foce del Valduce; nel 1284 Lotario Rusconi realizzò in questa zona un nuovo baluardo, la Torre Rotonda, sulla cui area nel ‘700 sarebbe sorto il Teatro Sociale. Nel 1292 la morte di Lotario riaccese le lotte tra questa famiglia e i Vitani, nonostante i tentativi di pacificazione operati dal nuovo vescovo, il francescano Leone Lambertenghi. I Visconti riuscirono a far firmare un accordo tra le due fazioni anche grazie a un gesto molto apprezzato dai comaschi: nel 1296 la città di Lecco, da sempre filo-milanese (ma in effetti legata ai guelfi Torriani) venne rasa al suolo, dopo averne allontanato gli abitanti. Pochi anni dopo iniziò la ricostruzione della città in funzione di piazzaforte sull’itinerario per la Valtellina, vera porta d’accesso al Ducato da nord, a dispetto dei tentativi del vescovo Lambertenghi (e poi del nuovo signore di Como, Franchino Rusconi) di assicurarsi l’accesso privilegiato alle Alpi dalle vallate svizzere occidentali, e non tramite la valle del Reno e il passo dello Spluga, caro invece ai Visconti. Franchino, al potere dal 1311, a complemento delle mura realizzò la terza torre, dedicata a S. Vitale e collegata a Porta Nuova, sul lato nord-orientale. Nel 1333 alcuni sicari al soldo dei Grassi di Cantù raggiunsero e uccisero, in piazza S. Fedele, il giovane Ravizza Rusconi, che fu subito vendicato dai suoi sostenitori, accorsi sul posto; il malcontento verso la dinastia era fomentato dai Vittani e dal nuovo vescovo, cui a causa del perdurare dell’interdetto papale su Como era impedito l’ingresso in città. Due anni più tardi Franchino si risolse a offrire la città ai Visconti, pur di evitare l’ennesima guerra.

Il nuovo porto e la Cortesella

Divenuto signore di Como, il giovane Azzone Visconti decise di ampliare l’intervento, tanto da riservare al naviglio militare la darsena di quella Cittadella fortificata, simbolo del nuovo potere; venne rafforzata la cinta muraria e aperto un Arsenale presso la darsena del Governatore. Per far tacere le rimostranze dei comaschi, e creare anche nuove occasioni di lavoro, a partire dal 1335 egli fece scavare un’ampia darsena semicircolare all’altezza dell’attuale piazza Cavour. Fino al compimento dell’opera, destinata al solo traffico commerciale, i comaschi si avvalsero del “porto antico”, cioè l’erede di quello romano già citato, e di quello di Coloniola, al di là dell’attuale piazza del Popolo; caratteristica della zona erano le rogge derivate dal Valduce, utilizzate dalle lavandaie. Il duca Azzone nel 1336 pose mano alla costruzione del grande ponte a undici arcate che è da allora il simbolo di Lecco; quest’opera divenne ben presto invisa ai comaschi, perché comportò un rallentamento del deflusso dell’Adda e l’innalzamento del livello medio del Lario di un paio di metri: un vantaggio per l’attracco dei barconi di maggior stazza, ma un più grave rischio d’inondazione dei quartieri più bassi della città murata, primo fra tutti Cortesella, cioè la zona alle spalle di piazza Cavour, dove sorgeva la darsena trecentesca. La distruzione pressoché totale di questo quartiere dall’impronta tipicamente medievale venne posta in atto in epoca fascista, e rappresenta uno dei tanti esempi di “piccone risanatore” menato senza risparmio nei centri storici di tutta l’Italia; va comunque ricordato che la richiesta di “dare ossigeno” alla zona venuta a trovarsi a ridosso dei grandi alberghi “vista lago” era nei piani del Comune già nella seconda metà dell’Ottocento, cioè nel periodo in cui Como puntava sul turismo e amava definire piazza Cavour “salotto” della città.
Il “cuore” della Cortesella, che iniziava in via Olginati (al n° 3 casa Bazzi, con bifore medievali) era l’antico macello, prossimo alla chiesa parrocchiale di S. Nazaro, con le venerate reliquie del santo e una gran campana donata dai Rusconi; l’area è stata riedificata e la viabilità (via S. Nazaro, oggi Muralto) modificata e stravolta dal grosso edificio della Banca d’Italia.
Tra la via Ballarini e la vecchia Contrada delle Tre Beccherie si trovava una torre medioevale, oggi con facciata ancora visibile, già sede dell’Università dei Mercanti. Mantiene un’atmosfera medievale la via Vitani, con la Torre Demorata (detta così da quando i Rusconi avevano costretto gli arci-nemici ad abbassarla); nella stessa via, a poca distanza dalla nota Osteria del Gallo, si ammira un affresco tardo-rinascimentale che rappresenta la “dama della scacchiera”. Nelle strade attigue avevano sede, all’epoca, numerose attività artigianali; nell’attuale via Muralto si lavorava il legno; in via Plinio c’erano botteghe orafe, in largo Boldoni i panettieri.

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Ultima modifica 21/03/2018