Le prime esperienze belliche delle CROCEROSSINE

Sull’onda del successo dell’Esposizione Universale del 1906, la milanese Sita Camperio (1877-1968) aprì in città - con l’appoggio di altre esponenti dell’alta borghesia, Rosa De Marchi e Matilde Visconti di Modrone - la prima scuola per infermiere volontarie “dalle donne per le donne”, ispirandosi ad analoghe esperienze già consolidate in altri paesi europei. L’esperienza conobbe un successo immediato, anche grazie alla corrispondenza di Sita, instancabile viaggiatrice, con le strutture internazionali della Croce Rossa.

Nel 1908 la Regina Elena patrocinò il primo corso “al femminile” tenutosi presso l’Ospedale Militare del Celio, cui presero parte numerose donne dell’alta borghesia e della nobiltà. In 260 furono inviate a prestare la loro opera di soccorso ai terremotati di Messina e Reggio del dicembre 1908. Sull’onda di tali esperienze si costituì agli inizi del 1910 il Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana. Alla loro formazione venne destinato un apposito convitto aperto, presso il Policlinico Umberto I, per il quale passarono ben presto un migliaio di persone, tra diplomate ed allieve.

Il nuovo ruolo che andavano assumendo le “dame”, cui sino ad allora era stato chiesto più che altro di contribuire alla dotazione di bende, medicine e viveri posti a disposizione degli ospedali da campo e dei treni-ospedale, non poteva non riflettersi sulla dirigenza della CRI.

I contrasti emersi all’indomani dell’Unità tra il Comitato di Milano, ben visto dal Re, e quello di Firenze, capofila nel rimarcare il carattere laico dell’associazione, avevano indotto i governi della Destra Storica a porre a capo del principale Comitato toscano l’anziano senatore lombardo Gabrio Casati, il quale preparò il terreno per la preminenza fiorentina quando la città divenne capitale (provvisoria) del Regno. Le due sezioni si presentarono separate al Congresso internazionale della Croce Rossa tenutosi in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1868.

Negli anni seguenti, ed in particolare durante il regno di Umberto I (1878-1900), la CRI andò riducendo i legami internazionali per assumere un ruolo ben definito nell’ambito della sanità pubblica, divenuta sempre più “Roma-centrica”. Nel maggio 1882 una legge autorizzò l’esecutivo a conferire alla CRI, che sino ad allora era - formalmente - un’istituzione privata, la qualifi ca di Ente Morale, con i relativi vantaggi fi scali; essa prevedeva anche procedure più snelle per la costituzione dei sotto- comitati locali. Ma la legge attribuiva in via esclusiva il controllo del Comitato Centrale di Roma, da cui dipendevano tutti gli altri, ai ministeri della Guerra e della Marina, cui facevano capo le navi-ospedale. Di fatto si ribadiva la dipendenza dalla Sanità Militare della CRI “nata sul glorioso campo di battaglia di Solferino”.

La riforma, che sanciva il distacco dell’Italia dall’organizzazione ginevrina, suscitò qualche perplessità tra i vecchi dirigenti; fu solamente nel 1886 che il governo di Francesco Crispi riuscì a trovare, per la CRI, un Presidente autorevole ma non proveniente dai ranghi dell’esercito: il barone Gian Luca Cavazzi della Somaglia, nobile milanese sposato alla principessa romana Guendalina Doria Panphili Landi. La coppia s’impegnò a rinsaldare i rapporti con la Croce Rossa Internazionale, che accettò di tenere a Roma nell’aprile 1892 una delle proprie conferenze periodiche. Cavazzi morì nel marzo 1896; a succedergli venne chiamato un altro nobiluomo milanese, il conte Rinaldo Taverna.

Entra in scena Helène d’Orléans

Nel 1894 il duca d’Aosta Emanuele Filiberto (1869- 1931), nipote del Re, era stato inviato da Casa Savoia in Inghilterra ai funerali del suocero del sovrano del Portogallo. In tale occasione conobbe Helène, una delle fi glie del defunto, una 23enne d’antica nobiltà francese ben introdotta nelle corti britannica e russa, oltre che in quelle iberiche.

Il matrimonio si celebrò nel 1895, e fu allietato dalla nascita di due fi gli maschi. La regina Margherita, la quale temeva la popolarità del ramo cadetto degli Aosta, suggerì, prima al marito Umberto e poi al fi glio Vittorio Emanuele III di tenere la coppia reale lontano dalla Capitale; ad essi venne quindi concessa una residenza prestigiosa, la reggia borbonica di Capodimonte, ed una piccola corte. Helène, anche per ragioni di salute, agli inizi del 900 intraprese alcuni viaggi in Africa e in Oriente; di ritorno da uno di questi fu toccata dalla tragedia del terremoto, e nel 1909 decise d’iscriversi ad un corso per infermiere attivato dal Comitato di Napoli.

Tale scelta non fu gradita a Corte, tant’è vero che la duchessa poté sostenere l’esame solo nell’ottobre del 1911; l’8 dicembre s’imbarcò, insieme ad una sessantina di Infermiere Volontarie, sulla nave-ospedale Menfi , approntata per assistere i feriti nella spedizione coloniale italiana in Libia.

La Menfi nei mesi invernali alleviò le sofferenze dei numerosi soldati colpiti dal colera; la missione di Helène si concluse nel marzo 1912, anche per ragioni politiche: il 18 gennaio 1912 la marina italiana aveva “prelevato” dal piroscafo francese Manouba, in navigazione verso la Tunisia, una ventina di passeggeri turchi, che portavano in Libia una grossa somma in oro, e li aveva “confi nati” a Cagliari. Alcuni di loro erano muniti di credenziali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa Internazionale, e ciò aveva dato origine ad un contenzioso con la Francia, che ricorse alla Corte arbitrale internazionale dell’Aia. Onde smorzare le tensioni, nei mesi seguenti il governo proibì ulteriori ispezioni a navi francesi e decise di lasciare in Libia solamente la nave ospedale Regina Elena, che era gestita dalla sezione militare dell’Ordine di Malta e non dalla CRI.

Nella primavera del 1913 la morte dell’anziano conte Taverna aprì un dibattito in merito alla scelta del nuovo Presidente. All’ambita carica venne chiamato il vice presidente, Gian Giacomo Cavazzi, che negli ultimi anni aveva rappresentato la CRI in molti congressi internazionali, e godeva della fi ducia dei vecchi dirigenti che ricordavano l’opera del padre.

Un suo cugino alla lontana, il cap. Gian Angelo dei Medici di Marignano, era l’attaché militare presso la piccola corte napoletana dei duchi d’Aosta. Tale contatto diretto, oltre ad un clima politico-militare di crescente ostilità nei confronti dell’Austria, indusse il Cavazzi a proporre per la duchessa un ruolo inedito, cioè quella di “Ispettrice Generale del Corpo delle Infermiere Volontarie”.

Dato il persistere della diffi denza di Giolitti, per la ratifi ca della nuova carica fu necessario attendere il 1914 ed il governo - decisamente interventista - di Antonio Salandra.

La mobilitazione sul campo

Alla vigilia del confl itto europeo l’andamento delle iscrizioni ai corsi per le crocerossine conobbe un ulteriore incremento; le infermiere diplomate erano circa 4 mila.

Nel maggio del 1915, al momento dell’entrata in guerra, Helène accolse di buon grado la limitazione di fondo posta al suo mandato, e cioè la dipendenza del Corpo dalla Sanità Militare; la sola condizione da lei posta fu che le infermiere non fossero più chiamate “dame”, ma “sorelle”: un termine più consono alle indicazioni internazionali, oltre che un omaggio alla celebre Florence Nightingale, ma che non piaceva a quanti volevano evitare qualunque accostamento con le suore cattoliche.

Anche per tale ragione la burocrazia militare, nei fascicoli personali, si servì sempre del termine generico “infermiera”.

La duchessa si avvalse di un team di collaboratrici, scelte in primo luogo tra le compagne della Melfi ; tra loro la fi da toscana Nerina Gigliucci, una tra le prime a raggiungere Avezzano all’indomani del disastroso terremoto del 12 gennaio 1915 nella Marsica abruzzese; Margherita Rossi Passavanti d’Incisa, la quale organizzò in poche settimane l’ospedale CRI n° 48, in un fi enile riadattato di Ca Bolani, nel territorio di San Giorgio di Nogaro. Accanto a lei un’altra torinese, Ghita Perrone, a curare una quarantina tra donne e bambini, feriti nel corso del bombardamento del 25 maggio su Monfalcone.

La vera longa manus della duchessa fu la sua segretaria, la romana Emilia Anselmi Malatesta, cui venne affi dato il disbrigo di gran parte della corrispondenza dell’Ispettrice, una massa notevole di pratiche generate sia dai comandi militari, anche territoriali, sia dai Comitati CRI di tutt’Italia.

L’inquadramento militare sottoponeva le I.V. a gran parte delle medesime ferree regole di disciplina propugnate dal Comando Supremo di Cadorna; ad esse si aggiungevano le preoccupazioni sul fatto che le crocerossine potessero raccogliere, magari da un’uffi ciale in punto di morte, chissà quali informazioni. Di conseguenza, ciascuna in occasione di ogni trasferimento e/o congedo doveva far viaggiare anche il proprio curriculum: incombenza che cadeva sulla povera Anselmi e su poche altre persone di fi ducia.

Nell’agosto del 1915 Helène visitò i grandi ospedali CRI di Napoli, di Roma e della Toscana, ma già in settembre si spostò sul fronte dolomitico, senza fare troppe distinzioni tra gli ospedali CRI e quelli affi dati direttamente alla Sanità Militare, in molti dei quali già operavano le “sorelle”. Ad esempio, nel diario del 2 ottobre ella segnala le criticità riscontrate a Monastero di Aquileia, dove erano stati installati letti suffi cienti ai 200 feriti, costretti a fare i loro bisogni in pochi secchi, privi di coperchi e non disinfettati, che di notte venivano svuotati dal primo piano al pian terreno versando il contenuto tra le travi sconnesse del tramezzo.

Al di là della retorica patriottica, la situazione degli impianti ospedalieri era fortemente carente, sia di medici che di materiali.

Helène annota che nell’ospedale da campo n° 234, in un’altra frazione di S. Giorgio, la marchesa Mercedes Visconti, crocerossina volontaria, di propria iniziativa aveva donato alcuni moderni apparecchi elettrici, sia stabili che portatili.

Rubrica: 
Autore: 
Ultima modifica 09/01/2017