Parma, capitale della musica

Parma, capitale della musica

Il regno della buona tavola: questa la prima immagine che viene alla mente quando si nomina la città di Parma.Un luogo di eccellenze gastronomiche (dal prosciutto al parmigiano, fino alle specialità più tipiche come gli anolini o la torta fritta) e di eventi di altissimo richiamo (come il Cibus, fiera internazionale dell’agroalimentare che registra ogni anno migliaia di espositori e decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo).

Ma accanto a questo indubbio elemento di attrazione, il cuore di Parma - e di tutti i parmigiani -batte anche a tempo di musica, in particolare della grande musica lirica. Non solo perché a pochi chilometri dalla città, nel piccolo borgo di Roncole di Busseto, nacque nel 1813 uno dei più grandi operisti di ogni tempo, il compositore Giuseppe Verdi; ma anche perché, solo pochi anni dopo, veniva inaugurato nel centro della città quello che era destinato a diventare uno dei più importanti teatri di tradizione in Italia, il Teatro Regio di Parma.

Il nome originario, in realtà, era un altro: voluto dalla duchessa Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, moglie di Napoleone (inviata a reggere il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla dopo il Congresso di Vienna), il nuovo teatro era destinato ad affiancarsi al Teatro Farnese, l’antico teatro di corte dei duchi di Parma e Piacenza costruito all’interno del Palazzo della Pilotta e considerato ormai inadeguato alle esigenze artistiche di una città vivace e colta come era quella promossa da Maria Luigia. I lavori per la costruzione del “Nuovo Ducale Teatro” iniziarono così nel 1821, nella zona dove un tempo sorgeva il monastero di S.Alessandro, e si conclusero otto anni dopo: il 16 maggio 1829 la nuova struttura fu ufficialmente inaugurata con la rappresentazione di “Zaira”, opera appositamente composta per l’occasione da Vincenzo Bellini. Il progetto fu affidato all’architetto Nicola Bettòli, che disegnò un edificio di gusto neoclassico, imponente e al tempo stesso proporzionato: 84 metri di lunghezza, 37,5 metri di larghezza e un’altezza di quasi 30 metri. Il fronte a portici, con dieci colonne ioniche, è ornato da due rilievi posti sotto il timpano di coronamento, raffiguranti la Fama e la Lira. Ma è soprattutto l’interno a colpire per l’eleganza e per le molte particolarità, alcune delle quali pressoché uniche: dal foyer una scalinata porta alla Sala del Ridotto, dove si trovava il trono di Maria Luigia (che poteva accedervi direttamente dalle stanze del Palazzo Ducale), mentre il portale d’onore conduce invece al cuore dell’edificio, la platea ellittica circondata da quattro ordini di palchi e dal loggione che, in totale, arrivano attualmente ad accogliere fino a 1200 spettatori.

Da qui è possibile ammirare uno dei pochi esempi di sipario dipinto giunti fino alla nostra epoca, realizzato a tempera da Giovanni Battista Borghesi e sottoposto di recente a un restauro conservativo, raffigurante Maria Luigia ritratta sotto le spoglie di Minerva in trono. Ma ad attirare l’attenzione sono anche altri due elementi. Il primo è l’“astrolampo”, magnifico lampadario in bronzo dorato forgiato dalle officine Lacarrière di Parigi, risalente alla metà del XIX secolo; con esso venne inaugurato anche il sistema di illuminazione a gas, che andava a sostituire il precedente sistema di candele e lampade a olio (mentre per l’illuminazione elettrica si dovrà attendere fino al 1890). Il secondo è invece un orologio “a luce”, che segna l’ora di cinque in cinque minuti, posto al centro dell’architrave del proscenio e arricchito dai busti dorati di poeti e compositori; un meccanismo dal funzionamento ingegnoso, ideato nel 1828 da un certo Antonio Barozzi, geometra e orologiaio, che l’anno successivo fu assunto come orologiaio ufficiale del Teatro con il compenso di 120 lire annue per svolgere quanto previsto all’art. 151 del regolamento teatrale, cioè “obbligo di montare l’orologio della platea in tutte le sere di Teatro, accendendovi il lume occorrente ed anche senza lume nei giorni in cui sarà prova in Teatro”. Leggenda vuole che il luogo dove è ospitato il meccanismo - una stanzetta impervia a sedici metri di altezza - funzioni anche come filtro d’amore, almeno secondo una diceria dell’epoca di Maria Luigia, secondo la quale chi fosse riuscito a portare una donna fin qui e a baciarla, l’avrebbe fatta innamorare per sempre.

Altra straordinaria particolarità del Teatro è il raro apparato ottocentesco della sua camera acustica, decorata con dipinti del pittore locale Giuseppe Carmignani: una struttura che a prima vista appare come una semplice scenografia, una sorta di fondale architettonico da porre attorno all’orchestra. Al contrario, la camera acustica ha una precisa funzione: composta da pannelli di tela montati su legno, di diverse forme e dimensioni per una superficie totale di 320 mq., può essere di volta in volta modificata nella sua geometria per valorizzare il suono prodotto all’interno e convogliarlo appropriatamente verso il pubblico, riproducendo l’effetto della cassa armonica di uno strumento musicale.

Ma torniamo alle origini del Teatro, destinato inizialmente ad accogliere i più vari generi di spettacolo: dall’opera alla danza, dalla declamazione poetica alle forme di “arte varia” più diverse (funambolismo e prove ginniche, numeri con animali ammaestrati, dimostrazioni scientifiche, illusionismo, esposizione di “curiosità”). Una struttura che fin dalla sua inaugurazione è testimone e protagonista dei cruciali cambiamenti che investono il melodramma durante l’Ottocento e il secolo successivo, dalla fine dell’epoca legata al nome di Rossini alla supremazia del repertorio verdiano, dall’apertura alle esperienze francesi e tedesche, all’estrema evoluzione in senso realistico dell’opera italiana con Mascagni, Leoncavallo e Puccini.

Nel 1847, con la morte di Maria Luigia e l’arrivo a Parma dei Borbone, il Teatro cambia nome diventando dapprima (nel 1849) Teatro Reale e assumendo infine nel 1860 la denominazione di Teatro Regio. E “il Regio” è tuttora un punto di riferimento fondamentale nella vita dell’intera città. Ogni anno vi si svolgono la Stagione Lirica e Concertistica, la rassegna Parma Danza e la stagione teatrale RegioYoung pensata per il pubblico più giovane; attorno al 10 ottobre, data di nascita di Giuseppe Verdi, si svolge inoltre dal 2001 il momento di maggiore sforzo produttivo del Teatro: il Festival Verdi, interamente dedicato al compositore, che riunisce a Parma e a Busseto i più grandi interpreti internazionali del repertorio verdiano e che ha ottenuto il prestigioso riconoscimento di miglior festival agli International Opera Awards.

E ogni anno, da sempre, si assiste all’accampamento degli appassionati locali che, per garantirsi l’acquisto dei pochi abbonamenti disponibili, sfidano il freddo e i disagi e sostano in fila per quasi una settimana sotto il portico davanti alla biglietteria del Regio. Non stupisce, quindi, che il pubblico del Regio (e in particolare i suoi “loggionisti”) sia considerato tra i più competenti, esigenti e temuti dagli artisti chiamati ad esibirsi, con il fiorire di aneddoti che raccontano meglio di molte descrizioni lo spirito più autentico di questo luogo. È il caso, ad esempio di una “Cavalleria Rusticana” messa in scena negli anni Settanta con un tenore dalle capacità decisamente scarse; alla fine dell’opera, quando questi viene ucciso da Compare Alfio e risuona il grido femminile “Hanno ammazzato Compare Turiddu!”, si racconta che dal loggione sia arrivata una vigorosa risposta in stretto dialetto parmigiano: “meno mäl, i gh’ l’ävon da masär prìmma” (“meno male, avrebbero dovuto ammazzarlo prima”). Ancor più feroce e divertente (e anche abbastanza politicamente scorretta, secondo i canoni attuali) una rappresentazione del Rigoletto degli anni Cinquanta, in cui la protagonista femminile Gilda era interpretata dalla soprano Lina Pagliughi, donna dalla stazza decisamente importante; nel drammatico finale il corpo della protagonista femminile, pugnalato a morte e messo in un sacco, doveva essere trascinato da Rigoletto sulla riva del fiume, operazione resa decisamente difficoltosa dal peso del contenuto. “Fa’ ben dò viaz!” (“Fai due viaggi!”) fu l’irriverente grido che si levò dal loggione, e che rese la rappresentazione assolutamente leggendaria.

Per conoscere più da vicino questo straordinario monumento alla musica e alla cultura, non è comunque indispensabile trovare i contesissimi biglietti per una rappresentazione: tutti i giorni (lunedì escluso) vengono infatti organizzate delle visite che consentono di scoprire il Teatro Regio e la sua storia visitando il Foyer, la Sala e il Ridotto, ascoltando i racconti delle preparatissime guide.

Ultima modifica 24/05/2022