Il nome, non c’è che dire, è molto bello. E suona bene, sa di agreste. Evoca D’Annunzio. E immensi noi siam nello spirito silvestre, d’arborea vita viventi (La pioggia nel pineto). Di certo è politicamente più corretto dei precedenti. Prima Villaggio Mussolini (fino al 1930), poi Mussolinia. Dal 17 febbraio 1944 è diventata, appunto, Arborea. Siamo sulla costa ovest della Sardegna, grossomodo a metà dell’isola, una ventina di chilometri da Oristano. Il grande edificio industriale color ocra circondato da alberi da frutta, palme e verdi prati è appena fuori dal centro abitato. Qui, nella piana di Terralba, ha la sua sede la Cooperativa Produttori Arborea.
Che è un po’ il punto di approdo di una lunga storia cominciata tra le due guerre mondiali, quando queste erano terre maledette, terre di paludi e di malaria. Il sudore di gente venuta dal Veneto, dal Friuli e dall’Emilia-Romagna, oltre a quello dei braccianti locali, le ha rivoltate come un guanto, bonificando anno dopo anno diciottomila ettari infestati dalla zanzara anofele. Luoghi noti anche col sinistro appellativo di “tomba dei forestieri”. Chilometri di canali scavati a mani nude o quasi. Lavoro duro e salari da fame. Come successo da altre parti in Italia durante il Ventennio: Agro Pontino, Basso Piave, Polesine. Inferni trasformati, almeno dal punto di vista economico, in paradisi. Prima mezzadri, poi dalla metà degli anni ’50 coltivatori diretti. Una “Merica” raggiunta senza dover attraversare l’oceano. Il passato è passato, però. Veniamo al presente.
Spirito di aggregazione
A parlarcene è Walter Mureddu, presidente della cooperativa dal 2020: «Lo sa qual è il nostro motto? L’unione fa la forza. E ora le spiego il perché». Mureddu è un fiume in piena, inarginabile: «La Produttori Arborea è un organismo relativamente complesso, multibusiness. Agiamo in quattro aree: l’ortofrutta, la carne (attraverso l’Organizzazione Produttori Carne abbiamo creato la filiera di alta qualità Carne di Bovino Nato e Allevato in Sardegna) - diciamo quindi per comodità il fresco, anche se va inclusa nel novero anche la tipologia IV gamma [ad es. le insalate in sacchetto, ndr] - e, di fondamentale importanza, il mangimificio. Per noi questo è quasi un core business. Il mangimificio, infatti, offre una gamma innovativa di prodotti destinati agli allevamenti bovini, ovicaprini ed equini della Sardegna. Siamo specializzati nella realizzazione di mangimi fibrosi, sia completi che complementari, in grado di garantire una migliore produzione e benessere degli animali. Niente a che vedere, per qualità, con quanto offerto dalle grosse multinazionali del settore. La coltivazione degli erbai e del mais è dedicata alla produzione di misceloni particolarmente salutari per piccoli e grandi ruminanti. Viene portata avanti la sperimentazione dell’alga spirulina, un cianobatterio che se inserito nella dieta migliora la salute degli animali e contribuisce a realizzare un prodotto più sano. E mettiamo a disposizione dei nostri clienti professionisti qualificati che operano in tutto il territorio regionale, svolgendo la consulenza necessaria a utilizzare al meglio i nostri prodotti. Infine il magazzino mezzi tecnici, che ha l’intento di offrire ai soci produttori di Arborea tutti i beni (integratori, sementi, fertilizzanti, fitofarmaci, ecc.) e i servizi per rendere più efficace e moderno il lavoro negli allevamenti e nei campi. Un’assistenza resa oggi più capillare con l’apertura di nuovi punti vendita a Bassacutena, Muros, Thiesi, Sologo, Guspini e Domusnovas. Per darle un’idea riassuntiva: dalla cisterna del latte in giù ci siamo noi, nel senso che la nostra cooperativa concorre a fornire le materie prime cerealicole, i mezzi tecnici agricoli e tutto ciò che serve per far sì che i bovini producano il latte. Dalla cisterna in su ci pensa la nostra consorella 3A (Assegnatari Associati Arborea) Latte Arborea, rispetto alla quale siamo un’entità contigua ma comunque giuridicamente distinta». Riavvolgiamo il film.
«Siamo presenti nel settore agroalimentare e zootecnico sardo dal lontano 1955 – continua Mureddu –, il che significa che siamo i più longevi. Direi che da allora la crescita è stata continua, negli ultimi tempi marciamo a ritmi di +20% all’anno. Qualche numero? Eccoli: 77 milioni di euro di fatturato, 220 soci, non solo qui ma anche in Gallura e nel Sassarese, 700 aziende tra conferitori e fornitori, 120 dipendenti, 6 stabilimenti produttivi, 15 agenti commerciali, 7 punti vendita agrozootecnici dislocati sul territorio regionale e 1 punto vendita del fresco ad Arborea. Esportiamo in tutto il mondo. In Italia serviamo colossi come Conad, Crai, Selex (Superemme), Eurospin, MD. Al centro c’è comunque il socio, la nostra forza, come dicevo all’inizio. In Arborea trova l’opportunità di vendere i suoi prodotti, si capisce, ma in più un sistema di servizi e di tutele in grado di ottimizzare la sua attività, dal punto di vista amministrativo, fiscale, bancario, assicurativo, logistico, agendo noi come gruppo di acquisto ad esempio. Aggregare i produttori è l’unica via per far fronte all’aggregazione, spesso senza scrupoli, della distribuzione, ossia grossisti e GDO, e per cercare di rendere meno sbilanciato il rapporto tra queste due realtà del mondo del food».
Che spesso sono agli antipodi: un carciofo di qui, tra i migliori del Belpaese, frutta al contadino 9 centesimi. Nelle città del continente, su al nord specialmente, può arrivare a costare 3 euro. Una bella differenza. Breve pausa per tirare il fiato, bere un sorso d’acqua minerale e poi si ricomincia: «Non nascondo che il nostro target è arrivare in poco tempo a raggiungere un fatturato di 200 milioni di euro. Di essere non solo la cooperativa di Arborea ma la cooperativa della Sardegna. E ce la possiamo fare puntando sulla nostra capacità di aggregare soci, di fare sistema, di creare un’economia circolare. Penso allo sfruttamento degli scarti produttivi riutilizzati per produrre dell’energia (biogas) e sviluppare sinergie ed economie di scala che ci rendano autonomi e non dipendenti dall’esterno. Adesso, faccio un esempio, l’isola importa l’80% del foraggio necessario all’alimentazione del parco degli animali da allevamento. È una situazione al limite della sostenibilità. Andrebbero implementate le culture delle nostre piccole pianure padane, come il Campidano e la Nurra. Ci vuole tempo, certo, ma anche questo è un gap che va colmato. Ci arriveremo, prima o poi. Grazie ai valori in cui crediamo. Glieli elenco: Cooperazione, cioè lavorare insieme per un benessere condiviso e diffuso. Territorialità: quel che produciamo è a chilometraggio estremamente ridotto. Qualità: i nostri prodotti hanno ottime caratteristiche, sono freschi, certificati e di filiera. Rispetto per l’uomo (supporto ai soci in difficoltà) e per la natura, per i suoi tempi e suoi ritmi. Ora mi taccio. Senta però anche Marco Peterle, il nostro direttore generale».
Sentiamolo. Già il cognome, a dispetto dell’accento, fa capire che qui la “colonizzazione” arrivata dal Nord-Est non è stata una goccia nel mare. Sua mamma fa Furlan. E del resto se uno gira per il paese e dà un’occhiata ai citofoni trova un bel po’ di Bison, Schiavon, Faggian, Paccagnin, Pellegrin, Urban. La Sagra della Polenta e il Raduno Polentari d’Italia, organizzati all’inizio dell’autunno dalla pro loco, sono gli eventi più importanti. Il 6 di gennaio “se brusa la vecia” e a luglio si fa festa al Redentore come a Venezia.
Agricoltura hi-tech
«Certe tradizioni – spiega Peterle – vengono mantenute, ci mancherebbe. Ma l’integrazione è stata totale. Un dare e un prendere reciproco. Direi che il “sistema Arborea” deve il suo successo a fattori ambientali, tecnologici e umani. Prendiamo il terreno: è sabbioso, asciuga subito anche dopo forti piogge. E poi il clima è ideale, senza sbalzi traumatici, anche se nell’ultimo quinquennio la situazione è un po’ cambiata. Il che permette a noi di fare due cicli di raccolta all’anno dove altrove, penso all’Emilia-Romagna, la realtà forse più importante in Italia in termini di volumi nel settore ortofrutticolo, questo non è possibile. I nostri prodotti, tipo la “patata novella d’inverno”, un’eccellenza sarda da 30mila quintali annui, arrivano freschi sulle tavole dei consumatori quando quella coltivata in altre zone si fa 6-7 mesi di cella frigorifera. L’assaggi e sentirà che non sono la stessa cosa. E così per fragole, angurie, carote (50mila quintali), meloni e via dicendo. Poi c’è l’aspetto tecnologico, su cui abbiamo investito molto. Le semine vengono fatte con sistemi satellitari per capire dove è più vantaggioso orientare l’irrigazione (con noi collaborano l’Agenzia Spaziale Europea, l’Università di Sassari e la Fondazione MEDSEA, un ente che si batte per proteggere la natura e la biodiversità). Ogni capo viene catalogato per capire se è in salute o ci sono problemi. La definirei un’agricoltura e una zootecnica di precisione. Poi come già sottolineato dal presidente Mureddu, c’è l’uomo, il socio, il coltivatore, l’allevatore, che sono la base di tutto. Noi vogliamo essere la loro porta di accesso al mercato. Sparpagliati non si va lontano. Insieme sì. Lo spirito di corpo si rafforza a tutti i livelli: dall’ambulatorio sociale alla possibilità di assicurare i propri macchinari (600 automobili e 350 trattori) in modo conveniente, dall’assistenza su ogni tematica specifica alla logistica, che qui in Sardegna, parlando in termini di barriere di uscite, è un po’ il problema dei problemi. Certo, tutti devono rimboccarsi le maniche e fare la loro parte. Io lo dico sempre: in cooperativa è facile entrarci, mentre il difficile è rimanerci».