Salta al contenuto principale

A spasso tra mura medievali, placidi canali e case colorate

Pare di vederle ancora oggi, quelle donne che tanto avevano affascinato lo scrittore Guido Piovene, mentre passeggiavano sotto i portici di Calmaggiore, la strada principale che dal Duomo conduce a Piazza dei Signori. Erano “d’un biondo chiaro con le carni bianchissime” e facevano impazzire gli uomini di mezza Europa. E Treviso è proprio come le sue donne: discreta, elegante, sicura del proprio fascino. Non si concede subito, ma si svela un po’ alla volta, come un velo di nebbia che si dissolve all’alba sul fiume Sile. Perché la città veneta è nata dall’acqua, come una Venere che si specchia nei suoi canali, lasciandosi ammirare senza mai ostentare. Il Sile, il fiume di risorgiva più lungo d’Italia (e forse d’Europa), si intreccia con il Cagnan in un abbraccio dantesco, evocato nel IX canto del Paradiso: “là dove Sile a Cagnan s’accompagna”. I due fiumi per un tratto scorrono vicini ma distinti, prima di fondersi, insinuandosi tra le vie silenziose e il Ponte di Dante. Nei pressi, dal 1865, una stele ricorda il Sommo Poeta. L’abbraccio delle acque dona un fascino romantico al centro storico, racchiuso dalle antiche mura, quasi perfettamente integre.

Una piccola Venezia

Si narra che Treviso fosse stata fondata da un nobile profugo dalla guerra di Troia, in corrispondenza di una torre confinaria patavina coronata da una scultura di fanciulla con tre teste e tre visi. In realtà il nome affonda le sue radici in epoca romana, quando la città era chiamata Tarvisium. Le origini del toponimo sono molto incerte: l’ipotesi più accreditata è che Tarvisium derivi dall’alto-celtico e gallico tarvos (toro).

C’è chi ipotizza che derivi dal latino Tervisus che significa “tre colline”, corrispondenti alle attuali Piazza Duomo, Piazza dei Signori e Sant’Andrea, su cui erano edificati i primi insediamenti. Oggi, viene anche chiamata the Little Venice of the Mainland (la piccola Venezia della terraferma), per il connubio perfetto di arte, storia e acqua. Si segue, camminando o pedalando senza fretta, il percorso ciclopedonale che affianca gli argini del fiume (gli abitanti lo chiamano “Restera”), lasciandosi guidare dai riflessi sulle facciate affrescate, dal profumo dei fiori che adornano i balconi, dall’eco di storie che gli anni non hanno cancellato. Lungo il Canale dei Buranelli - un angolo di poesia incastonato, cosiddetto per la presenza di un edificio cinquecentesco, che i commercianti provenienti dall’isola di Burano usavano come magazzino del pesce e dimora - si ha la sensazione di voler fermare il tempo. Ma non è stato solo via di comunicazione per il commercio della città. Fino alla seconda guerra mondiale, vi si riunivano “le lavandere” per lavare i panni dei nobili veneziani.

Ogni giorno la luce cambia, ogni istante regala un’emozione nuova. È questa la magia di Treviso: è sempre se stessa, eppure non è mai la stessa. Colpiscono le case colorate, i salici che si specchiano civettuoli nelle acque del canale ma anche le pale funzionanti visibili in pescheria a rievocare gli antichi mulini (sono una fedele ricostruzione a scopo decorativo.) Nel cuore della città si apre Piazza dei Signori, il vero salotto cittadino, teatro di attimi di vita con i suoi numerosi caffè. Vi si affaccia il Palazzo della Ragione, detto dei Trecento (costruito fra il 1185 e il 1213), come sala per assemblee dei diversi organi del Comune. Oggi è sede del Consiglio Comunale, ma è anche un prestigioso luogo in cui si svolgono cerimonie pubbliche, mostre ed esposizioni, durante le quali è visitabile a tutti. All’interno, sotto il Porticato, si conserva la fontana delle tette del 1559: una piccola fontana sormontata dal busto di una donna, dai cui seni sgorga acqua. Fu costruita per celebrare l’insediamento di ogni nuovo sindaco: per tre giorni, al posto dell’acqua, fuoriusciva vino bianco da un seno e vino rosso dall’altro. Una copia della stessa, in pietra d’Istria, si può ammirare in fondo alla galleria della Strada Romana: è stata voluta da un privato cittadino ed è opera dello scultore peruviano Miguel Miranda. In Piazza dei Signori domina anche la Loggia dei Cavalieri, una struttura ad archi dalla forma irregolare, costruita nel 1200 per permettere agli uomini facoltosi di partecipare ai giochi di società.

Affascinano anche le antiche Porte della città: delle dodici originarie che intervallavano la cinta muraria, ne sono rimaste solamente tre. Una di queste è quella intitolata a San Tomaso di Canterbury (sec. XVI), sulla cui sommità si eleva la statua di San Paolo. Una curiosità: sopra l’arco centrale e il portello pedonale alla sua destra si scorgono ancora le fenditure usate per i tiranti del ponte levatoio. Porta Altinia, invece, è stata la prima a essere costruita (1514-1515). La sua sobrietà architettonica, a differenza della monumentale San Tomaso, è espressione delle scarse risorse a disposizione in quell’epoca. Ed è proprio provenendo da Porta Altinia che si incontra, all’inizio di via Roma, al centro di un’aiuola, la Grande Sfera, opera dello scultore trevigiano Toni Benetton. Porta di Santi Quaranta, invece, è una elegante architettura rinascimentale, sul modello dell’Arco di Trionfo romano. È stata fatta realizzare nel 1516 per volere del podestà Andrea Vendramin, e per questo veniva chiamata Porta Vendramina. Particolare anche la scritta riportata sopra l’arco centrale e indicante il nome della porta: è in latino per chi esce da Treviso (“Porta Sanctorum Quadraginta”) e in veneto per chi vi entra (“Porta de Sancti Quaranta”).

Tutto attorno furono erette, le mura, nel corso del XIV secolo e fortificate nel 1509 a protezione dall’assedio della Lega di Cambrai, coalizione anti-veneziana che attaccò Treviso perché proclamatasi fedele alla Serenissima per sollevazione popolare. Da vedere, poi, la Cattedrale di San Pietro, il risultato di numerose ricostruzioni che sfociano nel connubio perfetto dei vari stili architettonici: neo-rinascimentale all’interno, rinascimentale nelle Cappelle absidali e romanico nella Cripta, la parte più antica. Al suo interno, nella Cappella dell’Annunziata, conserva dei dipinti di Pordenone e Tiziano. Vale la pena, una volta usciti, porsi dietro al campanile, dove la strada si allarga verso il Calmaggiore, per avere una veduta inusuale dell’esterno della cattedrale: un susseguirsi di diversi corpi edilizi dominati dalle grandi cupole che costituiscono uno dei tratti più caratteristici del panorama cittadino. La Chiesa di San Nicolò è considerata uno dei capolavori veneti: l’immenso tempio, costruito in legno e laterizio, con le sue forme semplici, eleganti e proiettate verso l’alto, segna un momento di transizione tra il robusto stile romanico e l’elegante stile gotico. Merita una sosta anche la Chiesa di San Francesco. Secondo la tradizione popolare, nel 1224 fu proprio San Francesco a mandare i suoi frati a Treviso. La chiesa custodisce le tombe dei figli dei due tra i più illustri poeti italiani: quella di Pietro, figlio di Dante Alighieri, e quella di Francesca, figlia di Francesco Petrarca.

Tra bancarelle o osterie

Per chi vuole respirare la vera aria Trevigiana, ogni mattina dal lunedì al sabato c’è il mercato ortofrutticolo. Imperdibile soprattutto per acquistare o degustare le specialità enogastronomiche della cucina trevigiana, tra le bancarelle o nelle osterie circostanti. Treviso, infatti, non è solo da vedere, ma da assaporare. La sua notorietà la deve al radicchio rosso Igp (identificazione geografica protetta), affettuosamente ribattezzato la “rossa”, quasi un altro richiamo alla sensualità femminile. Tra i ristoratori e gli affinatori, la fantasia impera. Si lessa il radicchio in acqua e aceto e lo si mette sott’olio. Si fa cuocere con lo zucchero trasformandolo in deliziosa marmellata. Si preparano sugo e paté e si aromatizzano, persino, pasta e grappa. Anche il radicchio rosso, deve al fiume Sile, parte del suo successo: i cespi vengono immersi nelle sue acque di falda, così da ottenere il processo di imbiancamento. Ma c’è un’altra delizia che porta il nome di Treviso nel mondo: il tiramisù. La leggenda racconta che sia nato proprio qui, in un’osteria, come una carica di energia per uomini d’affari e viaggiatori stanchi. La ricetta – a base di savoiardi, uova, zucchero, mascarpone, caffè e cacao – era descritta, già alla fine degli anni ’60, dall’enogastronomo Giuseppe Maffioli, nel suo libro “La cucina trevigiana” e ogni pasticceria ne offre una versione, fedele alla tradizione o rivisitata con un tocco creativo. Pure gli appassionati del nettare di Bacco trovano qui il loro appagamento: il Prosecco regna sovrano.

Le colline intorno alla città, che si estendono fino a Conegliano e Valdobbiadene, offrono un paesaggio punteggiato di vigneti e cantine, dove si può sorseggiare uno dei vini più amati al mondo. Infine, poco fuori la città, si raggiunge il “Cimitero dei Burci”, visibile in un’ansa del Sile nel Comune di Casier. Erano solide imbarcazioni di legno a fondo piatto tipiche della Pianura Padana e utilizzate per il trasporto fluviale. Poi, con l’avvento del motore, i burci sono andati in disuso. Alcuni sono stati riconvertiti per la navigazione turistica, altri, appunto, giacciono in questo luogo, sospesi tra il ricordo e l’oblio, come relitti di un passato che ancora sussurra tra le acque. Si dice che nelle notti di vento, lungo il Sile, si possa ancora sentire l’ululato di una cagna, detta “Cornara”. È il fantasma di una nobile malvagia, inghiottita dalla terra, insieme alla sua carrozza trainata da cavalli bianchi, e trasformata dopo aver sfidato il volere divino. Si salvò solo il cocchiere che di lì a poco vide uscire dal profondo baratro una cagna brutta e spelacchiata.

Tanta voglia di export

Treviso è uno dei cuori pulsanti dell’economia veneta, caratterizzato da un tessuto imprenditoriale solido e dinamico. Il territorio si distingue per la forte presenza di PMI e distretti industriali specializzati, con un’economia che spazia dalla meccanica all’arredamento, dalla moda all’agroalimentare, con il Prosecco come eccellenza internazionale. «La città - spiega Luca Marafatto, responsabile della filiale di Treviso del Banco di Desio - vanta una significativa propensione all’export. Rispetto al resto del Veneto si distingue per bassi livelli di disoccupazione, alto reddito pro capite e un’economia industriale molto attiva. In definitiva rappresenta una piazza economico-finanziaria solida e vitale, capace di coniugare tradizione e innovazione, con un tessuto produttivo dinamico e uno stile imprenditoriale che continua a trainare lo sviluppo regionale. In questo panorama il Desio si propone con un modello di servizio che evidenzia l’importanza della relazione con il cliente, basato su un ascolto attento, competente e proattivo nel fornire consulenza e soluzioni rispetto alle esigenze finanziarie e di protezione della clientela. Vengono sempre di più utilizzati i servizi di remote/self banking, tuttavia c’è forte richiesta di essere seguiti da un consulente “umano” per evitare errori, per avere conferme. Il rapporto umano genera fiducia e migliora la fidelizzazione. Sicuramente la tecnologia semplifica e velocizza le operazioni, ma la relazione umana rimane un elemento chiave per l’esperienza del cliente. La filiale di Treviso, aperta dal 2007 ha circa 900 conti correnti distribuiti in modo piuttosto uniforme tra i vari segmenti commerciali di clientela. Ho trovato a Treviso colleghi molto competenti, disponibili e collaborativi, insomma la “squadra” ideale con la quale unire le forze per il perseguimento di obiettivi ambiziosi. Sono convinto che il modello di servizio proposto dal nostro Istituto possa farci competere con tutti gli altri player presenti sul mercato. Questo anche grazie alla qualità dei colleghi che rilevo mediamente superiori ai pari ruolo di Istituti anche di più grandi dimensioni. La nostra missione è quella di far conoscere il Banco anche a questa parte del Veneto Orientale che ci vede come filiale “di confine”, ma che può proporre un modello di servizio sicuramente ricercato ed apprezzato».