Vicenza e il Santuario di Monte Berico

Giovedì 7 marzo 1426, mentre si recava alla vigna del marito, a Vincenza Pasini apparve la Madonna, che le promise la fine dell’epidemia di peste se i vicentini avessero costruito una nuova chiesa

Il Retrone, affluente del Bacchiglione, è stato un’importante via d’acqua a Vicenza. La scarsa pendenza in prossimità del centro storico favoriva la navigazione, ma anche l’impaludamento. Onde evitare che i quartieri meridionali fossero danneggiati dalle piene (tra le più note, 1457 e 1797), fu lasciata libera un’ampia fascia golenale che nel 1869 divenne il primo parco pubblico cittadino: Campo Marzio.

Passato il fiume sul doppio ponte all’altezza dell’antica Porta Lupia, nell’angolo sud-est del Campo, e superata la linea ferroviaria, si sale in pochi Km al Piazzale della Vittoria, ricavato sui contrafforti di un fortilizio austriaco; da qui si gode di una vista dell’antica Vicenza paragonabile a quella di Firenze dal Piazzale Michelangelo. Il belvedere è dedicato al generale Armando Diaz, vincitore della Grande Guerra, ma, in effetti, forma una sorta di esedra che esalta la facciata monumentale del retrostante Santuario, dove si venera la Patrona della diocesi.

Nel Medioevo questa zona del Monte Berico era coperta di boschi. Toponimi come Monte Bellaguardia e Colle dei Sette Venti fanno intendere sia la presenza di un presidio militare che la scarsa produttività dei campi, situati sul versante settentrionale del Monte. Nei secoli, tuttavia, l’incremento demografico e la regolazione del Retrone (con il bel ponte di S. Michele, 1422) fecero crescere l’interesse per l’impianto di vigne e di prati stabili. 

Giovedì 7 marzo 1426 la settantenne Vincenza Pasini, mentre si recava alla vigna del marito falegname, incontrò la Madonna, che le promise la fine dell’epidemia di peste in corso da vent’anni non appena i vicentini avessero costruito in quel luogo, nei pressi della fonte che Lei stessa fece scaturire, una chiesa meta di pellegrinaggio.

La Pasini si rivolse al vescovo, Pietro Emiliani, il quale tuttavia le fece notare che già nel 1407, proprio per invocare la fine del flagello, il vescovo dell’epoca, l’agostiniano Giovanni Castiglione, aveva consacrato alla Madonna della Misericordia una cappella, dove l’8 settembre il popolo si recava in processione.

L’Emiliani, patrizio veneziano, sin oltre i trent’anni si era occupato, più che di religione, di iniziative imprenditoriali. Nel 1406, vedovo (di una Contarini) e padre di due figli, prese i voti ed entrò al servizio del nuovo papa Gregorio XII, di cui era parente. 

Nel 1411 il Senato veneziano aveva ammonito l’Emiliani, ricordandogli che nel 1406, due anni dopo la conquista della città, i suoi rappresentanti avevano ottenuto dal Doge Michele Steno una quarantina di Privilegi, tra cui l’obbligo per il vescovo di risiedere in città e di non pretendere dai vicentini “estorsioni” di terre o danari (N°14) e il fatto che i benefici ecclesiastici dovevano essere riservati, se possibile, al clero locale (N°17). 

L’Emiliani promise obbedienza, anche perché la sua posizione si era indebolita dopo il declino di Gregorio XII, tuttavia fu solo nel 1423 che si decise a liquidare la sua partecipazione azionaria al “Maglio” di Padova e in altre attività industriali. In quell’anno aveva predicato anche a Vicenza, su invito dei francescani osservanti da poco insediatisi nel vecchio monastero di S. Biagio, il celebre Bernardino da Siena, apprezzato tanto dal popolo che dalle classi dirigenti, tutt’altro che pronte a smentire le ricorrenti dicerie secondo cui erano gli ebrei i responsabili del perdurare della peste. 

Nonostante la delusione per la freddezza dimostrata dall’Emiliani, i Canonici del Duomo, proprietari delle terre di Sovizzo, il paese d’origine della veggente, ne difesero la reputazione; così, quando giovedì 1 agosto 1428 Vincenza ebbe una seconda apparizione, bastarono pochi giorni all’Emiliani per convincersi di quanto fosse più opportuno assecondare il “movimento” verso Monte Berico che contrastarlo, ed il 25 agosto guidò una processione sul luogo e posò la prima pietra. Molti muratori ed artigiani si offrirono di lavorare gratuitamente e di donare il materiale al cantiere, e la chiesa venne edificata in soli tre mesi, durante i quali l’aumento dei pellegrini fu ancor più rapido del dissolversi dell’epidemia di peste. Ciò indusse i Reggenti a far costruire accanto alla chiesa un piccolo monastero, anch’esso costruito in poche settimane, e ad inviare a Venezia due rappresentanti per contattare qualche comunità di frati “osservanti” disposti a trasferirvisi. Tuttavia si era già fatto avanti Pietro Valeri, priore del piccolo Ordine di S. Brigida, che ottenne la gestione del monastero, dal 2 novembre 1429. Il papa Martino V Colonna, cui s’era legato l’Emiliani, nel 1419 aveva confermato la canonizzazione di Santa Brigida di Svezia. Tuttavia nel 1422 aveva imposto all’Ordine la separazione tra le monache ed i frati, dispensando da questa norma solo i monasteri già esistenti; ciò negli anni seguenti aveva indotto i brigidini ad incrementare il numero dei loro conventi. Altre congregazioni “in ascesa” in ambito locale non posero obiezioni, paghe del fatto che le autorità comunali si erano finalmente decise ad allontanare da Vicenza gli ebrei.

Nel 1431 morì la Pasini, e fu sepolta nel cimitero presso la chiesa di Santa Caterina; solo nel 1810 le spoglie sarebbero state traslate nella Basilica. Nel medesimo anno vennero pubblicati gli atti del processo canonico diocesano sulle apparizioni, redatti dal giureconsulto Giovanni da Porto, e divenne papa un altro veneziano, Eugenio IV (Gabriele Condulmer).  

Per una curiosa coincidenza della storia, fu a quell’epoca che il navigatore Pietro Querini fece naufragio a Rost, nelle isole Lofoten, al largo della Norvegia, e da lì importò in patria il merluzzo essiccato, ingrediente principe di una nuova pietanza, il baccalà alla vicentina.   

Sino a che rimase in vita l’Emiliani, i brigidini ebbero campo libero sul Monte Berico, dove provvidero a regolare il flusso dei pellegrini nel corso dell’anno liturgico; tuttavia il nuovo vescovo, Francesco Malipiero, in carica dal 1433, si dimostrò più attento all’amministrazione delle risorse economiche della diocesi, ed avviò un contenzioso legale con gli eredi del predecessore, che gli avevano dedicato un monumento funebre a Venezia. 

Eugenio IV, dietro il quale agiva il Patriarca di Venezia, Lorenzo Giustinian, il 18 marzo 1435 ordinò ai brigidini di tornare alla regola originaria, quella di un ordine prevalentemente femminile; e già il 31 maggio essi furono allontanati dal Monte Berico e sostituiti dai Servi di Maria: già in città dal 1322, nella chiesa e convento prossimi alla Piazza dei Signori, i serviti erano apprezzati dal governo della Serenissima sia per i legami con una grande potenza, la Firenze medicea, sia per l’abilità dimostrata nel risolvere le non infrequenti dispute con la Santa Sede.

I serviti procedettero subito alla costruzione del chiostro, con annessa foresteria; all’angolo meridionale, che dà sulla scoscesa Valle del silenzio, fu innalzato il primo campanile (l’attuale, del 1824, è stato ricavato demolendo il coro, che risaliva all’ampliamento della chiesa affidato dai serviti a Lorenzo da Bologna). L’intervento comprendeva anche una nuova facciata principale, rivolta verso l’accesso dalla città; per finanziare questi lavori nel 1476 il vescovo G.B. Zeno concesse speciali indulgenze a chi avesse beneficato il Santuario; crebbe anche il numero delle cappelle gentilizie, collegate al coro, e ai primi del 500 la volta della chiesa venne affrescata da Bartolomeo Montagna, uno dei più noti artisti della scuola veneta.

E’ interessante ricordare il passaggio dal convento del Monte Berico, a cavallo tra il 500 ed il 600, di due esponenti di primo piano dell’ordine: Pao­lo Sarpi e, il suo collaboratore e successore nella carica di Consultore della Repubblica di Venezia, Fulgenzio Micanzo. La presenza di due conventi del medesimo Ordine nella medesima città era tutt’altro che infrequente nel 1400; tra i casi più noti quello di Milano, dove ai Domenicani di S. Eustorgio si contrapponevano quelli di S. Maria delle Grazie, più “vicini” alla signoria sforzesca. A Vicenza nel 1462 i domenicani “conventuali” furono costretti a lasciare la prestigiosa sede di S. Corona agli “osservanti”. Non devono dunque stupire le notizie sul cattivo stato dei rapporti tra i due conventi serviti vicentini.

Quello sul Monte Berico rimase sempre nelle grazie delle autorità locali, che nella seconda metà del 500 incaricarono il celebre Andrea Palladio di progettare l’ampliamento della chiesa. Il disegno finale prevedeva di aggiungere all’esistente, sul lato nord, un edificio quadrato di 12 metri di lato; l’edificio fu realizzato dal capomastro ed architetto Carlo Borella tra il 1688 ed il nel 1703, ed è l’immagine più nota della Basilica. 

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Ultima modifica 05/02/2016