Bergamo

il Famedio e l’epopea garibaldina
Bergamo

Il Famedio del Cimitero Monumentale di Bergamo nel corso del 2020 ha accentuato la propria funzione civica di polo culturale, oltre che luogo della memoria, ad esso attribuito dal 2017 nella ricorrenza dei due secoli dalla morte del grande architetto Giacomo Quarenghi. Nell’autunno 2019 aveva ospitato una mostra fotografica di Lisa Martignetti; nel pieno del lockdown, il 25 marzo 2020, nel Famedio si è svolta la benedizione delle centotredici urne con le ceneri dei cittadini bergamaschi che nelle settimane precedenti avevano dovuto essere trasportati nei crematoi dell’Emilia Romagna, dal momento che l’epidemia aveva messo a dura prova tutto il settore sanitario regionale (operatori e strutture); il 28 giugno al Famedio e nel Monumentale sono state commemorate le oltre seimila vittime della pandemia in Provincia di Bergamo, alla presenza del Presidente Sergio Mattarella e dei 243 sindaci del territorio.
In quei mesi drammatici, onde rimarcare il coraggio dei bergamaschi nella battaglia contro il Covid, molti hanno fatto riferimento a quanto concesso 60 anni fa dal Presidente Giovanni Gronchi a Bergamo: di fregiare il Gonfalone dell’espressione “Città dei Mille”. Era il centenario della spedizione in Sicilia, cui – a più riprese – presero parte alcune centinaia di volontari bergamaschi, molti dei quali indossavano le camicie rosso scarlatto, tinte a Gandino e cucite in via Prato nella sartoria di Celestina Belotti.
Dato il carattere “spontaneo” delle adesioni e delle partenze, non è semplice avere un quadro d’insieme dei “Mille” bergamaschi. Ad esempio la storica Valentina Colombi ha chiarito che il Luigi Bolis studente del liceo Sarpi, poi medico d’una Associazione di Mutuo Soccorso fondata nel 1862, auspice Garibaldi, non va confuso con il Luigi Bolis che in quell’anno aveva seguito il Generale sull’Aspromonte, e per questo era stato licenziato dalle Poste. Il secondo Bolis morì ultranovantenne; secondo Colombi “La sua biografia è un susseguirsi di onorificenze e di medaglie, le ultime e più consistenti sotto il regime fascista, di cui era stato fin dall’inizio un ardente sostenitore”.
A Bergamo le polemiche su Garibaldi si può dire siano nate nel 1859: secondo alcuni la città era per lui un obiettivo non strategico della campagna iniziata con l’audace passaggio del Ticino e la presa di Varese e Como, mentre è di tutt’altro tono la lapide posta nel 1907 sulla ex Porta San Lorenzo, divenuta Porta Garibaldi: “Sole e libertà arrisero il mattino dell’8 giugno 1859 quando Giuseppe Garibaldi fugati col nome gli Austriaci entrò per questa porta restituendo il popolo bergamasco a se stesso e all’Italia”. Giusto 150 anni dopo, nel 2009, per alcuni giorni sui cartelli stradali voluti dall’allora sindaco Roberto Bruni che recitavano “Bergamo Città dei Mille”, sopra l’immagine di Garibaldi rimasero appiccicati degli adesivi con l’immagine di Umberto Bossi.
Il primo sindaco nominato dopo la cacciata degli austriaci da Bergamo fu, per un decennio, Giovanni Battista Camozzi. Nel 2018, ricorrendo il secondo centenario della nascita, gli è stata dedicata una cerimonia nel Famedio. È stato posto l’accento sul suo ruolo di amministratore più che sulle iniziative patriottiche; si è persa l’occasione per un’analisi del progressivo distacco tra la famiglia Camozzi e gli ambienti garibaldini, di cui è chiaro segno la lapide che si trova nel cortile della Rocca di Bergamo: “A Gabriele Camozzi cospiratore milite e proscritto nel 1849: al grido della crollante Brescia fu solo a rispondere con un pugno di bergamaschi. Memoranda fede e ardimento memorando primo esempio alla convulsa Italia di magnanimo ossequio al dovere della solidarietà nazionale”. Il messaggio è chiaro: Camozzi aveva dato il meglio nel 1849; quel che fece poi, meglio passarlo sotto silenzio, dato che secondo loro nel 1859 a far scappare gli austriaci era bastato il nome di Garibaldi. In realtà i fratelli Camozzi nel corso degli anni ’50 avevano sostenuto anche economicamente il Nizzardo, e si erano poi convinti dell’opportunità degli accordi segreti tra lui e il conte di Cavour. Nel corso del mandato di sindaco, Giovanni Battista divenne sempre più tiepido nei confronti dell’antico sodale e di alcune frange del “garibaldismo”: ad esempio la figura di Francesco Nullo, grande organizzatore dei Mille bergamaschi. Deluso dai “maneggi” seguiti all’Aspromonte, e illuso dalle informazioni provenienti dalla Polonia, nella primavera del 1863 partì con un gruppetto di camicie rosse per la Galizia, dov’era in corso una rivolta armata contro l’esercito zarista; cadde il 5 maggio.
Nel 1906 il presidente del Senato commemorò Giovanni Battista Camozzi e fece riferimento alla stima accordatagli da Silvio Spaventa, esponente della Destra Storica che nel 1880 aveva scelto Bergamo per rendere noto il programma del suo partito, ormai all’opposizione ma tutt’altro che rassegnato a lasciare il potere alla Sinistra.

La “svolta” del 1882

Nell’ottobre 1882 si tennero in Italia le prime elezioni politiche a suffragio allargato. Gli elettori, grazie a una riforma sostenuta dai governi di Sinistra dell’ex garibaldino Benedetto Cairoli, passarono dal 2,2 % degli anni ’60 al 7%. Nel Regno andò a votare quasi il 60% degli aventi diritto; nel collegio di Bergamo la percentuale fu prossima al 30%.
Per l’astensione avevano fatto propaganda i parroci, legati alla linea intransigente del vescovo Luigi Speranza, il quale aveva retto la diocesi dal 1854 al 1879. Ma la protesta riguardava anche molti “patrioti”: il 20 maggio era stata firmata a Vienna la Triplice Alleanza, deludendo chi aveva combattuto gli austriaci. Tra i tanti il garibaldino Agostino Lurà, che aveva militato con Camozzi tra i Cacciatori delle Alpi prima di aggregarsi ai Mille.
Poche settimane dopo moriva Garibaldi; il 5 giugno il sindaco Luigi Cucchi commissionò ai fratelli Alberto e Cesare Maironi, suoi compagni d’armi e di partito, una grande statua bronzea del Generale, che sarebbe stata posta nel “cuore” di Città Alta, al posto della bella fontana veneziana del 1780.
Per placare le proteste dei “moderati” (nelle quali si distinse il conte Gianforte Suardi, futuro sindaco) Cucchi accelerò l’iter in corso per la statua a Vittorio Emanuele II, inaugurata nel 1884 nei giardini dell’attuale Piazza Matteotti.
Luigi Cucchi era spalleggiato dal fratello Francesco, il quale gli aveva “lasciato” il collegio elettorale di Zogno optando per quello di Sondrio. Costui aveva seguito il Generale in Sicilia e si vantava d’esserne amico. Tuttavia, più che di Garibaldi, egli fu sodale (anche nella Massoneria) di Agostino Bertani e di Francesco Crispi. Cucchi operò presso i repubblicani balcanici; nel 1867 cercò invano d’attuare un “moto” a Roma, onde evitare l’imbarazzante episodio di Mentana. Tre anni dopo Cucchi garantì al governo che la Prussia non avrebbe mosso un dito per il Papa (parola del suo “amico” Bismark), ed entrò con i primi bersaglieri a Roma il 20 settembre, pochi giorni dopo che Garibaldi aveva esortato i suoi volontari a combattere in difesa della Francia repubblicana: un “nobile gesto” che ricordava quello di Nullo, da cui Cucchi era ormai molto distante.
Fu solo nel 1895 che la Società Veterani e Reduci appose sulla casa di Nullo, in via XX Settembre, una lapide. Nullo vi è definito “uno dei Mille” (senza riferimenti al suo grado e ruolo), e “morto a Krzykawka”, senza specificare contro chi si fosse battuto. Nel 1907 fu inaugurato il busto di Nullo nei giardini di piazza Matteotti. Francesco Cucchi, da buon “triplicista”, amava raccontare ai colleghi senatori che l’amico, ferito da piombo cosacco, era spirato tra le braccia di un pietoso medico austriaco. Non poteva sapere che nel 1920 (a soli 7 anni dalla morte) sarebbe toccato proprio a lui avere un busto di fronte a quello dell’Eroe.
Due anni più tardi il vivace movimento cattolico bergamasco ottenne finalmente che la fontana Contarini fosse riportata in Piazza Vecchia; la statua di Garibaldi (privata dei quattro leoni del basamento) fu posta in Città Bassa, al centro della Rotonda dei Mille, cui fanno capo cinque strade. Una, il prosieguo di via Mazzini porta il suo nome; un’altra ricorda Daniele Piccinini, il quale a Calatafimi aveva coperto il Generale dal fuoco borbonico. Una terza strada è dedicata a Francesco Cucchi e una quarta Francesco Crispi. Tra queste due, quella dedicata a Vittore Tasca, colonnello garibaldino che spese gran parte del patrimonio avito per trasformare la sua villa di Brembate in una casa-museo zeppa di cimeli, quadri, bassorilievi e sculture commissionate ai Maironi. Per uno strano scherzo del destino, poco dopo la sua morte (1891) Villa Garibaldi fu acquistata dalla famiglia Medolago Albani, “colonna” del movimento cattolico bergamasco, e divenne Villa Maria, utilizzata fino agli anni ’40 da suore lodigiane come colonia estiva.

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Ultima modifica 15/03/2021