Economia globale tra crescita e deflazione

Il processo di normalizzazione dei mercati sta continuando e la crescita nei Paesi sviluppati  sta acquisendo slancio, mentre il commercio mondiale è in ripresa

“Non bisogna mai investire quando  l’orizzonte appare sereno.”   

 (John Templeton, fondatore  della società di gestione Franklin  Templeton Investments)

“Per quante volte uno salvi il mondo, quello riesce sempre a rimettersi di nuovo nei guai. Insomma, a volte vorrei dirgli: resta in salvo! Per un pochino!”. Queste le parole del protagonista pronunciate all’inizio del fortunato cartone animato della Pixar Gli Incredibili e sembrano adattarsi perfettamente allo scenario economico-finanziario di questi primi mesi dell’anno. Abbiamo infatti terminato il 2013 in un clima di generale euforia. Gli Stati Uniti sembravano aver consolidato la ripresa economica, l’Europa non era più il sorvegliato speciale del mondo, mentre il Giappone stava uscendo dalla stagnazione pluridecennale. Le borse realizzavano performance eccezionalmente positive, e anche i più scettici erano diventati ottimisti e consigliavano di riempirsi di titoli azionari. 

Non sorprende dunque che gli uffici studi delle principali società di investimento sfornassero analisi in cui la congiuntura globale era vista in accelerazione e per le borse si prevedessero ritorni decisamente positivi. I pochi che si ostinavano a predicare prudenza, prefigurando la formazione di bolle speculative, venivano zittiti. L’argomentazione principale riguardava il fatto che questa volta la straordinaria rivalutazione era spalmata su tutte le attività (case, bond e borse) con l’eccezione delle materie prime e dell’oro, mentre la crisi di internet del 1999-2000 era concentrata solo su alcuni settori dell’azionario e quella del 2008 riguardò le case e, in Europa, il debito mediterraneo.

A provocare un brusco risveglio sono state le rinnovate tensioni sui mercati emergenti che si sono tradotte in un forte deprezzamento delle principali valute, in particolare peso argentino, lira turca, rublo e rand sudafricano. I segnali di rallentamento dell’economia cinese hanno contribuito ad alimentare le vendite; in Cina è inoltre tornato d’attualità il tema del sistema bancario “ombra” nell’ambito del quale è ricompreso un complesso di attività di finanziamento e/o prodotti di investimento collocati da veicoli non bancari (fondi speculativi, fondi del mercato monetario e veicoli di investimento strutturato). A fine gennaio è stato infatti sventato dalla Banca Centrale il temuto rischio di default di uno di tali veicoli di investimento. 

Il fatto è che oggi il tasso di sviluppo globale è ancora tutt’altro che robusto e abbondano i rischi al ribasso. Una delle minacce può derivare dall’andamento della congiuntura nei Paesi Emergenti, sui quali vale la pena fare alcune considerazioni. I mercati emergenti sono stati segnati da una serie di crisi negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, incluse quella messicana, quella finanziaria asiatica, la crisi del rublo e il default argentino, per citarne solo alcune. La suscettibilità dei Paesi Emergenti all’effetto contagio e la loro percezione da parte degli investitori come un’unica classe di attività li hanno portati a muoversi e a essere scambiati come se fossero un’unica categoria. Queste crisi hanno dato ai governi preziose lezioni cui essi hanno successivamente attinto per migliorare i loro fondamentali, inclusi la riduzione del debito, il contenimento dell’inflazione, il miglioramento dei contesti di politica monetaria e fiscale. 

La sana crescita del prodotto interno lordo, la leva relativamente bassa e i migliori fondamentali hanno sostenuto, nel corso dell’ultimo decennio, i Paesi Emergenti che sono pertanto riusciti a contrastare efficacemente l’ultima crisi finanziaria globale. Non sorprende che siano diventati una destinazione per la liquidità in virtù dei loro migliori fondamentali, dei loro rendimenti generalmente più alti e della loro più forte crescita. Sennonché, la decisione della Banca centrale statunitense di ridurre il quantitative easing (minori acquisti di titoli sul mercato secondario) ha allarmato i mercati ed ha generato flussi in uscita. 

Questo, insieme al naturale rallentamento nella crescita dei trend dopo la rapida espansione finanziaria ed economica, ha rappresentato un forte slancio per la differenziazione tra questi Paesi. Un esempio si è visto tra nazioni relativamente in buona forma, quali Corea del Sud e Messico, e quelle con fondamentali più deboli, quali Turchia e India. La Corea del Sud ha mantenuto una legislazione sana e ha migliorato il profilo fiscale. La sua capacità produttiva ha costantemente incrementato la qualità dei beni prodotti, sostenendo un favorevole surplus delle partite correnti grazie a esportazioni robuste. Il Messico più di recente ha fatto progressi nel sistema di politica macroeconomica e realizzato riforme strutturali che ne hanno rafforzato i fondamentali macroeconomici. Al contrario, Turchia e India hanno ognuna mantenuto un disavanzo delle partite correnti e ciò ha pesato sul valore relativo delle loro valute. Queste considerazioni ci portano a ritenere che questo periodo di normalizzazione dei tassi di interesse farà aumentare la differenziazione tra i mercati emergenti, per cui quelli con meno vulnerabilità legata ai finanziamenti esterni, una maggiore forza macroeconomica, un quadro politico più forte conseguiranno probabilmente ritorni più elevati rispetto a quelli con fondamentali più deboli.

Le citate tensioni sugli emergenti si sono trasmesse in maniera marginale sugli altri mercati: i listini azionari Usa ed europei hanno infatti registrato una lieve correzione, mentre i bond periferici dell’area Euro hanno addirittura registrato un andamento positivo. Guardando nello specifico all’andamento macro, in Area Euro gli indicatori hanno continuato a segnalare un recupero della crescita trainata soprattutto dal comparto manifatturiero. La buona notizia riguarda il fatto che tale miglioramento ha finalmente coinvolto anche l’area mediterranea dell’Europa. I dati consuntivi sul PIL del quarto trimestre 2013 di Germania e Francia sono risultati migliori delle attese grazie soprattutto al contributo delle esportazioni (in modo particolare in Germania). 

Questi dati, che sembrano indicare la definitiva uscita dalla crisi dell’Area Euro, sono stati in gran parte ridimensionati dall’andamento dell’inflazione che continua a rimanere su livelli eccezionalmente bassi, tanto da far prefigurare un possibile scenario deflattivo. Una tale eventualità è stata indicata dal Fondo Monetario Internazionale, assieme ai timori circa l’economia dei Paesi Emergenti, come una delle maggiori minacce alla sostenibilità della congiuntura mondiale. Ne è ben consapevole la Banca Centrale europea che ha esplicitamente parlato di situazione deflattiva per l’area euro, ma ha preferito optare per una fase attendista in attesa di valutare ulteriori informazioni alla luce della complessità dell’attuale situazione, pur dichiarandosi pronta ad adottare tutti i possibili strumenti a disposizione qualora si verificasse un rialzo dei tassi di mercato o il costo della vita rallentasse più del previsto. 

Eppure quello della deflazione è uno spettro che sta diventando più concreto di giorno in giorno. L’inflazione nell’eurozona è in costante calo dalla fine del 2011. Il passaggio da un “prolungato periodo di bassa inflazione” (quale previsto dalla stessa Bce) alla deflazione vera e propria avviene poi su un piano scivoloso, con le caratteristiche tipiche di un circolo vizioso. Si parla infatti di “spirale” deflazionistica, un processo cioè che si autoalimenta e che è assai arduo contrastare una volta innescato. La deflazione, com’è noto dall’esperienza del Giappone, può avere conseguenze devastanti, frenando consumi e crescita per anni. Ma di fronte ad un rischio di tal genere stupisce comunque il rinvio da parte delle autorità monetarie di una risposta più decisa, che deve essere allora motivato da considerazioni di natura più politico-istituzionale, come ad esempio il duro giudizio della corte costituzionale tedesca sulla legittimità del programma Omt (acquisto da parte della BCE sul mercato secondario di titoli governativi di Paesi dell’Area Euro). Ma vi è un secondo freno all’azione della Banca centrale: è quello del timore dell’azzardo morale, di togliere cioè le castagne dal fuoco per i Paesi in difficoltà, quali l’Italia, disincentivando le riforme tanto necessarie.

Le riforme strutturali sono quanto mai necessarie nel nostro Paese, dal momento che stiamo finendo, mani e piedi, dentro la deflazione. Non solo per la discesa dei prezzi, quanto per via della riduzione degli impieghi, che in un’economia fragile e “bancocentrica” diventa il veicolo principale con cui si propaga questo virus. Questo sarebbe un peccato visto che nel corso degli ultimi mesi i principali indicatori congiunturali per l’economia italiana hanno evidenziato una fase di graduale recupero. Il miglioramento, iniziato a partire da livelli molto bassi, e protrattosi con estrema gradualità, sembra si stia traducendo anche in un recupero dei livelli produttivi. 

Le previsioni per il 2014 proiettano questo tipo di andamento, segnalando una variazione del PIL di segno positivo, ma nell’ordine soltanto di alcuni decimi. Inoltre, nonostante una situazione politica non proprio rassicurante, una distensione del clima economico ha permesso la riduzione della spese per interessi e il raggiungimento di un saldo primario delle partite correnti. Se il nuovo governo a guida Renzi sarà in grado di realizzare una stabilità duratura ci saranno le condizioni per una crescita del PIL attorno al potenziale, che viene stimata nell’ordine del 1-1,5%.

La lettura delle tendenze in corso ci induce ad adottare un orientamento moderatamente positivo per l’anno in corso, in quanto il processo di normalizzazione dei mercati sta continuando e la crescita nei Paesi sviluppati sta acquisendo slancio, mentre il commercio mondiale è in ripresa. Il fatto è che dopo quattro anni di un regime di tassi di interesse bassi, prossimi allo zero, i banchieri centrali, pur continuando ad utilizzare politiche monetarie espansive, stanno inviando i primi segnali di un’inversione di tendenza.

Questo può provocare maggiore smarrimento tra gli investitori, che si traduce inevitabilmente in una elevata volatilità dei mercati finanziari, mentre i flussi di capitale saranno sempre più selettivi. Non affacciandosi, al momento, nessun supereroe che, come Mr Incredibile, “aggiusti” il mondo, non rimane che continuare a operare un’attenta diversificazione, concentrandosi sui fondamentali economici.

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Ultima modifica 23/12/2014