L’aviazione italiana al debutto in guerra

Con il Regio Decreto del 7 gennaio 1915 n°11 veniva soppresso il Battaglione Aviatori, che doveva venire sostituito dal neocostituito Corpo aeronautico militare, dotato di 15 squadriglie di aeroplani

Nel rimpasto di governo dell’ottobre 1914 il gen. Vittorio Italico Zupelli, istriano, convinto interventista, fu posto a capo del ministero della Guerra. Rimpiazzava il vecchio Domenico Grandi, considerato ormai da tutti incapace di gestire gli effetti sulle forze armate del passaggio dalla Triplice Alleanza, cui l’Italia aveva aderito dal 1882, alla Triplice Intesa. 
 
Il primo ministro Antonio Salandra avrebbe voluto alla Guerra il gen. Alfredo Dallolio, ma questi, consapevole dell’incertezza del quadro politico, aveva preferito rimanere alla guida della Direzione Generale dell’Artiglieria, cui facevano capo diversi stabilimenti militari. 
 
Zupelli al momento della nomina era Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, ma in cattivi rapporti con il suo superiore, Luigi Cadorna. Questi fu contento di levarselo di torno: sia perché in tal modo cresceva la possibilità di avere un Sottocapo più malleabile (il gen. Carlo Porro) sia perché il caso Grandi aveva dimostrato lo scarso peso politico del ministero. Tuttavia Zupelli, grande organizzatore, non perse tempo nel convincere l’esecutivo, ed in particolare il collega al Tesoro, Paolo Carcano, della necessità che nuovi e cospicui finanziamenti erano necessari perché l’Italia potesse farsi onore in un conflitto che ormai già qualcuno cominciava a definire “di materiali”: dove, cioè, il valore delle truppe e la perizia dei generali contavano meno rispetto alla capacità di disporre d’un superiore volume di fuoco.


Il Corpo Aeronautico
Tra le poche opinioni condivise da Zupelli e Cadorna v’era la diffidenza nei confronti del Battaglione Aviatori (BA), cioè il primo nucleo dell’aviazione militare italiana, di cui abbiamo trattato nel n° 81 de La Banconota. Nel BA dalla metà del 1914 era confluita anche la Sezione Aeronautica della Marina, assumendo la denominazione “Quinto Reparto”: ci si era resi conto dell’opportunità di coordinare se non gli acquisti degli apparecchi, quanto meno la formazione dei piloti. 
Zupelli non poteva che rimanere perplesso nel constatare che, ad es., nella zona di Torino erano attivi sia il Comando BA, da cui dipendeva direttamente un’unica Squadriglia, la 1^, di stanza alla Venaria Reale, sia il 1° Sottogruppo Biplani, di stanza a S. Francesco al Campo, che comprendeva le Squadriglie 9^ e 10^. Nel primo campo si utilizzavano i Nieuport Macchi da caccia e nell’altro i meno potenti Farman, da ricognizione, e ciascun tipo aveva bisogno dei suoi manutentori e dei suoi ricambi. 
Cadorna, dal canto suo, era convinto che fossero ancora troppi i mugugni per la destituzione dalla guida del BA del colonnello Giulio Douhet, reo di aver voluto “ad ogni costo” (nell’accezione più ampia del termine) i bombardieri Caproni. 
Agli occhi di molti aviatori quei mezzi sarebbero stati strategici, se impiegati dietro le linee nemiche: un’eresia per chi, come Cadorna, teorizzava gli assalti alla baionetta, o chi, come l’artigliere Zupelli, raccomandava d’ingaggiare veri e propri duelli con le batterie nemiche, mediante tiri “di neutralizzazione”. 
 
La fine del BA fu sancita dal Regio Decreto del 7 gennaio 1915 n°11. Curiosamente (ma non troppo, data la deriva autoritaria assunta dall’esecutivo alla vigilia dell’Intervento) esso venne presentato alla Camera, per la necessaria ratifica, solamente il 16 aprile 1916, e cioè pochi giorni dopo le dimissioni di Zupelli e la sua sostituzione con l’incolore gen. Paolo Morrone. Quest’ultimo resse il dicastero della Guerra nelle ultime settimane del governo Salandra (sino al 18 giugno 1916) e nel successivo governo Boselli; uscì di scena a metà giugno del 1917.
 
Il neocostituito “Corpo aeronautico militare” (CAM), dipendeva dal ministero della Guerra e controllava quattro battaglioni operativi, lo Stabilimento costruzioni aeronautiche (Napoli), la Direzione tecnica dell’aviazione militare e l‘Istituto centrale aeronautico (entrambi a Roma).
 Il Decreto prevedeva un incremento degli stanziamenti per il 1915: si passava dai 16,5 milioni inizialmente previsti a 17, con esclusione dei 5 milioni destinati agli idrovolanti della Marina. 
Lo stanziamento avrebbe consentito di acquistare 193 nuovi aeroplani e 330 motori. La differenza nel numero era motivata dal fatto che gli apparecchi dovevano essere importati o prodotti su licenza (non gratuita) mentre i motori erano di produzione nazionale. Uno dei punti deboli del Decreto era quello riguardante il personale; a partire da metà gennaio iniziò una ridda di trasferimenti e di distacchi finalizzati a dotare il CAM dei 374 ufficiali previsti, senza privilegiare (come nel BA) quelli del Genio. Ad esempio il nobile piemontese Lelio Gaviglio, ufficiale di cavalleria, poté far valere la sua partecipazione alle grandi manovre del 1913, le prime cui avevano partecipato anche gli aerei, per farsi trasferire al CAM; mantenne il grado di capitano, e già dal 18 agosto, avendo dimostrato le sue doti di pilota, fu promosso maggiore. 
 
Nella primavera del 1915 il CAM disponeva (oltre che di tre dirigibili e 12 sezioni aerostatiche ereditate dal Genio) di 15 squadriglie di aeroplani, eterogenei per tipologia e modelli. Tuttavia quelle operative erano 12, cioè quante quelle del BA nel 1914, anche se disposte in modo più razionale in prossimità del fronte. 
Gli aeroplani erano 86, ma quelli operativi solo 75. I comandanti del CAM avevano selezionato con severità gli aspiranti, nel timore di affidare un’arma temibile a qualche “testa calda”. I titolari di brevetto militare erano solo 70, ed altri 20 in corso di istruzione; ben 40 invece erano quelli considerati “di riserva” oppure utilizzati come istruttori nelle scuole di volo. 
 
La stretta dipendenza degli ufficiali del CAM dallo Stato Maggiore aveva suscitato qualche preoccupazione in Zupelli; egli, convinto del futuro dell’aviazione quale arma ausiliaria dell’artiglieria, annunciò il primo aprile la nascita del Gruppo Squadriglie Aviatori per l’Artiglieria, per il quale era previsto l’allestimento di quattro magazzini di rifornimento in prossimità del fronte, alle dipendenze di altrettante Armate. Quale base operativa Zupelli scelse quella della 5^ Squadriglia, Busto Arsizio: prossima alla linea ferroviaria del Sempione e ben collegata con la 6^ squadriglia (Milano Taliedo) e le basi ex BA di Torino, Brescia e Piacenza. In attesa dell’ultima versione dei Farman, più potente e veloce (cui si sarebbero aggiunti anche i bombardieri Caproni, ancora in fase di produzione), il Ministero acquisì per la prima Squadriglia Osservatori d’Artiglieria 30 Parasol della Macchi. I corsi di formazione furono avviati presso la sede della 9^ Squadriglia, Centocelle (Roma); all’atto pratico si comprese quanto fosse difficile elaborare un preciso codice di segnali luminosi tra i piloti e le batterie a terra. 
 
La parola alle armi
Il 22 maggio Cadorna ottenne da Salandra e dal Re i pieni poteri per la conduzione della guerra. Il giorno dopo, prima di partire per Udine, sede del Comando Supremo, Cadorna nominò il capitano Riccardo Moizo “consulente aeronautico” dello Stato Maggiore: in pratica, un emissario incaricato di seguire attentamente, nella Capitale, l’azione del CAM, onde evitare sorprese da parte dell’ormai già sminuito Zupelli. Moizo, 37 anni, piemontese, sino a quel momento era noto soprattutto per essere stato il primo aviatore fatto prigioniero in Libia dai turchi.
 
Non è questa la sede per rievocare le direttrici dell’avanzata delle armate italiane nei primi giorni del conflitto; le squadriglie operative al fronte, ben consapevoli dell’inferiorità numerica e spesso anche tecnica degli aerei a loro disposizione, nei primi giorni si attennero alle consegne ricevute.
 
Un caso esemplare è quello di Gaspare Bolla: campione di equitazione, nel 1914 comandava la scuola di volo di Mirafiori. Trasferito ad una squadriglia operativa a Mortegliano (UD), pose in atto un’audace ricognizione fotografica dell’arsenale di Monfalcone. 
 
Le prime missioni dei piloti del CAM non ebbero quasi alcun riscontro sulla stampa, perché aveva fatto più notizia la serie dei bombardamenti a bassa quota dell’aviazione austriaca su Venezia, iniziati proprio la notte del 24 maggio. Contenuto il numero delle vittime, data la scarsa potenza degli ordigni, ma ingenti i danni al patrimonio artistico: in particolare nell’incendio alla chiesa degli Scalzi andò distrutto uno dei cicli pittorici del Tiepolo. Nel corso del conflitto si contarono in tutto 41 incursioni, che provocarono 52 morti.
 
L’impressione del primo attacco fu enorme in Italia e all’estero, anche perché la censura militare al momento era stata attivata solo in zona di guerra, e Venezia non era considerata tale. Il sindaco della città, Filippo Grimani, il quale fin dal 1913 aveva enfatizzato la pericolosità, per la Serenissima, della forte presenza d’idrovolanti austriaci in Laguna, dovette constatare amaramente l’inferiorità italiana. A cosa era servita la creazione della Squadriglia San Marco, dotata di finanziamenti speciali? A cosa la base degli idrovolanti sull’isola di S. Andrea? 
 
Maggior imputata per il caso Venezia era la Marina, i cui alti gradi si difesero dichiarando di aver ricevuto indicazioni poco chiare dal governo e finanziamenti molto inferiori rispetto a quelli concessi al CAM. Ad ogni buon conto le polemiche vennero presto tacitate ed i giornali invitati a descrivere la “barbarie” del nemico e a sottolineare le contromisure adottate: immagazzinati quadri e suppellettili, impacchettati con sacchi di sabbia le facciate dei più importanti palazzi e monumenti, dotate diverse altane di mitragliatrici per contraerea e creati sbarramenti semi-permanenti coi palloni frenati. 
 
In effetti la Marina aveva speso parte dei fondi male: anziché accrescere la dotazione degli idrovolanti, ed in particolare i modelli FBA prodotti su licenza dalla SIAI di Sesto Calende, che aveva una notevole capacità produttiva e poteva testare gli apparecchi ed istruire i piloti sul Lago Maggiore, al riparo dal nemico, si erano destinate forti somme agli esperimenti segreti per gli aerosiluranti, con risultati al momento modesti.
 
Al fine di superare le incomprensioni tra i ministeri della Guerra e della Marina, ma soprattutto di pianificare gli ordinativi e gli acquisti di materiale bellico, il governo nominò il 9 luglio Dallolio Sottosegretario alle Armi e Munizioni. Il nuovo ufficio in teoria dipendeva dalla Guerra, ma in effetti fu creato quale organismo di controllo un comitato interministeriale. Che in pratica non si riunì mai, lasciando al generale ampia discrezionalità d’azione. 
 
Le incursioni su Venezia (seguite nelle settimane e mesi successivi da altre su Padova, Treviso e persino Milano, colpita il 14 febbraio 1916 da un gruppo di ben 11 biplani) convinsero lo Stato Maggiore dell’opportunità di modificare le linee d’indirizzo per il CAM: oltre che di ricognitori per l’artiglieria, diventava imperativo disporre di qualche squadriglia armata, di “cacciatori” in grado d’intercettare il nemico prima che potesse sferrare l’attacco, nonché di bombardieri in grado di porre in atto “rappresaglie”. La prima Sezione Caproni trovò sede presso la 21^ squadriglia, al campo della Comina (Pordenone): il 19 agosto giunse da Malpensa il primo bombardiere, che il giorno dopo andò bombardare il campo austriaco di Aisovizza, a est di Gorizia.
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Ultima modifica 05/02/2016