L’oro verde di MARFUGA

L’oro verde di MARFUGA

Lo scenario è quello, fertile e rigoglioso, dell’ampio fondovalle che si stende tra Foligno e Spoleto: è qui, a Campello sul Clitunno, che si trova la sede dell’Azienda Agraria Marfuga. La bassa e proporzionata costruzione circondata dal verde può quasi sembrare, a uno sguardo distratto, un’elegante casa di campagna; in realtà basta varcare la soglia, attraversare la accogliente sala degustazioni, buttare un’occhio ai locali in cui avvengono le operazioni di lavorazione e di imbottigliamento, per rendersi conto che all’interno di questi impeccabili locali opera un’azienda di assoluta eccellenza nell’olivicoltura. Un’eccellenza qualitativa riconosciuta dai fatti: “Negli ultimi vent’anni sono nate molte prestigiose competizioni, sia in ambito nazionale che internazionale - spiega Francesco Gradassi, titolare dell’Azienda Agraria Marfuga, esponente di quarta generazione della famiglia di olivicoltori e imprenditore entusiasta e appassionato - e i nostri prodotti sono sempre stati tra i più premiati. Al primo posto in cinque edizioni dell’Ercole Olivario (l’“Oscar” dei premi italiani, notissimo anche all’estero), premio internazionale Biol, citazioni di merito nelle più prestigiose guide (come l’italiana SlowFood e la tedesca Merum), Premio Gambero Rosso “Azienda dell’Anno 2020”, solo per citarne alcuni… e soprattutto il grande successo del premio Flos Olei 2020 attribuito al ‘Marfuga Riserva’ per il Miglior Olio Extravergine di Oliva dell’Anno nel Mondo. Una grandissima soddisfazione, perché essere campioni del mondo è una cosa che rimane per sempre: un po’ come nel calcio, questa è una stella che resterà indelebile sulla nostra maglia”.
Ma come si arriva a simili straordinari risultati? Di certo avere alle spalle una solida tradizione - che si traduce in conoscenza e competenza - è di grande aiuto. Racconta Francesco: “La nostra (come molte altre in Umbria) è un’antica famiglia di agricoltori: nell’Ottocento il mio bisnonno Domenico, che coltivava queste terre, iniziò a possedere nella zona anche alcuni terreni piantumati a ulivo. All’epoca era considerata una possibilità di incremento per l’attività agricola, una ricchezza aggiunta dal momento che l’olio era un bene primario e molte famiglie della zona non potevano produrlo da sé; già nei primi del Novecento Domenico spediva l’olio in damigiane di vetro fino al Nord Italia. Lo chiamavano ‘l’oro verde’… e tale è rimasto, per me, anche ai giorni nostri”.
Tornando alla storia, c’è una data che viene utilizzata come riferimento “ufficiale” per stabilire l’età dell’azienda: il 1817, anno che compare in un’unità di misura di vendita, marchiata dallo Stato Pontificio, ritrovata nei magazzini aziendali.
Nell’arco di oltre 200 anni ciascuna generazione della famiglia ha inserito elementi di crescita per l’attività; altro punto di svolta è il 1976, quando Ettore, padre dell’attuale titolare - pur svolgendo contemporaneamente il lavoro di bancario - riesce a trovare l’energia e le risorse per installare il primo frantoio per l’olio all’interno dell’azienda agricola. La storia prosegue fino ad arrivare a Francesco che, insieme alla moglie Federica, nel 1992 crea il brand Marfuga e nel 2003 decide di costruire un nuovo frantoio. “È stata un’idea in qualche modo pionieristica - racconta - perché fino ad allora il concetto di frantoio era molto diverso: un impianto che si utilizzava solo un paio di mesi all’anno e che per il resto del tempo poteva essere trascurato. Ho scelto di costruire questa nuova struttura in una posizione più comodamente raggiungibile e più fruibile commercialmente (nelle epoche precedenti, in queste zone il frantoio era posto al di sotto della casa di famiglia e incorporato in essa, e i trasporti avvenivano a dorso di asino o di mulo). E in questo edificio abbiamo cercato di riprodurre il fascino e il calore di un’antica casa di famiglia”.
Obiettivo pienamente centrato, come può confermare chiunque visiti la sede di Marfuga: ambienti accoglienti con sale di degustazione che hanno tutta l’atmosfera di un grande salotto, dove antichi mobili di famiglia si mescolano con pezzi di design e dove la luce e lo spazio la fanno da padroni. “Questa scelta di pulizia visiva ci ha aiutato molto anche nei confronti dei clienti stranieri, confermando il nostro preciso posizionamento: i mercati esteri a cui ci rivolgiamo sono molto esigenti e consapevoli, e dedicano grande attenzione a tutte le fasi dell’attività produttiva e ai luoghi in cui questa si svolge. Nell’arco di 10 anni abbiamo sviluppato moltissimo le nostre esportazioni, che comprendono oggi 24 Paesi: in particolare gli Stati Uniti e il Giappone, nazioni che hanno un legame molto forte con la cucina italiana. Ma assistiamo ora a un grande sviluppo in Cina (dove abbiamo aperto un nostro corner in 24 importanti store) e un po’ in tutta l’Asia: Vietnam, Malesia, Corea… tutti mercati che stiamo cercando di incrementare e da cui ci aspettiamo un forte rimbalzo dopo la crisi causata dal Covid-19, dal momento che sono usciti per primi dalla fase dell’emergenza. Emergenza sanitaria che, una volta spostatasi qui in Europa e in America, ha creato inevitabilmente molti problemi anche a noi: fino alla metà di marzo l’azienda ha funzionato pressochè regolarmente, riuscendo così a portare a termine tutti i contratti già stipulati. Dopo di che, però, abbiamo assistito a un blocco delle esportazioni, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti. Prevedo purtroppo che questa situazione si protrarrà per qualche tempo, rendendo i mesi estivi molto difficili; non solo in ambito internazionale, ma anche a livello di mercato interno, dal momento che le strutture di ristorazione sono tra quelle più penalizzate dal lockdown: riprenderanno l’attività più tardi rispetto ad altri settori, e comunque con restrizioni tali da causare un sostanziale calo dei consumi. Per contro, almeno una nota positiva viene dal vero e proprio boom che abbiamo registrato per le vendite on line: un canale che i nostri clienti più affezionati hanno iniziato a utilizzare molto più intensamente e che è stato un aiuto di non poco conto in un periodo in cui il nostro spaccio aziendale ha dovuto rimanere chiuso. Il coronavirus, insomma, ci ha dato quantomeno anche uno stimolo per il futuro, per incrementare ulteriormente una tipologia di vendita che si è rivelata molto efficiente”.
L’importanza della tradizione, si diceva: ma è evidente che si tratta solo di uno degli ingredienti della “ricetta Marfuga”. Un secondo, e fondamentale, è quella della passione straordinaria che anima il titolare e tutti coloro che lavorano in azienda, che si respira letteralmente nell’aria e che si concretizza in una quantità di progetti e iniziative. “Per noi è fondamentale seguire con attenzione i progressi dell’innovazione tecnologica - spiega ‘Francesco Marfuga’, come viene ormai da molti chiamato - tanto che abbiamo instaurato uno stretto rapporto di collaborazione tra i nostri tecnici e l’Università di Perugia, in particolare per quanto riguarda i macchinari per l’estrazione, con l’obiettivo di una costante crescita qualitativa sia dal punto di vista chimico che da quello organolettico e sensoriale”.
Tutta questa attività sfocia nella produzione di una serie di oli extravergini dalle caratteristiche molto particolari: “oli estremi”, come Francesco ama denominarli, figli della fatica, della laboriosità, coltivati in zone impervie, in minuscoli fazzoletti di terra strappati alla montagna, alle rocce, al bosco. “Già dalla fine degli anni ’80, in anticipo sui tempi, abbiamo cercato di legare i prodotti al loro territorio, così da mettere in risalto le caratteristiche specifiche delle varie cultivar fino a farle diventare pregi assolutamente esclusivi, non replicabili altrove. La nostra zona olivetata (nata da disboscamenti avvenuti intorno al VII/VIII secolo) si estende in una fascia tra i 300 e i 500 metri di altitudine, su un terreno calcareo roccioso; qui abbiamo piantato il Moraiolo, una delle cultivar migliori al mondo. A questo si aggiunge il fatto che l’Umbria è l’unica regione che non ha accesso al mare e questo porta a inverni rigidi ed estati calde e secche: l’assenza di umidità impedisce il diffondersi della mosca olearia, che altrove è invece un grosso problema e richiede trattamenti specifici. Siamo, insomma, in un’area baciata dalla fortuna, dove le pratiche biologiche sono la normalità e dove possiamo tranquillamente fare a meno di ricorrere ai fitofarmaci. Anche la lavorazione ha poi la sua importanza: la raccolta avviene a mano, in leggero anticipo, e poi, una volta in frantoio, nell’arco di 12/24 ore si procede con attenzione quasi maniacale, in ciclo continuo e a una temperatura controllata tra i 25° e i 27°, alle operazioni di frangitura, spremitura e gremolatura; segue lo stoccaggio in tank di acciaio inox e l’imbottigliamento, anch’esso effettuato direttamente presso la nostra sede. Il risultato sono oli con caratteristiche chimiche (polifenoli, antiossidanti, acidità) di altissimo valore, di cui anche la moderna medicina ha riconosciuto gli effetti positivi sulla salute dell’individuo”.
Si tratta, insomma, di oli rari, realizzati con tecniche che mescolano la cura artigianale con le più innovative tecnologie; veri e propri gioielli, prodotti in quantitativi inevitabilmente contenuti che, per alcune varietà, non vanno oltre le poche migliaia di bottiglie all’anno. “Il tema della crescita è una delle problematiche che sto affrontando: per questi tipi di olio, è inevitabile che la produzione sia limitata. Da un lato stiamo incrementando le quantità con l’acquisto di nuove proprietà e con l’utilizzo della produzione di un gruppo di olivicoltori del luogo, da noi selezionati e seguiti direttamente. Dall’altra parte, a livello commerciale, abbiamo ridotto i formati eliminando le bottiglie da 750 ml e proponendo solo il mezzo litro, i 250 ml e i monodose da 100 ml: questo ci consente di aumentare il numero di pezzi prodotti e di clienti che possono degustare i nostri oli. Riusciamo a incrementare la nostra produzione del 4/5% all’anno, il che ci consente di continuare a reinvestire nell’azienda”.
La storia della “famiglia Marfuga”, insomma, continua. E già inizia ad affacciarsi una nuova generazione: “Le mie due figlie - racconta Francesco - hanno rispettivamente 18 e 14 anni. Certo, è ancora presto per capire che strada vorranno intraprendere; e il cambio generazionale è un passaggio  importante, che va fatto con delicatezza e senza forzare i tempi. Per ora è il momento di studiare (la maggiore sta per andare all’università). Nel frattempo, quello che faccio è cercare di coinvolgerle emotivamente: assistendo alle lavorazioni, presenziando alle premiazioni, imparando ad apprezzare il profumo dell’olio e il suo sviluppo: ci vogliono 9 mesi, proprio come per un bambino che nasce. E ogni volta, per tutti noi, è una magia e un’emozione che si ripete”.

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Ultima modifica 02/07/2020