M.A.S.

I protagonisti delle "Battaglie in porto" nell'Adriatico (prima parte)
M.A.S.

Ai primi d’agosto del 1914 la Gran Bretagna aveva messo a disposizione del maggior alleato, la Francia, le sue basi nel Mediterraneo, tra cui Malta.
Nel corso dei lunghi mesi che precedettero l’intervento italiano, l’ammiraglio Anton Haus, comandante della marina austroungarica, preferì evitare l’impiego delle maggiori unità della sua flotta, ben riparate nella base istriana di Pola: era alquanto improbabile che gli Alleati, privi di basi di rifornimento, si addentrassero nell’Adriatico Settentrionale. In effetti i francesi ben presto incentrarono il loro intervento sul “blocco” dell’Adriatico nella zona più stretta, il Canale d’Otranto; un’operazione costosa e di dubbia efficacia, dato che i piroscafi con bandiera neutrale (ad esempio, greca) non potevano essere sequestrati, anche se con ogni probabilità commerciavano per conto degli Imperi Centrali.
Nell’inverno 1914 la neutralità dell’Italia si fece più formale che sostanziale: non a caso il grosso delle corazzate venne trasferito da La Spezia a Taranto, anche nella prospettiva di un intervento in Albania (attuato a fine dicembre con l’occupazione del porto di Valona).
La flotta di Haus seppe rispondere ai tentativi di alcuni sottomarini francesi di violare le sue basi; da quella più avanzata sulla costa dalmata, Cattaro, gli incrociatori leggeri, unità moderne e veloci, si dimostrarono efficaci nell’inibire agli Alleati l’accesso alle zone dove il naviglio commerciale era soggetto agli attacchi dei sottomarini: bandiera austriaca ma costruzione ed equipaggi tedeschi. L’azione dei mezzi subacquei era favorita dal fatto che entrambi i contendenti posavano continuamente mine subacquee, e quindi i mercantili avevano poche possibilità di scegliere le rotte in base all’esperienza dei comandanti. Si procedeva in convoglio, scortati dai cacciatorpedinieri, sperando che il primo lancio di siluri andasse a vuoto e l’avversario preferisse allontanarsi. Haus poteva contare anche su una sessantina di idrovolanti, molto efficaci nella “ricognizione offensiva”.
Tra il 23 e il 24 maggio 1915, subito dopo la dichiarazione di guerra italiana, Haus suddivise in otto gruppi le navi più veloci che, guidate dalla ricognizione aerea, cannoneggiarono pressoché indisturbate per alcune ore tutti i principali centri costieri tra Ancona e la Puglia. I giornali descrissero danni modesti, tuttavia quella dimostrazione di potenza fece notevole impressione anche sui presidi territoriali, il cui spirito combattivo non era paragonabile a quello dei reparti al fronte. Ad esempio Gennaro Pagano di Melito, comandante del mercantile armato Gianicolo, attivo in pericolose missioni di rifornimento lungo le coste pugliesi, chiese la destituzione d’un capitano che, pur disponendo di 80 soldati a presidio delle isole Tremiti, si guardava bene dal segnalare le brevi soste dei sottomarini nemici, e aveva redarguito un fante per aver sparato contro un idrovolante austriaco, “che poteva reagire e mitragliarci tutti”.
L’istituzione d’un “blocco navale” lungo l’intera costa adriatica, deliberato in tutta fretta dal governo Salandra, lasciò l’amaro in bocca agli ammiragli già pronti a un attacco in forze su Pola, per “stanare” il grosso della flotta nemica: un piano non condiviso dagli Alleati, cui premeva in primo luogo impedire con ogni mezzo agli U-boote tedeschi, che avevano messo in crisi le rotte mediterranee, di rifornirsi nelle basi austriache. Le grandi corazzate italiane rimasero a Taranto, e l’azione offensiva si limitò all’occupazione (11 luglio) dell’isola di Pelagosa, cui doveva seguire Lagosta e, con un po’ di fortuna, Dubrovnik, l’antica Ragusa. Ma solo una settimana dopo, in quel tratto di mare l’U-4 affondò l’incrociatore corazzato Garibaldi, e l’operazione fu bloccata. Nei giorni seguenti il Gianicolo mantenne il collegamento con Pelagosa, ma i continui attacchi aeronavali e la perdita del sottomarino Nereide indussero i comandi a evacuare l’isola il 18 agosto. Nell’Alto Adriatico la Marina aveva due obiettivi: proteggere Venezia dalla costante minaccia aeronavale austriaca e appoggiare lungo la costa l’avanzata delle truppe di Cadorna. Allo scoppio delle ostilità, grazie anche all’azione del cacciatorpediniere Zeffiro contro le caserme di Porto Buso, gli austriaci avevano ritenuto indifendibile Grado; che divenne ben presto, per la sua prossimità al fronte terrestre e per la protezione offerta dall’omonima Laguna, accessibile solo a piccole imbarcazioni, una base strategica. Vi fu assegnato anche il tenente di vascello Luigi Rizzo, siciliano di Milazzo: un lupo di mare nato nel 1887 che s’era fatto le ossa sui mercantili.
Anche in questa zona Haus lasciò campo libero agli idrovolanti, superiori per numero e armamento a quelli italiani. Il morale degli austriaci era alto, specie dopo l’affondamento dell’incrociatore Amalfi da parte dell’U-14 (7 luglio); per fortuna era avvenuto in acque basse, quindi il futuro ammiraglio Umberto Cagni, già direttore dell’Arsenale di Venezia, fece montare i pezzi dell’Amalfi su alcuni pontoni mobili, piazzati in Laguna.
Il 27 settembre a Brindisi, divenuto il porto operativo più importante del Basso Adriatico, esplose la Benedetto Brin, moderna corazzata che imbarcava in quel momento il comandante della III Divisione Navale; con lui morirono 20 ufficiali e altri 433 uomini.
Secondo la versione ufficiale si trattò di un incidente dovuto alla superficialità con cui erano stati imbarcati e stivati proiettili ed esplosivi di nuovo tipo, ma furono in molti a parlare di un atto di sabotaggio. In ogni caso un episodio increscioso, su cui fecero leva gli Alleati, presenti in forze a Brindisi, per chiedere a Roma maggior condivisione nella gestione del Blocco. L’11 ottobre fu annunciato che il Capo di stato maggiore della Marina, Paolo Thaon di Revel, veniva destinato al comando della piazza marittima di Venezia, e che al suo posto, quale interlocutore principale con gli alleati, avrebbe operato il contrammiraglio Lorenzo Cusani. Egli si mostrò più malleabile del predecessore nella gestione dei drifter: 65 pescherecci d’altura britannici inviati in crociera permanente lungo il Canale d’Otranto, che si muovevano in formazioni abbastanza serrate da segnalare con precisione ai cacciatorpiedinieri italiani la presenza degli U-boote. I cui comandanti da quel momento si trovarono a scegliere tra una preda facile, ma di scarso valore, e il prosieguo della missione ma su una rotta più lunga. Revel, considerato negli ambienti politici e militari il vero capo della Regia Marina, riteneva un errore lasciare il comando dei drifter agli Alleati, dato che l’Italia li aveva acquistati; dopo il suo arrivo nell’Alto Adriatico ottennero nuovo impulso i progetti per il rafforzamento quantitativo e qualitativo degli idrovolanti, e quello per la costruzione di piccole unità agili e veloci, adatte all’impiego sui bassi fondali: i M.A.S. La sigla faceva riferimento all’azienda produttrice, la SVAN (Società Veneziana Automobili Navali), di cui era magna pars l’ingegnere toscano Attilio Bisio, che prima della guerra si occupava di vaporetti veneziani. I Motoscafi Armati Svan, dotati di potenti motori a benzina Isotta Fraschini, avevano una prua alta e svasata, che in velocità produceva un gran “baffo” di spuma; tuttavia in navigazione potevano passare anche su fondali molto bassi senza timore d’insabbiarsi, e potevano eseguire virate molto strette onde evitare le mine. In agosto il silurificio annesso all’Arsenale di Venezia venne affidato a Costanzo Ciano, il quale fece applicare ai primi modelli di M.A.S. due tubi lancia-siluri; ecco perché le nuove unità, che avevano un equipaggio d’una ventina di uomini, perlopiù motoristi e meccanici, assunsero il nome di “Motoscafi Armati Siluranti” o “Motoscafi Anti Sommergibili”.
Revel, fautore dell’italianità “assoluta” dell’Adriatico, era consapevole dell’importanza della propaganda; non poteva ignorare le rigide regole imposte dallo Stato Maggiore, ossessionato dall’azione delle spie nemiche, quindi si mosse dal lato delle decorazioni, che nella sua zona di competenza cominciarono a essere concesse con maggior frequenza. Così, mentre Cusani organizzava nel massimo riserbo il trasporto verso le isole greche di migliaia di serbi in fuga (da settembre l’ingresso in guerra della Bulgaria aveva bloccato i già problematici rifornimenti russi alla Serbia) e, allo stesso tempo, lo sbarco in territorio albanese di alcune migliaia di soldati italiani, Revel assegnava medaglie per azioni obiettivamente meno rilevanti sull’andamento generale del conflitto. Ad esempio, il 30 novembre a Rizzo fu assegnata una medaglia d’argento al V.M. con questa motivazione: «Per le numerose prove di arditezza e di iniziativa date durante varie azioni guerresche in mare come osservatore di idrovolanti e perché, avendo ricevuto ordine di recare ad una squadriglia di torpediniere delle informazione sull'ubicazione di galleggianti nemici, si offriva di pilotare la squadriglia stessa in un'importante azione guerresca, contribuendo col suo ardimento e la sua abilità tecnica alla buona riuscita dell'operazione.»
Nei primi giorni del 1916 la pressione su Grado si allentò temporaneamente, perché la flotta di Haus (cui in maggio fu conferito il titolo di Grande Ammiraglio) collaborò all’invasione del Montenegro bombardando dal mare i punti d’osservazione alleati sul monte Lovcen, anche al fine di agevolare il trasferimento a sud di altre navi, da Sebenico a Cattaro. Pochi giorni dopo, tra il 25 ed il 27 febbraio, esse causarono forti perdite (oltre 800 morti) nel contingente italiano ch’era stato fatto evacuare da Durazzo, da dove l’ultimo convoglio con profughi serbi era partito il 9 febbraio. Pochi giorni dopo quell’importante scalo venne occupato, insieme al nord dell’Albania, dalle truppe austro-bulgare, e divenne ben presto un punto nevralgico per reindirizzare verso nord i preziosi carichi delle navi mercantili ch’erano riuscite a passare il blocco degli Alleati.

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Ultima modifica 27/02/2018