Nostradamus? Un compilatore di almanacchi

Ad ogni inizio d’anno siamo tutti alle prese con questo tipo di calendari arricchiti di indicazioni meteorologiche, astronomiche e di tante altre piccole curiosità

Natale 2014 è ormai andato, l’anno nuovo è già cominciato, e tutti noi prima o dopo ci siamo trovati alle prese con il nuovo almanacco, da attaccare alla parete del frigo o dietro alla porta della cucina. Ecco, ma da dove arriva l’almanacco, ovvero il tradizionale calendario con l’aggiunta di indicazioni meteorologiche, astronomiche e con tante altre piccole curiosità che spaziano dalle ricette di cucina ai consigli per la cura del verde casalingo?
 Sembra che la prima pubblicazione di questo tipo venne stampata a Norimberga nel 1513 (neanche 60 anni dopo la nascita della prima Bibbia di Giovanni Gutenberg), e si sa che uno dei primi estensori di questo genere di calendari fu Nostradamus, l’autore delle celeberrime Centurie che prevedrebbero il futuro dell’umanità.
 
Quanto a Milano, una fonte di cui non si può dubitare (Raffaele Bagnoli, gran conoscitore delle tradizioni cittadine) ci dice che il primo calendario a stampa risale al 1635, per opera di un libraio di piazza Mercanti, Lodovico Monza, che lo pubblicò con il titolo “Il pescatore di Chiaravalle” in quanto sarebbe stato compilato in quell’abbazia. Non si sa solo questo del primo calendario meneghino. Infatti, si conosce persino il nome dell’estensore, il monaco Cesario Manusardis, “ob ostrologiae excellentiam dictus magnus piscator Clarevallis”, e cioè “per l’eccellenza nel campo dell’astrologia detto il grande pescatore di Chiaravalle”. Sarebbe proprio questo monaco il primo autore degli estratti della saggezza popolare, dei proverbi, dei detti e delle più varie indicazioni che andarono ad arricchire questo nuovo tipo di calendario.
 
Fu dunque “Il pescatore di Chiaravalle” ad inaugurate tutta la serie di almanacchi che sarebbero venuti in seguito con i nomi più diversi, dal “Gran pescatore di Chiaravalle” al “Rustico Indovino” (1729), dal “Barbanera” (del 1743, ma stampato a Foligno) al “Milano Sacro” (1770). Tra quelli che seguirono ci sia consentito citare “Il Nipote di Vesta Verde”, nato nel 1848 e soppresso nel 1858 perché il suo direttore e compilatore, il letterato e politico Cesare Correnti, aveva auspicato ad inizio d’anno “la speranza nella liberazione dallo straniero”.
 
Detto degli almanacchi, ricordiamo che a chiudere il ciclo delle feste di Natale è l’Epifania “che tutte le feste porta via”, la festività religiosa che celebra tre momenti della manifestazione di Gesù al mondo, l’adorazione dei Magi, il battesimo nel Giordano e il miracolo di Cana. Di questi tre momenti quello che ha avuto più presa nel folklore popolare è stato l’adorazione dei Magi, celebrata in tutta Italia con le varie feste che hanno al centro il tradizionale personaggio della Befana, che lascia regali ai bimbi buoni e carbone a quelli cattivi.
 
Quanto a Milano, questa città celebrò a lungo e con particolare dedizione il culto dei Magi in quanto sarebbe stata proprio essa ad ospitare per lunghi secoli i loro corpi, giunti qui per un particolare susseguirsi di circostanze. Tutto sarebbe nato per iniziativa dell’imperatore Costantino che, dopo aver mandato quello che sarebbe diventato il vescovo Eustorgio I a governare la città, in seguito alla sua elezione popolare gli avrebbe donato (forse nel 325) le reliquie dei Magi, che erano conservate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
 
Per onorare i tre Re, Eustorgio fece edificare una basilica denominata “Basilica dei Santi Re Magi”, che, alla morte del vescovo, cambiò nome in Sant’Eustorgio in quanto lì vi venne sepolto.
I corpi dei Re Magi sarebbero stati conservati in un avello recante la scritta “Sepulcrum Trium Magorum”. Per la cronaca, le reliquie vennero trafugate nel 1162 dall’arcivescovo di Colonia Rainaldo di Dasel, che si valse del diritto di spoglio su Milano concessogli dall’imperatore Federico Barbarossa. A Colonia, vennero deposte nella chiesa di San Pietro Apostolo, il luogo dove sorse in seguito il duomo della città tedesca.
 
La traslazione delle reliquie dei Re Magi a Milano comunque non è una vicenda accolta da tutti: molti la accettano, altri la fanno risalire non a Eustorgio I ma a Eustorgio II, altri ancora a Marsazio, un vescovo non eletto, o ai crociati milanesi. È curioso infine che Milano non accettasse, secondo un anonimo del X secolo, i nomi tradizionali dei Re Magi, e cioè Gaspare, Baldassarre e Melchiorre, ma li chiamasse Dionigi, Rustico ed Eleuterio.
Gennaio lascia il passo a febbraio di cui, fra le tradizioni che lo riguardano, bisogna almeno ricordare quella di San Biagio vescovo perché, nel giorno a lui dedicato, è consuetudine compiere un piccolo gesto a protezione dalle malattie della gola. 
 
Dice infatti la leggenda che al vescovo, che si era ritirato in una spelonca per condurvi una vita da romito, un giorno venisse portato il corpo di un ragazzino morente per via di una spina di pesce che gli si era conficcata nella gola. San Biagio benedisse il ragazzino e lo salvò facendogli ingoiare una grossa mollica di pane che portò via la spina. Ecco spiegato il perché ancora oggi nel giorno del santo si consumi un pezzo di pane o meglio del panettone natalizio conservato appositamente: il suo passaggio attraverso la gola la preserverebbe da tutte le malattie che la riguardano.
 
Non è questo l’unico modo per benedire la gola: un altro consiste nel metterla a contatto con due candele incrociate, benedette precedentemente, e un altro ancora richiede che la gola venga strofinata con un cordone pendente dall’altare dedicato al santo. Che fece una brutta fine, visto che venne fatto decapitare dopo essere stato rinchiuso in uno squallido carcere e dopo aver subito diversi tormenti quali l’essere battuto con le verghe e l’essere scarnificato con dei pettini di ferro. Ecco perché, per via di quei pettini di ferro, il santo divenne il protettore dei materassai, che li usavano per cardare la lana.
 
Da febbraio a marzo il passo è breve, ed eccoci in Quaresima, cioè nel periodo di digiuno che serve di preparazione alla Pasqua. Un periodo di penitenza di 40 giorni, che nell’antichità furono portati anche a 50, a 60 e a 70: da qui si spiega il perché le tre domeniche che precedono il Mercoledì delle Ceneri sono chiamate di Quinquagesima, di Sessagesima e di Settuagesima.
 
I 40 giorni di privazioni non vennero scelti a caso: dall’Antico Testamento si sa che il Diluvio durò 40 giorni e 40 notti, che Mosè per due volte aspettò digiunando 40 giorni che il Signore gli consegnasse le Tavole della Legge, che sempre per 40 giorni digiunò il profeta Elia, e che ancora per 40 giorni digiunò Gesù nel deserto prima di iniziare la sua missione.
 
Furono dunque 40 i giorni di Quaresima per tutta la cristianità, ad eccezione, come dubitarne, di Milano con la sua diocesi, che respinse l’indicazione di far cominciare il periodo di penitenza non la sesta domenica prima della Pasqua ma il mercoledì precedente. Cosa che permette ancora oggi ai milanesi di terminare il periodo del carnevale non il mercoledì ma appunto il sabato.
 
Quanto alle limitazioni da osservare nel periodo quaresimale, basti dire che anche a Milano come ovunque nei primi secoli dell’era cristiana era regola il non mangiare prima del vespro, cioè l’ora del tramonto. Una regola decisamente dura, che dopo l’anno 1000 venne mitigata anticipando il pasto all’ora nona, le tre, per essere poi portata, nel XIV secolo, a mezzogiorno. 
 
Nel periodo della dominazione spagnola la Quaresima veniva fatta rispettare duramente: l’acquisto di carni, uova, pollami e latticini era riservato agli ammalati, ai fanciulli, alle balie e a chi aveva più di 60 anni. La pena per i trasgressori poteva arrivare alla morte, mentre ai delatori era concesso un premio in denaro.
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Ultima modifica 16/03/2015