UMBRAGROUP

Il cuore tech dell'Umbria
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Entrare nella sede di UmbraGroup, poco fuori dal centro storico di Foligno, nella via intitolata al padre fondatore dell’azienda Valter Baldaccini, significa compiere un salto ideale di molte migliaia di chilometri e immergersi nel mondo delle imprese americane ad alto tasso di innovazione: grandi finestre, luce diffusa, ampi corridoi e atmosfera rilassata, tavoli all’aperto dove consumare le preparazioni di una mensa “a cinque stelle”. Niente di più lontano dall’immagine di un’Umbria tradizionale, dove antiche costruzioni custodiscono attività legate alla storia del territorio e dalla forte impronta artigianale. Il cuore verde della regione è anche qui, negli scenari che si godono dalle grandi vetrate e nell’atmosfera serena che si respira; ma a essere di casa è soprattutto il futuro. Lo si capisce appieno entrando nell’ufficio di Antonio Baldaccini, Amministratore Delegato di UmbraGroup: una grande stanza bianca, con una scrivania completamente sgombra e un altrettanto deserto tavolo da riunioni; nessun quadro appeso alle pareti, nessuna foto, nessun incartamento, neppure una biro: un ampio locale di monastica essenzialità in cui l’unica, straordinaria decorazione è il panorama che si gode dalla finestra a tutta parete, rivolta verso la vicina Spello. Antonio Baldaccini è figlio di Valter, scomparso nel 2014, e vanta un ragguardevole curriculum tanto interno quanto esterno all’azienda di famiglia: laureato in Economia e Commercio e Executive MBA negli Stati Uniti, dopo il suo ingresso in Umbra Cuscinetti spa nel 1995 ha ricoperto numerosi incarichi manageriali e posizioni di guida ed è stato nominato, nel 2008, membro del consiglio di amministrazione della Umbra Cuscinetti. A marzo 2012 è stato vice president e general manager di Umbra Cuscinetti Inc., a Everett (controllata di Umbra Cuscinetti). Tra il 2006 e il 2010 ha rivestito un ruolo manageriale nelle relazioni commerciali tra la Umbra Cuscinetti S.p.A. e la divisione commerciale di The Boeing Company per poi ricoprire, a partire dal 2013, il ruolo di executive vice president of aerospace and electromechanical business unit. È lui oggi al comando di una realtà con una storia di crescita e di sviluppo lunga oltre 40 anni: è nel 1972, infatti, che nasce Umbra Cuscinetti spa (oggi casa madre di UmbraGroup), dalle radici di un’azienda locale in crisi, salvata dall’intervento della tedesca FAG e dell’italiana Gepi. Poi, nel 1993, la svolta: Valter Baldaccini, insieme all’attuale direttore di stabilimento Reno Ortolani, decide di acquistare per intero le quote dell’azienda con un’operazione di management buyout. Inizia così un cammino di successo: investimenti importanti; acquisizioni dell’azienda tedesca Kuhn, della statunitense Umbra Cuscinetti Inc e da ultimo della Praezisionkugeln Eltmann; fatturato in costante crescita (di cui circa il 90% in export), passato dai 146 milioni di euro del 2014 ai 165 milioni del 2016. UmbraGroup è attualmente leader mondiale nella realizzazione di viti a ricircolo di sfere nel settore aeronautico, fornitrice strategica di importanti realtà a livello globale quali Boeing, Airbus, British Airways, Lufthansa, KLM, Lockheed Martin, Trumpf, Mori Seiki.
“In realtà - spiega Antonio Baldaccini - l’industria aeronautica ha numeri molto piccoli: anche a livello di mass production, esempio B737, 42 aeroplani al mese. In questo senso, la ‘vera’ industria, è quella automobilistica, la nostra è quasi una forma di artigianato evoluto. Certo, quello dell’aeronautica è un ‘club’ ristretto e non per tutti: un mercato mondiale in cui c’è spazio solo per le eccellenze. E non potrebbe essere altrimenti, considerato il fatto che i nostri prodotti - che sono montati su tutte le piattaforme da 100 posti in su - sono determinanti per la sicurezza del volo”. Ma come è nato questo centro di eccellenza così specialistico? “Alla fine degli anni 70 - spiega ancora Baldaccini - il 'Progetto Tornado' portò in Italia la produzione di alcuni componenti, realizzati da Umbra Cuscinetti. Questo permise all’azienda di staccarsi da FAG, che costituiva di fatto l’unico cliente, di acquisire tecnologie da Francia e Stati Uniti e di produrre per anni principalmente viti cromate. All’inizio degli anni 90 il Gruppo FAG sviluppò un materiale (CRONIDUR 30) che ci permise di realizzare viti a ricircolo di sfere inossidabili che non necessitano di manutenzione (in precedenza, nel corso della vita del prodotto erano necessari almeno quattro interventi). Si trattava di una vera e propria rivoluzione per questo tipo di componentistica, e all’inizio fu vissuta dal mondo aeronautico con grande diffidenza; ma quando la Boeing decise di investire su di noi e di montare le nostre viti sui suoi aerei fu la consacrazione della validità dei nostri prodotti e ben presto anche tutti gli altri la seguirono. Il successo di UmbraGroup nasce da qui: di fatto abbiamo ribaltato la piramide, passando tantissimo valore ai nostri clienti”. Fin qui, il passato. Che cosa si prevede come linea di sviluppo per il prossimo futuro? “Stiamo vivendo un momento particolare, di grande cambiamento legato all’elettrificazione: nel passato la produzione di componenti meccanici innovativi ci ha consentito un grande salto in avanti. Ora, nel 2017, per Airbus abbiamo sviluppato un nuovo attuatore elettromeccanico, che sarà montato sul primo elicottero ‘fully electric’. A mio avviso l’elettrificazione è il futuro, e la mia speranza è che questo passo rappresenti una scommessa su di noi analoga a quella fatta in passato da Boeing con le viti a ricircolo di sfere, aprendoci la via a un campo estremamente promettente”. Resta il fatto che, per un’azienda come questa, gli investimenti in macchinari e in ricerca e sviluppo sono una componente essenziale, su cui viene investito circa il 10% del fatturato. Un investimento che non si limita a nuovi macchinari e tecnologie, ma si concentra moltissimo sul capitale umano. Non a caso UmbraGroup si caratterizza anche per il suo assetto di azionariato diffuso: tutti i dipendenti con MBO (cioè con una parte della propria attività legata al raggiungimento di obiettivi prefissati) hanno infatti la possibilità di trasformare il 50% del proprio MBO in azioni a un prezzo privilegiato; e ulteriori forme di accesso facilitato alla compagine azionaria sono previsti per il top management. “Per quanto riguarda il gestionale - racconta Baldaccini - la vera rivoluzione sarà la donna. E non lo dico solo perchè tra moglie e figlie ho quattro femmine a casa… Di fatto, rispetto all’uomo la donna ha il cervello giusto per un’industria veloce e multitasking come la nostra; e anche come leader, le caratteristiche femminili sono estremamente adatte. Proprio per questo ho voluto lanciare nel 2016 un progetto dedicato alla leadership femminile in cui tre squadre, capitanate da tre donne, hanno lavorato su tematiche aziendali estranee alla quotidianità lavorativa di ciascun partecipante, per vedere con occhi nuovi e trovare soluzioni alternative.
L’iniziativa è stata un successo, tanto che verrà ripetuta anche quest’anno. Se vogliamo affermarci rispetto a un mondo - quello dei paesi in via di sviluppo - che ha un costo del lavoro molto inferiore al nostro, dobbiamo puntare a una sempre maggiore formazione delle persone che lavorano con noi: donne e uomini che, da semplici esecutori, possano diventare controllori di processo e, a un livello superiore, dei veri e propri creativi, fornitori di soluzioni. Nell’industria automobilistica, dove ci sono grandi volumi, questo processo è già in atto: la tecnologia è integrata per definizione, le macchine antropomorfe ormai svolgono tutto il lavoro e quello che serve è solo un controllore; per noi si tratta di una trasformazione ancora in corso, che sono certo avverrà nell’arco dei prossimi 10-15 anni al massimo. Siamo impegnati anche per quanto riguarda la scuola: tra i nostri prossimi progetti c’è quello di lanciare una ‘UmbraGroup Academy’; ma soprattutto ritengo importante lavorare sul concetto di leadership. Le business school formano ottimi manager, ma si tratta in sostanza di bravi esecutori; quello che si richiede ora è di essere leader, e per ora vedo poca sostanza su questa nuova materia, su cui noi da almeno 7/8 anni ci stiamo concentrando. Ricordo di aver chiesto a mio padre: ‘Ma tu come tramanderai tutto questo?’ La risposta è che non esiste un modello da applicare: la leadership è qualcosa che riguarda l’individuo nella sua interiorità ed è per questo che si deve passare anche da una formazione ‘interna’, e non è più sufficiente un apprendimento lavorativo ‘sul campo’.” A proposito del padre, inevitabile chiedere ad Antonio Baldaccini la sua visione sui temi connessi al passaggio generazionale. “Nel mio caso - è la risposta - è stato innanzitutto mediato da esperienze esterne. E la scelta dell’amministratore delegato è stata effettuata da un comitato strategico, tra una rosa di candidati identificati da mio padre come potenziali CEO. Io ho lavorato molto negli Stati Uniti, sempre con riferimento all’azienda (ad esempio occupandomi del cliente Boeing); viaggiare mi ha aperto la mente a una serie di importanti informazioni e concetti. Come quello, tipicamente statunitense, della necessità di una ‘visione’; o come l’idea, di matrice giapponese, di escludere dove è possibile l’uomo dalla fase strettamente di manovalanza. Il risultato è che sono un fanatico della mappatura di processo: se esiste un processo mappato chiunque è sostituibile; poi, magari, il successore potrà intervenire con modifiche e miglioramenti, ma intanto si ha immediatamente una base fattuale su cui agire. In pratica, si tratta del contrario della cultura personalistica della ‘bottega’: gli uomini diventano importanti soprattutto quando riescono a staccarsi e a prendere le distanze dal processo. E in quest’ottica entra anche il concetto di delega: la responsabilizzazione del singolo manager per noi è essenziale. Tornando al tema del passaggio generazionale, la mia percezione è che il fondatore di un’azienda debba svolgere il ruolo di imprenditore, di amministratore delegato, ma non quello di padre, perché questo può rivelarsi dannosissimo: i figli, comunque vada, me li tengo, mentre se tengo con me un manager non performante faccio il male dell’impresa. In un’azienda a tradizionale matrice famigliare, poi, il problema più grosso a mio avviso è la crescita: se si cresce all’interno delle mura domestiche esistono dei confini, invece se ci si sviluppa tramite acquisizioni questi confini si espandono. Un’idea che alla famiglia fa paura, provocando così un’autolimitazione dello sviluppo e, in ultima analisi, un grosso danno all’azienda. Quando avevo 14 anni, un direttore della Boeing chiese a mio padre come avrebbe affrontato il passaggio generazionale e lui gli rispose: ‘Il miglior investimento che posso fare è sulla cultura dei miei figli’, perché intendeva darci gli strumenti migliori per fare ciò per cui ognuno di noi era più portato. Poi il resto è dipeso da noi figli, dalle nostre scelte e dai nostri interessi. Per questo motivo lavorativamente io ho incominciato chiedendo a mio padre di andare nel magazzino, e non negli uffici. Questo perché a mio avviso è la logistica (insieme alla manutenzione) la funzione aziendale sottoposta al maggiore stress, ed è da qui che si capisce se il management funziona o se è debole: un magazzino sgombro, ordinato e funzionale è il vero sunto della bravura dei manager”. Per concludere questa lunga chiacchierata, uno sguardo al prossimo futuro: quali le iniziative in cantiere? “Per prima cosa stiamo lavorando a un rinnovamento dell’immagine dell’azienda, partendo dalla nuova ragione sociale che passerà da Umbra Cuscinetti (ormai fuorviante, dal momento che costituisce circa il 25% delle attività del gruppo) a UmbraGroup spa. Stiamo inoltre lavorando su due potenziali acquisizioni, una negli Stati Uniti (per consolidare la nostra leadership per la produzione di viti a ricircolo di sfere) e una in Italia (focalizzata soprattutto su nuovi prodotti)”.

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Ultima modifica 26/02/2018