VICENZA

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Trissino e Palladio

Gian Giorgio Trissino nacque a Vicenza, nel palazzo di corso Fogazzaro (parrocchia S. Lorenzo) nel 1478. A nove anni perse il padre, Gaspare, il quale aveva proseguito, al sevizio della Repubblica di Venezia, la tradizione militare peculiare del suo ramo di una famiglia d’antica nobiltà, con feudi in Val d’Agno.

La Serenissima all’epoca stava consolidando i domini in terraferma, ma continuava ad aver bisogno di validi amministratori per le isole greche suoi possedimenti; era quindi nell’ordine delle cose che il giovane conte si dedicasse allo studio di quella lingua. Nel 1492 si recò a Milano presso Demetrio Calcondia, già sodale di Marsilio. Gli studi umanistici e filologici proseguirono a Ferrara, dove Gian Giorgio seguì le lezioni di Niccolò da Lonigo, medico umanista che aveva appreso il greco dal suo concittadino Ognibene, e che fu tra i primi a studiare la sifilide; il suo trattato sul “mal francese” venne stampato da Aldo Manuzio.

Nel casato dei Trissino, dove erano numerosi i rami collaterali intestatari di piccoli feudi, si dava grande importanza ai fidecommessi, in base ai quali per godere dell’eredità occorreva avere dei discendenti. Nel novembre 1494 Gian Giorgio si sposò con una cugina, Giovanna Trissino. Nacquero cinque figli, ma sopravvisse solo Giulio (1504–1576); l’anno seguente Gian Giorgio rimase vedovo.

Decise di riprendere gli studi umanistici, applicandosi al problema della trascrizione fonetica della lingua. La sorella Maddalena aveva sposato un nobile padovano, Antonio degli Obizzi; spulciando tra gli archivi di quella città, Gian Giorgio si imbatté nel testo latino De Vulgari Eloquentia di Dante: una scoperta che gli consentì di stringere nuovi legami con i maggiori eruditi italiani. In particolare a Firenze divenne intimo amico di Giovanni Rucellai, che insieme al fratello Palla fu a capo del partito mediceo negli anni della Repubblica.

È interessante notare che la solidarietà tra dotti da molti punti di vista superava la fedeltà alla “patria” o al “signore naturale”: il Trissino collaborò con i Rucellai e, in seguito, con i due papi medicei (Leone X e Clemente VII), ma anche con Giano Lascaris, nato a Bisanzio e passato prima al servizio di Lorenzo il Magnifico, poi della Francia (ambasciatore a Venezia dal 1504 al 1509) e infine di Leone X.

Gian Giorgio fu anche “collega” di Niccolò Machiavelli, la cui carriera dipendeva dalla sopravvivenza della Repubblica.

Nel 1509 un cugino di Gian Giorgio, Leonardo Trissino, organizzò un piccolo contingente militare e, approfittando della scarsità delle truppe veneziane rimaste di presidio in terraferma, partendo dal Trentino occupò nel nome dell’imperatore le città di Schio, Vicenza, Verona e Padova. Da lì venne scacciato il 16 luglio dall’energico Andrea Gritti, futuro doge, il quale aveva ottenuto sostegno dai contadini promettendo l’abolizione dei canoni feudali (gran parte dei nobili, infatti, aveva voltato le spalle a Venezia).

Gian Giorgio, di cui erano note le posizioni filo imperiali, dovette aprire un lungo contenzioso legale per tornare in possesso della principale fonte di reddito.

Massimiliano, presso cui si recò più volte in qualità d’ambasciatore del cardinale Giovanni Salviati, braccio destro di Leone X, nel 1515 gli concesse di aggiungere al titolo comitale il Vello d’Oro, simbolo asburgico.

Nel luglio 1517 il nostro e Lascaris furono inviati in tutta fretta a Ostia, onde evitare uno scandalo: Giovanni Rucellai, deluso per la mancata nomina a cardinale, voleva lasciare l’Italia. Nel 1519 l’ascesa al trono imperiale di Carlo V, sovrano anche della Spagna (e relative colonie), ebbe importanti conseguenze politiche; negli anni seguenti Trissino si riconciliò con il governo veneto, che seppe valorizzarne l’esperienza diplomatica, e riuscì a coltivare varie amicizie anche tra i francesi. Il suo punto di riferimento “professionale” rimanevano comunque i papi medicei e la famiglia. Nel marzo 1523 Gian Giorgio sposò Bianca Trissino, fresca vedova d’un altro Trissino, Alvise. L’unione sembrò funzionare: nel 1524 nacque Ciro. Poi però emersero questioni d’interesse: il primogenito Giulio, ecclesiastico, rifiutava l’idea di dover cedere titolo e patrimonio al fratellastro. Nel 1535 Bianca andò a vivere a Venezia, dove morì cinque anni dopo senza essersi riconciliata.

Nel gennaio 1524, a pochi mesi dall’elezione, Clemente VII aveva affidato la diocesi di Firenze al cardinale Niccolò Ridolfi, di cui Gian Giorgio divenne consigliere personale dopo la sua nomina ad amministratore apostolico della diocesi di Vicenza.

Nei primi anni ’20 si stabilì a Roma anche Valerio Belli, orafo vicentino abile nel taglio delle pietre dure e dei cristalli: ebbe quale committente privilegiato il papa e strinse amicizia con Michelangelo e alcuni discepoli di Raffaello, tra cui il Parmigianino. A un casato avverso ai Medici, quello dei Colonna, si era legato il prelato vicentino Girolamo Gualdo.

Nel febbraio 1530 Carlo V e Clemente VII scelsero Bologna per l’incoronazione imperiale. Nelle intenzioni dei protagonisti la cerimonia doveva sancire la chiusura definitiva del doloroso “strappo” originatosi con il Sacco di Roma del 1527. Il Trissino ebbe l’onore di reggere il manto del pontefice. Il cardinale Pompeo Colonna, già protagonista di quell’episodio, era stato inviato ad amministrare Napoli, quindi il Gualdo volle tornare a Vicenza, quale Canonico del Duomo, e trasformare la sua casa in un museo di disegni, medaglie e piccole sculture. Anche Belli sentì il richiamo della patria e riaprì la sua bottega in contrada di Santa Corona, vicino all’omonima chiesa dei domenicani; a convincerlo era stato il suo ex allievo Lodovico Chiericati, vescovo di Antivari, nominato dai veneziani “Primate di Serbia”.

Entra in scena Andrea Palladio

Andrea della Gondola, giovane padovano di famiglia modesta, sul finire degli anni ’30 si era fatto un nome nella bottega vicentina del capomastro e lapicida Giacomo da Porlezza. In quel periodo Gian Giorgio aveva ristrutturato la villa suburbana di Cricoli: voleva una dimora amena ma anche prestigiosa, dove accogliere i letterati amici. Fu colpito dall’intuito del giovane capomastro, e decise di curarne l’iniziazione ai fondamenti dell’architettura.

Nel 1537 Sebastiano Serlio, architetto bolognese trapiantato a Roma (e a Venezia dopo il Sacco) pubblicò il primo dei sette libri teorico-storici, che ebbero un durevole influsso nella seconda metà del secolo.

Andrea accettò volentieri i consigli del Trissino, e anche il nome che aveva scelto per lui: Palladio, un angelo liberatore e vittorioso, personaggio del poema epico che da qualche anno Gian Giorgio andava componendo, l’Italia liberata dai Goti.

Il giovane nel 1540 firmò il suo primo progetto, un palazzo commissionato dai quattro fratelli Civena, i quali quindici anni dopo l’avrebbero venduto a Ciro Trissino. L’anno seguente Gian Giorgio lo volle compagno nel viaggio a Roma, dove era da poco tornato Valerio Belli quale coniatore per la zecca pontificia per Paolo III Farnese. Per i due anziani umanisti (e “cortigiani”) quel soggiorno romano non fu particolarmente proficuo, tanto che Belli presto tornò a Vicenza, mentre Palladio ebbe l’occasione di confrontarsi con i canoni di Vitruvio e le opere di Michelangelo, Giulio Romano e Bramante.

La successiva tappa dell’ascesa di Palladio fu il restauro-rifacimento del gotico Palazzo della Ragione, l’edificio pubblico più importante di Vicenza. Egli riuscì a ottenere l’approvazione del progetto nel 1546, grazie al sostegno di Gian Giorgio e dell’amico Elio Belli, medico, figlio di Valerio.

Nei decenni seguenti Palladio si confermò fedele alla memoria di Gian Giorgio, morto a Roma nel 1550. Nel 1555 fu tra i fondatori dell’Accademia Olimpica, insieme ai migliori gentiluomini vicentini, e collaborò all’allestimento del Teatro Olimpico, l’ultima grande opera, iniziata pochi mesi prima della morte, nel 1580.

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Ultima modifica 04/11/2019