Continuamente i fatti confutano le teorie

Gli Stati Uniti sono l’unico Paese che non ha disatteso le previsioni - Il 2014 è stato un altro anno molto difficile per l’area euro, mentre per i Paesi emergenti è stato un anno quanto mai eterogeneo

“Se è verde o si muove è biologia. Se puzza, è chimica. Se non funziona, è fisica. Se non si capisce, è matematica. Se non ha senso è economia” 
(John Kennet Galbraith)  
 
Il mese di dicembre presenta molti aspetti positivi: le feste natalizie, lo scambio di auguri, il ritrovarsi tra parenti, e qualche aspetto negativo: lo stress dei regali, i cenoni e i “pranzoni”, la confusione in città. Per chi si occupa di finanza questo mese dell’anno è destinato alla lettura delle previsioni circa l’andamento dell’economia e dei mercati per l’anno venturo. Anche se molti concordano con una famosa frase dell’economista americano John Kennet Galbraith, secondo cui “L’unica funzione delle previsioni economiche è quella di far apparire rispettabile l’astrologia”, questi studi sono compiuti da riconosciuti professionisti che sviluppano i loro scenari sulla base di modelli econometrico-matematici che richiedono analisi approfondite.
 
Ecco alcuni canovacci elaborati sul finire del 2013 per l’anno a venire. L’azionario era considerato l’investimento da privilegiare, con l’area Euro che godeva dei maggiori favori, a scapito, in alcuni casi, degli Stati Uniti. Consenso generalizzato verso l’attesa di un rialzo dei tassi, che si esplicitava in un’estrema cautela per le obbligazioni governative. Per qual che riguarda i Paesi emergenti, grande preoccupazione destava l’economia cinese insieme ai cosiddetti “grandi deboli” (Turchia, Brasile, Russia, Indonesia).
 
A dodici mesi di distanza, proviamo a fare il punto della situazione e analizzare quali eventi hanno determinato l’andamento delle attività finanziarie. 
Gli Stati Uniti sono l’unico Paese che non ha disatteso le previsioni degli economisti. Dopo un primo trimestre in cui il PIL è stato negativo, a causa delle pessime condizioni meteo, si è registrata una netta accelerazione, che determinerà una crescita annuale nell’ordine del 2,3%. 
 
Non c’è dubbio che le misure ultra-espansive adottate dalla Banca Centrale americana sono riuscite nell’intento di stimolare la crescita. Le ingenti iniezioni di liquidità, generate dai massicci acquisti di obbligazioni da parte della FED, assieme ai tassi di finanziamento estremamente bassi e al forte calo del costo dell’energia, hanno determinato un clima di maggiore fiducia negli imprenditori, che, progressivamente, hanno ripreso ad aumentare il personale, portando il tasso di disoccupazione ai minimi degli ultimi sei anni. 
 
Parallelamente, il diffuso aumento delle quotazioni di tutte le attività finanziarie ha determinato, da una parte, un palese effetto ricchezza, dall’altra ha abbassato il tasso medio dei mutui. I consumatori ne hanno tratto beneficio e sono così riusciti non solo a ridurre il proprio indebitamento, principalmente di carattere immobiliare, ma anche a riprendere a consumare, a tutto beneficio della congiuntura. Di fronte a questo scenario positivo, l’autorità monetaria ha deciso di avviare un processo di normalizzazione della propria politica, riducendo gradualmente gli acquisti di titoli, terminandoli completamente nell’ottobre di quest’anno. 
 
Il presidente della FED Janet Yellen ha comunque tranquillizzato gli investitori ribadendo più volte che il primo aumento dei tassi di riferimento si verificherà solo se le condizioni economiche lo consentiranno. Un tale approccio pragmatico è reso possibile dalla totale mancanza di pressioni inflazionistiche, mantenute basse, oltre che dal calo del prezzo delle materie prime, anche dal recente rafforzamento del biglietto verde. 
In pratica il 2014 ha rappresentato per gli Stati Uniti quello che in gergo tecnico si definisce scenario “goldilocks”, cioè una situazione in cui tutto va bene. Infatti, le principali classi di investimento statunitensi si sono apprezzate, grazie al combinato disposto di una moderata crescita sia dell’economia sia del tasso di inflazione.
 
Il 2014 è stato un altro anno molto difficile per l’Europa. Il rallentamento della congiuntura verificatosi in corso d’anno ha ulteriormente ampliato le distanze rispetto alle altre maggiori economie. In media la crescita dell’intera area euro dovrebbe risultare pari allo 0,7%, decisamente inferiore ai livelli degli altri Paesi industrializzati. Inoltre, le divergenze fra Paesi all’interno dell’eurozona sono rimaste di entità significativa. Sulla base dei dati di contabilità disponibili sino al terzo trimestre, è possibile stimare che il consuntivo 2014 registrerà un PIL ancora negativo in Italia, e un risultato comunque molto deludente in Francia. 
 
A fronte di ciò, altri Paesi periferici iniziano a fare meglio. La Spagna dovrebbe chiudere l’anno con una variazione del Pil sopra l’1%, e anche la Grecia dovrebbe registrare un primo incremento dopo il crollo degli anni passati. L’eccesso di debito, pubblico o privato, accumulato durante gli anni passati, e le difficoltà a riattivare il canale del credito, sarebbero le ragioni alla base della debolezza strutturale della domanda interna che sta caratterizzando diverse economie dell’area euro. A questo si sono aggiunte le tensioni geopolitiche tra l’Ucraina e la Russia. Le sanzioni reciproche tra quest’ultima e la Comunità Europea hanno avuto come unico effetto il crollo degli scambi commerciali, con conseguenze altamente negative per un’area orientata all’export come la nostra. 
 
Purtroppo però i problemi non finiscono qui, in quanto la debolezza congiunturale, l’impossibilità dei singoli Stati di adottare politiche fiscali espansive (dovendo rispettare i parametri di bilancio), il calo del prezzo del petrolio nonché la difficoltà delle banche a riattivare il canale del credito hanno prodotto un brusco calo sia dell’inflazione attuale e soprattutto di quella attesa, facendo comparire lo spettro della deflazione. 
Proprio questo timore ha indotto la Banca centrale europea a superare le divisioni interne e ad adottare misure straordinarie: innanzitutto ha portato i tassi di riferimento allo 0,05%, poi ha messo a disposizione una quantità illimitata di finanziamenti alle banche a condizione che siano indirizzati alla concessione di prestiti, infine ha annunciato l’acquisto di obbligazioni cartolarizzate. In aggiunta, ha più volte ribadito che se queste misure non dovessero essere sufficienti, è pronta ad adottarne altre, alimentando nel mercato l’aspettativa di un acquisto diretto di titoli di Stato. 
 
Il quadro a tinte fosche appena delineato spiega il motivo per cui i listini azionari siano saliti molto meno rispetto ad altri mercati così come le obbligazioni abbiano messo a segno risultati di tutto rispetto, e in entrambi i casi gli interventi orchestrati dal governatore Draghi sono stati determinanti. Una tale situazione non era stata anticipata da nessun economista e ha sorpreso gran parte degli investitori che ad inizio anno avevano acquistato a piene mani sulle borse continentali.
 
Per quel che riguarda i Paesi emergenti il 2014 è stato un anno quanto mai eterogeneo. La Cina era considerata dagli analisti come quell’economia che più di tutte avrebbe dovuto rallentare, se non entrare in recessione. Il mercato immobiliare, i cui prezzi hanno raggiunto livelli stratosferici nelle principali città, e i bilanci bancari eccessivamente appesantiti da crediti di difficile esigibilità venivano considerati come fattori che avrebbero portato ad un brusco calo della crescita. Invece, l’economia anche quest’anno ha registrato un aumento della ricchezza del 7% e grazie all’intervento, anche in questo caso, della Banca Centrale la Borsa ha messo a segno guadagni attorno al 30%, con il cambio sostanzialmente stabile. 
Al contrario il Brasile, che veniva indicato come un Paese da favorire per gli investimenti, ha decisamente deluso le aspettative. Nonostante l’organizzazione di grandi eventi sportivi che avrebbero dovuto incentivare la congiuntura attraverso cospicui investimenti, l’incertezza politica relativa alle elezioni del Capo dello Stato, il crollo del prezzo del petrolio e gli scandali che hanno coinvolto alcune compagnie statali hanno preoccupato gli investitori, determinando un massiccio deflusso di capitali. 
 
La liquidità è stata indirizzata principalmente verso l’India, Paese che ha potuto beneficiare della netta vittoria alle elezioni politiche di Narendra Modi, considerato da molti un riformista in grado di modernizzare l’apparato burocratico indiano e, in questo modo, esprimere pienamente tutte le potenzialità di questo Paese. Tutto ciò si è tradotto in una crescita della Borsa a doppia cifra, che rispecchia un andamento altrettanto positivo della crescita economica. 
Infine, relativamente alla Russia, il conflitto con l’Ucraina, difficilmente prevedibile anche dai più ispirati strateghi, ha scompaginato tutte le previsioni riguardanti la sua congiuntura. L’impatto delle sanzioni ha chiuso i naturali mercati di sbocco delle merci sovietiche, in più si è aggiunto il pesante calo del prezzo del petrolio, settore chiave per questa economia. Non sorprende dunque che il Prodotto Interno Lordo si sia portato in territorio negativo e che al momento non si intravedano possibilità di un miglioramento, almeno finché perdurerà la situazione di isolamento internazionale in cui la Russia è stata confinata.
 
Insomma, come avrete potuto capire leggendo queste righe, come sempre accade alcune previsioni trovano riscontro nella realtà, altre sono completamente errate, altre ancora non vengono neanche formulate in quanto considerate assolutamente improbabili (all’inizio del nuovo secolo per i grandi modelli econometrici delle banche centrali la Cina non veniva nemmeno calcolata, non esisteva). In realtà siamo convinti dell’utilità dei modelli previsionali, il problema riguarda il modo in cui vengono interpretati. Chi confida nei modelli matematici, e li prende come formulette magiche che devono per forza dare la soluzione unica, corretta e precisa a tutti i problemi, resterà sempre deluso dagli studi predittivi. 
Un modello per definizione è un modello e non è la realtà; se è fatto bene può combaciare in un certo numero di aspetti con quello che c’è nel mondo, ma non sarà mai la stessa cosa. L’insegnamento da trarne probabilmente è che dopo aver letto una montagna di carte sugli scenari futuri sarà meglio farsi guidare, nelle scelte di investimento, da due pilastri della saggezza popolare: il buon senso e l’esperienza.
Rubrica: 
Dicembre 2014
Ultima modifica 20/01/2015