L’Italia all’epoca dei longobardi

Questa popolazione di origine germanica, arrivata a sud delle Alpi dal Friuli, si impossessò  di Milano, raggiunse Torino e si spinse verso il centro e il sud d’Italia, dove vennero fondati  i ducati di Spoleto e di Benevento  

La trecentesca Rocca pontificia di Spoleto ospita il Museo del Ducato di Spoleto, dedicato alla storia e all’arte di un territorio che si rese protagonista delle vicende italiane nell’Alto Medioevo.
I longobardi erano uno dei tanti popoli seminomadi germanici stanziatisi tra il V e il VI secolo nei territori centroorientali dell’Impero Romano. Il re Alboino, convinto del fatto che le risorse agroalimentari della pianura ungherese non sarebbero state sufficienti per un popolo in forte espansione demografica, concordò con altre tribù germaniche (avari, bavari e i franchi) il passaggio pacifico dei longobardi a sud delle Alpi, verso Aquileia e l’intera Valle del Po.

Senza impegnarsi in battaglie campali, né attendere la resa delle piazzeforti più munite, ma sfruttando la grande mobilità della cavalleria e il terrore suscitato dalle loro armi ed acconciature, i longobardi nel 568 occuparono il Friuli. Nel settembre del 569 entrarono a Milano, costringendo il vescovo a rifugiarsi a Genova, poi raggiunsero Ivrea, Torino e alcuni passi appenninici.
Un comandante, Zottone, già nell’agosto del 570 raggiunse Benevento, in Campania; intanto Alboino aveva affidato Cividale al suo braccio destro Gisulfo, il quale assunse il titolo di duca (latino: dux) e suddivise il territorio friulano tra i capi dei guerrieri liberi, gli arimanni.

Ciascun arimanno aveva diritto ad una quota del bottino. In mancanza di oro o monete, si ricorreva al bestiame. Cavalli, vacche, maiali e pecore venivano conteggiati e scambiati insieme ai servi-pastori che li accudivano. Molti guerrieri erano disposti a lasciare al duca le terre conquistate, a patto però di avere libero accesso a pascoli e abbeveratoi per le proprie bestie. La coltivazione dei campi era demandata, come in passato, a contadini e coloni semiliberi, ai quali in genere era richiesto il versamento d’un terzo dei prodotti agricoli. Ben presto i gastaldi, i funzionari amministrativi, compresero l’opportunità di suddividere il territorio in curtis, cui facevano capo sia la gestione pratica delle risorse d’uso comune in uno o più villaggi limitrofi (molino, forno, forge per i metalli, lavorazione del legno, magazzini custoditi) sia gli scambi ed il commercio degli animali.

I longobardi erano cacciatori appassionati: reti, trappole e falconi quando le prede erano uccelli; a cavallo e con mute di cani per cervi, cinghiali, volpi, lupi ed orsi. Le battute di caccia grossa andavano autorizzate dai gastaldi e/o dai loro collaboratori militari e giudicanti, gli sculdasci, onde prevenire furti o danni al bestiame, da cui poteva scaturire una faida.
Sull’esempio di Gisulfo, anche gli altri 35 duchi longobardi iniziarono a venire a patti con le popolazioni locali, mentre i bizantini cercavano di far leva sulle ambizioni dei singoli per indebolire la coesione tra gl’invasori. Alboino venne ucciso in una congiura di palazzo a Verona; la vedova Rosmunda e l’assassino Elmichi, suo amante, non ottennero l’avallo dei duchi e s’uccisero a vicenda. Il nuovo re, Clefi cercò di mantenere buoni rapporti con i franchi, che ritenevano loro diritto non essere esclusi dalla fortunata conquista; egli fu assassinato nel 574, dopo un solo anno al potere, e nel decennio seguente ciascun capo fece parte a se stesso.


I primi duchi di Spoleto

Nel 576 il generale bizantino Baduario intraprese una controffensiva, ma cadde in battaglia. Il duca longobardo Faroaldo ne approfittò per compiere scorrerie lungo la dorsale appenninica. Devastò Plestia (sull’altipiano che divide Umbria e Marche all’altezza di Foligno), Trevi e Bevagna e si stabilì a Spoleto, protetta da mura che erano state rafforzate pochi decenni prima dai bizantini.

Il papa Benedetto I, interessato a mantenere aperto l’antico collegamento tra Roma e l’Adriatico ottenne la restituzione delle terre del monastero di S. Marco, in cambio del formale appoggio alle mire di Faroaldo su Classe, sede del principale porto bizantino nei pressi di Ravenna. Così l’ampliamento urbano non si sviluppò solo lungo la Flaminia, ma di là del torrente Tessino, a presidio della via Nursina, il collegamento con la regione storica nota come Sabina umbra: Narni, Amelia, Cascia e Norcia.  Alla fine del 577 Faroaldo decise d’intraprendere una campagna verso Perugia, ma dovette fare i conti con lo scarso entusiasmo degli arimanni, più favorevoli a dedicarsi alla conquista dei pascoli e dei boschi del Cicolano, la regione traversata dal fiume Salto, oggi ai confini tra Umbria, Lazio ed Abruzzo.

Proseguendo dal passo appenninico di Tornimparte lungo la valle dell’Aterno, verso la conca Aquilana, i possedimenti spoletini si sarebbero saldati con quelli del ben più vasto e dinamico ducato di Benevento. Agli inizi del 579 la morte del papa indusse Faroaldo, già padrone di Rieti e di gran parte della Sabina, ad accrescere la pressione militare verso Roma; ma il nuovo pontefice, Pelagio II, riuscì ad ottenere nel 580 il sostegno dei franchi, e gli altri duchi dissuasero lo spoletino dal proseguire l’azione; s’era trasformato in uno smacco anche l’attacco a Classe, dove il mercenario alemanno Droculfo aveva guidato con successo la resistenza bizantina.

Autari e Teodolinda

Negli anni seguenti i duchi del Nord Italia compresero l’opportunità di sottomettersi ad un sovrano unitario, anche a costo di finanziare la nuova corte di Pavia rinunciando in suo favore alla metà dei loro introiti fiscali. Il nuovo re Autari, figlio di Clefi, entrò in carica nel 584 e l’anno seguente siglò un accordo di non belligeranza con l’esarca Smaragdo, inviato nel 585 dall’ imperatore Maurizio I a Ravenna. Quale gesto di buona volontà verso i franchi chiese in sposa la sorella del re, ma invano; ripiegò quindi sulla bavara Teodolinda; era il 588.

Due anni dopo i franchi, forti di nuovi accordi con Bisanzio e con i duchi di Bergamo, Treviso e tre città dell’Emilia, attaccarono in Italia. Autari, trinceratosi a Pavia, riuscì a sconfiggerli, ma morì di peste. La vedova Teodolinda, cattolica, favorì un accordo tra il nuovo papa, l’autorevole Gregorio Magno, già braccio destro di Pelagio II, ed il suo nuovo marito e re longobardo, Agilulfo, duca di Torino, il quale volle che alle nozze fosse presente anche il vecchio Faroaldo, a dimostrazione del fatto che anche quel duca era soggetto al potere centrale.

Egli si volse contro Smaragdo, ma subì un’altra sconfitta; allora alcuni arimanni scelsero quale secondo duca di Spoleto un “irriducibile”, Ariulfo, il quale ottenne il sostegno militare di alcuni duchi toscani e nei successivi nove anni portò il ducato alla massima estensione, attaccando i bizantini nella Pentapoli e nel Piceno ed assicurandosi Camerino e altri centri marchigiani. Alla sua morte, nel 601, sorse un contrasto per la successione tra i due figli di Faroaldo; ne uscì vincitore Teudelapio, che governò sino al 652, consolidando la suddivisione in curtis di un territorio che tuttavia andò sempre più caratterizzandosi come uno stato-cuscinetto tra i domini della Chiesa ed il ducato di Benevento.

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Ultima modifica 10/06/2015