Gli immigrati nell’economia: tra necessità e opportunità

I cittadini immigrati contribuiscono in modo determinante a sostenere il nostro sistema economico, ma non ne percepiscono tutti i benefici e si avverte l’esigenza di politiche più efficaci dal lato dell’integrazione.

“S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più. E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?

Era una soluzione, quella gente.”

(Konstantinos Kavafis, poeta e giornalista greco)

I fenomeni migratori rappresentano, per la peculiare conformazione assunta in epoca di globalizzazione, un importante fattore di mutamento delle società contemporanee, assumendo un ruolo di primissimo piano nel dibattito pubblico su presente e futuro delle economie sviluppate. I processi di trasformazione del mercato del lavoro, generati da una crisi che mette in seria discussione la coesione sociale nei cosiddetti Paesi di vecchia industrializzazione, mettono in evidenza una realtà, quella del lavoro immigrato, che rispecchia e amplifica i principali deficit strutturali dei diversi sistemi produttivi nazionali. In Italia e negli altri Paesi mediterranei l’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro ha caratteristiche peculiari rispetto a quanto accade nell’Europa centro-settentrionale: da un lato, essi hanno tassi di occupazione simili a quelli della popolazione nativa, ma dall’altro sono fortemente segregati nelle occupazioni meno qualificate. Più precisamente, nel corso degli anni, alcuni cambiamenti hanno riguardato il fenomeno migratorio. Tra i più significativi, vanno ricordati quelli relativi alla composizione demografica dei nuovi arrivati: l’ampliamento delle aree di partenza e la diversificazione delle provenienze, tra cui hanno assunto un ruolo particolarmente significativo i Paesi dell’Europa orientale; un numero crescente di donne, pari ormai alla metà circa del numero complessivo dei migranti, sempre più attive nel mercato del lavoro e spesso in posizione di migranti autonome o di prime arrivate rispetto al proprio nucleo familiare; l’aumento dei livelli di istruzione tra i lavoratori immigrati, anche se questi spesso non vengono riconosciuti dai Paesi riceventi. Si è poi modificato il rapporto tra domanda, offerta e regolazione politica: la domanda si è spostata dai settori portanti dello sviluppo e dalle grandi imprese verso imprese più piccole, occupazioni temporanee o instabili, segmenti periferici, con un’incidenza ragguardevole di varie forme di lavoro sommerso; l’offerta immigrata si è resa più autonoma dai condizionamenti della domanda, diventando un soggetto attivo dei processi di inclusione di nuovi immigrati, grazie anche allo sviluppo di attività indipendenti; la regolazione pubblica ha imboccato la strada della rigida restrizione di principio dell’immigrazione per lavoro, pur lasciando di fatto e ai margini, spazi per l’arrivo di nuovi immigrati.

Nell’Europa mediterranea in modo più netto e visibile - ma in forme diverse e meno evidenti anche nell’Europa continentale - si è dunque verificato un processo di inserimento economico degli immigrati molto meno esplicito del passato: il paradosso del mercato del lavoro immigrato di questi anni è stato quello del contrasto tra la negazione ufficiale del fabbisogno di manodopera aggiuntiva e un utilizzo endemico e diffuso di questo lavoro in varie nicchie dell’economia informale, e negli ambiti più sgraditi e instabili dell’economia ufficiale.

Nel 2020, la ricchezza prodotta dall’immigrazione regolare nell’economia italiana è stata pari a circa 134,4 miliardi, circa il 9% del PIL italiano. Nei tre anni precedenti la stima era rispettivamente dell’8,7%, 9% e 9,5% del PIL. A fine 2020, gli stranieri regolari in Italia iscritti all’anagrafe erano circa 5,17 milioni (l’8,7% della popolazione) e ne erano occupati circa 2,35 milioni, circa il 10,2% degli occupati totali. Tra questi, solo il 46,7% ha conseguito almeno un diploma di scuola secondaria superiore a fronte del 64,8% registrato tra gli italiani, mentre nella fascia dei 25-64enni solo l’11,5% possiede un titolo terziario, a fronte del 21,2% registrato tra i cittadini italiani. Al di là dei numeri, gli immigrati si stanno rivelando un elemento cruciale per la prosperità economica, dimostrando di essere molto più di semplici partecipanti al mercato del lavoro. Dati recenti evidenziano chiaramente che gli immigrati non solo occupano posti di lavoro, ma sono architetti di crescita, innovazione e sostenibilità economica. Settori chiave come l’agricoltura, l’edilizia e i servizi dipendono pesantemente dalla manodopera immigrata. Le statistiche indicano che una fetta significativa delle nuove imprese italiane è guidata da imprenditori stranieri, contribuendo a infondere vitalità e diversificazione nell’economia. Un punto centrale è la loro flessibilità e adattabilità. Gli immigrati, spesso dotati di competenze poliedriche, sono pronti a svolgere ruoli cruciali in settori che richiedono una mano d’opera qualificata. Questa diversificazione delle competenze contribuisce a colmare lacune nel mercato del lavoro italiano, favorendo la competitività e l’innovazione aziendale.

Ma il contributo va oltre la quantità di posti di lavoro occupati. Gli immigrati portano con sé una prospettiva globale che stimola la creatività e l’ingegnosità nelle imprese. La diversità culturale all’interno dei luoghi di lavoro non solo migliora la coesione, ma favorisce anche la nascita di idee fresche e soluzioni innovative. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei settori creativi e tecnologici, dove la collaborazione internazionale può essere il trampolino di lancio per il successo. Un altro aspetto cruciale ha a che fare con il forte calo demografico del nostro Paese, che almeno in parte l’immigrazione ha potuto tamponare. Le stime della popolazione residente italiana al 2065 oscillano da un minimo di 46,4 milioni a un massimo di 62, rispetto ai 60 attuali. In questo contesto, l’immigrazione è un fenomeno che garantisce almeno parzialmente un equilibrio demografico tra le fasce di popolazione più anziane e quelle più giovani. Al primo gennaio 2020, l’età media degli stranieri residenti in Italia (35 anni) è inferiore di oltre 10 anni rispetto a quella degli italiani (45 anni). Anche per tale motivo, il loro impatto sulla spesa pubblica per sanità è molto ridotto. L’impatto demografico degli stranieri ha inoltre forti ricadute positive sul tasso di imprenditorialità, sulla dinamicità dell’economia e sui conti pubblici legati alla spesa previdenziale. In particolare, gli stranieri pensionati risultano una piccolissima percentuale del totale. I contributi versati dai giovani lavoratori immigrati regolari hanno permesso, da un punto di vista finanziario, di foraggiare gran parte del pagamento delle pensioni alla popolazione italiana, ben più anziana.

Nell’ottica di gestire al meglio un fenomeno in crescita e difficilmente arginabile, è opportuno comprendere e considerare seriamente le preoccupazioni dei cittadini nei Paesi di destinazione, evitando così scetticismo, diffidenza e populismi. Strutturare la discussione pubblica attorno a proposte concrete, supportate da una ricerca scientifica rigorosa, è il modo più efficace per correggere le opinioni dei nativi dove esse risultino infondate, rassicurarli sugli effetti economici e sociali dell’immigrazione e creare un clima di inclusione a beneficio di tutti. Per far progredire l’economia italiana attraverso il contributo degli immigrati, è essenziale implementare politiche e prospettive che ne favoriscano l’integrazione e la partecipazione attiva. Un modello di successo potrebbe essere la creazione di programmi di supporto e formazione, in particolare nei settori chiave in cui gli immigrati possono avere un impatto significativo. Immaginiamo un’iniziativa volta a colmare la lacuna nelle competenze nel settore tecnologico. Attraverso partnership tra istituti formativi, aziende e organizzazioni non governative, gli immigrati potrebbero partecipare a programmi di formazione avanzata in campi come la programmazione, la data science o la cybersecurity. Questi programmi non solo aumenterebbero le competenze degli immigrati, ma anche la competitività dell’economia italiana nell’era digitale. Parallelamente, potrebbe essere implementato un programma di sostegno all’imprenditorialità. Fornendo risorse finanziarie e consulenza, gli immigrati con ambizioni imprenditoriali potrebbero avviare e sviluppare le proprie imprese. Questo non solo contribuirebbe alla creazione di posti di lavoro, ma anche all’innovazione economica attraverso nuove idee e approcci provenienti da una gamma diversificata di retroterra culturali. Inoltre, l’istituzione di un quadro normativo chiaro e inclusivo è fondamentale. Una legislazione che incoraggi e protegga gli imprenditori e i lavoratori immigrati, promuovendo al contempo la diversità nei luoghi di lavoro, sarebbe un passo cruciale per massimizzare il contributo economico degli immigrati. Infine, è importante coinvolgere attivamente gli immigrati nelle decisioni che riguardano la loro vita e il loro lavoro in Italia. Consultazioni regolari con rappresentanti delle comunità immigrate possono contribuire a creare politiche più adatte alle esigenze effettive e promuovere un senso di appartenenza e partecipazione.

La breve rassegna sui principali effetti economici della crescita dell’immigrazione permette di mettere a fuoco elementi spesso sottovalutati dall’opinione pubblica. In particolare, il saldo migratorio positivo, caratterizzato dalla ricerca di opportunità di lavoro, ha rappresentato negli ultimi anni una risposta efficace, sebbene non programmata, ad alcuni problemi strutturali del Paese. I dati dimostrano l’esistenza di effetti positivi concreti e già acquisiti dal sistema italiano, ma occorre sottolineare che molti dei fenomeni discussi rappresentano benefici “potenziali” e la loro realizzazione può dipendere in modo cruciale dalle politiche migratorie messe in atto. Per cogliere le potenzialità positive dell’immigrazione e al tempo stesso scongiurarne la deriva, è da auspicare il passaggio da un approccio di “contenimento” a uno volto all’integrazione, incentivando i comportamenti virtuosi e la progressiva stabilizzazione delle presenze straniere. Se il 10% dei nuovi nati in Italia è costituito da cittadini stranieri, il successo o l’insuccesso della loro integrazione coincide già adesso con il successo o l’insuccesso dell’intero Paese in futuro.

Ultima modifica 07/02/2024