Gli scenari della nuova sfida cinese

Esaminiamo le nuove politiche economiche di un Paese che punta ad una crescita robusta ma più focalizzata sul miglioramento qualitativo e sull’aumento del valore aggiunto locale 

“Semina pensieri e mieterai azioni, 

semina azioni e mieterai abitudini, 

semina abitudini e mieterai un destino”  

 (Proverbio cinese)

Nel suo ultimo libro La Cina in dieci parole, lo scrittore Yu Hua afferma che “un occidentale avrebbe dovuto vivere quattrocento anni per assistere agli stravolgimenti che i cinesi hanno visto in appena quarant’anni”. In effetti, a partire dalla morte di Mao Tse-Tung nel 1976, la Repubblica Popolare Cinese è passata da un’economia pianificata verso quella che può essere definita una “economia socialista di mercato”, attraverso importanti cambiamenti strutturali e istituzionali. 

Tali cambiamenti hanno riguardato tutti i settori economici con lo scopo di modernizzare e gradualmente decentralizzare l’economia e di favorire l’iniziativa locale. Il risultato è stato una notevole espansione del settore manifatturiero che ha portato a identificare la Cina come la “fabbrica del mondo”. Fabbrica in cui per esempio si confezionano ogni mille persone 80 condizionatori d’aria, a fronte di 4,8 unità prodotte nel resto del mondo, 283 computer (contro le 5,9 unità del resto del mondo), 841 telefonini (sono solo 83,6 negli altri paesi) e, tra le altre cose, l’85% degli alberi di Natale artificiali e l’80% dei giocattoli di tutto il mondo (senza la Cina, insomma, addio Natale!). 

Questo paradigma sembra però oggi destinato a cambiare nuovamente. Infatti, nei primi mesi del 2013 la nuova classe dirigente che si è insediata alla guida del Paese ha delineato le grandi sfide che dovrà affrontare l’economia cinese: una crescita robusta, anche se lontana dai tassi a due cifre di qualche anno fa, ma più focalizzata sulla domanda interna e sull’aumento del valore aggiunto locale. Grande spazio ai servizi, quindi, con il settore terziario che, per la prima volta, sorpasserà l’industria. 

Questo obiettivo sarà perseguito con l’applicazione di un nuovo ambizioso programma di riforme. Riforme che si faranno perché il Partito Comunista rappresenta lo Stato, controlla la Banca Centrale, che siede su circa quattro trilioni di dollari USA di riserve monetarie, e il fondo sovrano domestico, che possiede tutte le partecipazioni pubbliche nelle imprese. Il nuovo mantra, sotto la leadership del Presidente Xi Jinping, è la qualità della crescita, non la quantità. Il vecchio modello di sviluppo è inefficiente, insostenibile, ma soprattutto non incontra più i bisogni della società. Va da sé che tutto ciò avrà un impatto anche sui temi di investimento, e siccome parlare di Cina vuol dire parlare di un Paese di circa 1,4 miliardi di persone, seconda economia al mondo dopo gli Stati Uniti, inevitabili ripercussioni si avranno anche sulle imprese occidentali.

Avendo come obiettivo principale il sostegno della domanda interna, il governo ha pensato di incentivare il consumo attraverso un ingente volume di investimenti rivolti principalmente ai settori dell’informatica (allargando la banda larga in fibra ottica), della telefonia (semplificando la procedura di rilascio della licenza 4G), dei progetti ferroviari nelle regioni centrali e occidentali e dei servizi comunali. In quest’ottica, l’urbanizzazione dell’area rurale costituisce un’enorme potenzialità. Consapevole di questo, è stata decretata l’abolizione del sistema del “hukou”, secondo cui i membri di una famiglia hanno accesso a diritti, servizi e benefit sociali solo nella propria località di residenza. E se si spostano, li perdono. 

Qualche esempio? I figli dei migranti che risiedono in città non possono andare a scuola come i loro coetanei, le pensioni dei contadini sono più basse di quelle dei cittadini e i terreni rurali valgono meno di quelli urbani. Il nuovo sistema prevede di classificare tutti gli abitanti come “residenti”. Per ottenere il permesso di vivere in città, dunque, i “rurali” non avranno più bisogno di rinunciare ai diritti sulle loro terre agricole e potranno accedere all’istruzione pubblica per i figli anche fuori dal luogo di provenienza. Una vera rivoluzione, di immensa portata, che ha come obiettivo principale quello di stimolare i consumi interni e rilanciare il mercato immobiliare. 

L’arrivo in città, finalmente legale, dei “rurali” potrebbe consentire lo smaltimento di alcuni dei milioni di appartamenti in eccesso, costruiti per aumentare il Pil. L’accesso alle città resterà comunque “strettamente controllato” e gli spostamenti saranno incoraggiati solo verso centri di medie dimensioni: un permesso di residenza a Shanghai o Pechino, insomma, resterà difficile da ottenere. Si stima comunque che, nei prossimi decenni, circa 100 milioni di contadini cinesi vivranno in città. L’urbanizzazione sarà accompagnata da un processo di trasformazione dell’aspetto economico e sociale del Paese estremamente complesso e che richiederà una nuova politica dello sviluppo più equilibrata. 

Infatti, la leadership cinese teme che togliere semplicemente ogni restrizione indurrebbe milioni di abitanti delle campagne in cerca di fortuna a riversarsi nelle grandi città già intasate: un processo di urbanizzazione intenso e disordinato che è il contrario di ciò che si vuole ottenere ora, cioè un’urbanizzazione sostenibile. In pratica, si vuole incentivare la popolazione ad andare nei centri minori e disincentivarla, invece, a concentrarsi nelle megalopoli. Questa operazione di ingegneria sociale dovrebbe creare un grande ceto medio urbano: nel 2022 più del 75% dei consumatori cinesi urbani guadagnerà tra i 60.000 e i 229.000 renminbi (tra i 9.000 e 34.000 dollari). 

Questo significa un incremento della spesa per i beni voluttuari, in particolare, turismo, beni di lusso, tecnologia e persino gioco d’azzardo. Ma significa anche richiesta di servizi come trasporti, istruzione e sanità. Il frammentato sistema di distribuzione del Paese, l’uso limitato della tecnologia, la mancanza di competenze in ambito logistico e il protezionismo locale, combinandosi tra loro, ostacolano l’efficiente mobilità delle persone e la distribuzione delle merci, frenando la crescita. Su questo fronte, il Governo ha già preso alcune misure per migliorare le infrastrutture del Paese e dovrebbe spendere nel prossimo lustro circa 20 miliardi di dollari soltanto per la costruzione e l’ammodernamento del sistema ferroviario. 

L’istruzione in Cina ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale nell’organizzazione della vita sociale ed è vista come uno strumento per far crescere il Paese ed innalzare il livello di vita della popolazione. In questo senso, si è deciso di aumentare la spesa pubblica per l’educazione portandola al 4% del Pil. La strategia è quella di rivitalizzare il Paese attraverso la scienza e la formazione. Per quel che riguarda il settore sanitario il Governo ha annunciato di voler portare l’ammontare totale della spesa a 8 trilioni di yuan entro il 2020, un incremento annuo del 26%, con evidenti vantaggi per le compagnie assicurative e le case farmaceutiche, che dovranno essere pronte a cogliere la domanda crescente di polizze vita e sanitarie. 

In questo senso, il settore finanziario, ad oggi regolato totalmente dalle direttive del Governo cinese, sarà gradualmente liberalizzato con un peso sempre maggiore del mercato nel determinare i tassi di interesse e nella gestione dei flussi di capitale, con l’obiettivo, nel medio lungo termine, di creare un mercato dei capitali domestico che sia libero e integrato con il mercato globale dei capitali.

L’abbandono del modello manifatturiero sul quale è stata imperniata l’economia cinese negli ultimi trent’anni, in favore di un modello a maggior intensità di forza lavoro da impiegare nei servizi, non farà venir meno le problematiche legate all’ambiente e al risparmio energetico. I danni causati all’ambiente, causati dalla strepitosa crescita economica, sono riconosciuti anche dalla dirigenza cinese e purtroppo riguardano quasi tutti gli elementi naturali. 

Uno dei nodi cruciali riguarda la questione dell’acqua. Si stima che circa il 70% delle acque interne del territorio nazionale sia inquinato, mentre un terzo della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Il secondo settore critico è quello della terra. La desertificazione si aggrava sempre più, arrivando ad inghiottire oltre 15 mila chilometri quadrati di terre coltivabili ogni anno. Infine, un terzo settore in cui la dimensione del danno ha raggiunto livelli di estrema gravità è quello della qualità dell’aria. La Cina, dal 2008, è il primo paese al mondo per quanto riguarda le emissioni di CO2. Secondo la China Medical Association l’inquinamento dell’aria sta diventando la principale minaccia alla salute della popolazione cinese. 

L’attuale Piano Quinquennale, valido dal 2011 al 2015, pone grande attenzione ai problemi energetici e ambientali e alla necessità di promuovere uno sviluppo sostenibile investendo nelle energie pulite e nelle nuove tecnologie, aprendo spazi di mercato per le imprese occidentali all’avanguardia in questo tipo di problematiche. I principali obiettivi sono di aumentare i combustibili non fossili per produrre almeno l’11% dell’energia, di ridurre i consumi d’acqua a livello industriale del 30%, di diminuire i consumi energetici del 16% e le emissioni di diossido di carbonio del 17% e di aumentare la superficie delle foreste per raggiungere il 21% del territorio cinese. Altri obiettivi includono una spesa consistente (2,2% del Pil) in ricerca e innovazione tecnologica e il mantenimento della popolazione a 1,39 miliardi di persone.

In un recente discorso il presidente Xi Jinping ha affermato che “la Cina è fiduciosa, anche se la strada che ha davanti presenta molte sfide”. Indubbiamente l’ultimo Piano Quinquennale può segnare una svolta nella politica economica del Paese. Importante sarà comprendere in che modo la Cina e i Paesi occidentali potranno lavorare insieme per creare una crescita economica sostenibile e nuove opportunità occupazionali per i propri cittadini. La via da seguire è già stata tracciata e bisogna prendere la Cina sul serio, semplicemente perché non esiste altra scelta, dal momento che la sua presenza si impone oggi al resto del mondo e il resto del mondo non può permettersi di ignorarla, pena l’esclusione da quel sistema globalizzato in cui tutti ci troviamo oramai fagocitati: la Cina è come un elefante in bicicletta. Se rallenta, potrebbe cadere e la terra tremare.

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Ultima modifica 14/12/2014