P.I.R.

Piani Individuali di Risparmio

D opo anni che se ne parlava i P.I.R. (Piani Individuali di Risparmio) sono diventati realtà anche in Italia, con un provvedimento inserito dal Governo nell’ultima Legge di Stabilità. L’obiettivo è quello di indirizzare il risparmio verso le piccole e medie imprese italiane con il risultato, si auspica, di stimolare l’economia nazionale. Questa novità consentirà all’Italia di allineare il proprio ordinamento a quello di altre nazioni come Francia e Regno Unito, dove da anni esistono già strumenti simili come i Plan d’Epargne en Actions (Pea) e gli Individual Savings Accounts (Isas).
I piani individuali di risparmio sono una sorta di “contenitore” di strumenti finanziari, quali azioni, obbligazioni, fondi e liquidità su cui l’utente può investire; sono proposti e gestiti da società di gestione del risparmio, ma potranno essere anche di natura assicurativa o inseriti nell’ambito del risparmio amministrato. Ogni P.I.R. deve investire almeno il 70% in strumenti finanziari emessi da società italiane (o europee) che abbiano una stabile organizzazione in Italia. E ancora: almeno il 30% del 70% deve essere investito in strumenti emessi da imprese diverse rispetto a quelle incluse nel FTSEMib, ovvero in aziende di dimensioni minori (PMI), come quelle quotate nei segmenti MidCap (il paniere dei titoli a media capitalizzazione), Star (il segmento delle società ad alti requisiti di trasparenza) o sul mercato AIM. Il restante 30% del portafoglio può essere impegnato in qualsiasi strumento, compresi depositi e conti correnti. Ricordiamo anche che il patrimonio del P.I.R. non può essere investito per una quota superiore al 10% del suo valore complessivo in strumenti finanziari emessi o stipulati con lo stesso emittente o con altra società appartenente allo stesso gruppo o in depositi e conti correnti.
Si tratta di uno strumento dedicato in particolare ai piccoli investitori, quindi i P.I.R. sono individuali, e dunque non cointestabili. Ogni persona fisica può avere uno ed un solo “contenitore” P.I.R. gestito da una società prodotto, all’interno del quale è possibile avere più prodotti P.I.R. offerti dalla medesima società, che ne gestisce la fiscalità. I limiti dell’investimento di massimo 30mila euro annui per complessivi 150mila euro si riferiscono al “contenitore” citato, per un arco temporale non inferiore a cinque anni, per poter contare sulle agevolazioni fiscali previste (l’esenzione dalla tassazione dei redditi derivanti dall’investimento effettuato). In sintesi, le persone fisiche che mantengono per almeno 5 anni i soldi in P.I.R. non dovranno pagare le imposte su capital gain e rendimenti (12,5% sulle cedole e utili relativi a titoli di Stato e 26% su azioni e obbligazioni), né eventuali tasse di successione. Rimane invece applicabile l’imposta di bollo del 2 per mille sul valore del portafoglio (P.I.R. incluso) che a fine anno deve essere comunque versata. Se alla conclusione dell’investimento non ci saranno utili, ma perdite, il risparmiatore sarà soggetto alle regole generali dei fondi circa il credito di imposta. I P.I.R. non prevedono particolari vincoli o costi all’uscita, ma se non saranno rispettate le condizioni di mantenimento minimo dell’investimento (5 anni) il risparmiatore tornerà a essere assoggettato alla normale imposizione fiscale (capital gain e tasse di successione, oltre a eventuali interessi).
Ma vale la pena di notare altri tre elementi che potrebbero portare vantaggio al risparmiatore. Il primo è che il P.I.R. cerca di incentivare l’investimento di lungo periodo, penalizzando il mordi-e-fuggi sui mercati. La letteratura finanziaria ha ormai accumulato una schiacciante quantità di evidenze sulla difficoltà di fare un efficace market timing. Meglio pianificare i propri acquisti sul mercato con una chiara visione dell’orizzonte temporale e del grado di rischio che si è disposti a sopportare e poi attenersi a questo programma.
Un secondo aspetto interessante è che limitando l’ammontare annuo che può beneficiare dell’esenzione d’imposta, i P.I.R. incentivano la gradualità dell’investimento, che può portare a ridurre la volatilità complessiva soprattutto quando si scelgano strumenti o prodotti di natura azionaria.
Infine, questo strumento va considerato come un’ulteriore possibilità di diversificare ulteriormente il proprio portafoglio di investimenti.
Per le imprese i P.I.R. rappresentano una fonte alternativa di finanziamento, ultimo in ordine di tempo dei vari tentativi che si sono succeduti negli anni per ridurre la dipendenza delle imprese italiane, specialmente nel segmento a piccola e media capitalizzazione, dal sistema bancario. L’obiettivo è il sostegno al finanziamento diretto delle aziende, attraverso il mercato azionario e obbligazionario, un canale naturalmente orientato al medio-lungo termine e destinato ai piani di sviluppo, di espansione e di investimento.
I Piani Individuali di Risparmio sanciscono quindi il “matrimonio" dei due propulsori dell’economia italiana: il risparmio delle famiglie e le piccole e medie imprese, coniugando l’esigenza dei risparmiatori di trovare un investimento di lungo periodo a fiscalità agevolata e quella delle imprese produttrici di trovare investitori di lungo periodo per favorire la loro crescita.
Secondo uno studio di Intermonte Sim, entro il 2021 i P.I.R. riusciranno a canalizzare 67,6 miliardi di euro, di cui 9,9 miliardi destinati alle azioni delle società di media e piccola capitalizzazione. Come ha detto opportunamente Pier Carlo Padoan, i P.I.R. "stanno già portando sul mercato un incremento della liquidità, un incremento del numero di investitori attivi, una sovraperformance delle small e mid cap contro le large cap". Il Banco Desio è stato tra le prime banche in Italia a includere i P.I.R. nella propria offerta commerciale: ad oggi, la clientela può scegliere fra dieci diversi fondi P.I.R., gestiti da 4 diverse società di gestione, con diversi stili di gestione e profili di rischio per poter soddisfare al meglio le esigenze di tutta la platea interessata.
Attenzione, però: non è tutto oro quel che luccica. E i P.I.R. hanno anche dei rischi: non offrono diversificazione geografica, o perlomeno non molta; per loro natura presentano una forte concentrazione su società a piccola e media capitalizzazione e l’incentivo fiscale è vincolato a una durata almeno quinquennale.
Insomma, l’investimento nei P.I.R. andrebbe valutato non guardando solo al presunto beneficio fiscale ma soprattutto al proprio profilo di rischio, al proprio orizzonte temporale, alla propria asset allocation e al patrimonio posseduto. Consigliamo quindi, anche per i P.I.R., un investimento graduale e scadenzato, meglio se attuato attraverso un piano di accumulo.

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Ultima modifica 27/02/2018