M.A.S.

I protagonisti delle “Battaglie in porto” nell'Adriatico (seconda parte)
M.A.S.

Continua il racconto delle imprese dei M.A.S (“Motoscafi Armati Siluranti” o “Motoscafi Anti Sommergibili”): piccole unità navali agili e veloci, adatte agli impieghi sui bassi fondali, che ebbero un ruolo di rilievo nel primo conflitto mondiale. La prima parte dell’articolo è stata pubblicata su "La Banconota" n° 89.
Dato il perdurare della strategia attendista adottata dal comandante della Marina austro-ungarica Anton Haus, dal mese di marzo 1916 iniziò una fase definita “della battaglia in porto”, cioè una serie di attacchi al naviglio, sia commerciale che militare, che era lasciato dagli austriaci alla fonda, protetto da mine e reti di sbarramento. La supremazia aerea e le continue missioni di ricognizione poste in atto dal nemico obbligarono i marinai italiani a muoversi di notte e in condizioni di scarsa visibilità, pronti ad adattare gli ordini alle circostanze; in tali condizioni non contava tanto la potenza dei mezzi impiegati, quanto la loro manovrabilità e la perfetta conoscenza delle coste da parte dei comandanti.
A fine marzo a Brindisi la sperimentazione sui M.A.S. venne affidata a Gennaro Pagano, il quale si rese conto della loro efficacia anche in acque più profonde rispetto a quelle dell’Alto Adriatico: dapprima in azioni coordinate con quelle dei drifter, nel blocco delle acque davanti a Valona; poi, in missioni più marcatamente offensive in mare aperto, là dov’era necessario dirigersi a grande velocità dov’era stato segnalato qualche possibile obiettivo.
Paolo Thaon di Revel, capo di stato maggiore della Marina italiana, alla velocità dei M.A.S. preferiva la capacità dei sommergibili e delle piccole torpediniere di eludere i ricognitori, che nelle ore notturne potevano scorgere la scia bianca dei motoscafi quand’erano lanciati. In questo era pienamente d’accordo con il suo uomo di punta, Nazario Sauro: nato a Capodistria, convinto irredentista, ex capitano di lungo corso.
L’ammiraglio studiava insieme a lui gli obiettivi e gli garantiva l’appoggio logistico necessario, oltre al comando della missione. Tale atteggiamento non era apprezzato da tutti gli ufficiali operativi nell’Alto Adriatico, anche perché Sauro comunicava loro gli ordini solo all’ultimo momento. La notte del 28 maggio Sauro penetrò con una torpediniera nell’area portuale di Trieste, superando gli sbarramenti; tuttavia non portò a termine il progetto di affondare qualche piroscafo. Era stato scortato da un M.A.S., pronto a raccogliere eventuali naufraghi, ma entrambi tornarono alla base.
Negli stessi giorni il comandante della base di Grado, Alfredo Dentice di Frasso, aveva affidato a Luigi Rizzo, siciliano con grande esperienza di navigazione, il comando della Squadriglia M.A.S.: “Compresi subito che era antiburocratico come me, che non era fatto per la stasi (…) non erano passate quarantott'ore e Rizzo eseguiva già la sua prima missione al Vallone di Muggia. A notte fonda, con l’immancabile sigaretta– fumava nascondendo la testa sotto il cappello cerato del marinaio nato – attraccò alla diga foranea” cioè saggiò la consistenza delle difese nemiche in quel punto. In un’altra missione “ai primi albori Rizzo tornò a Grado con la faccia salmastra e gli occhi lucenti, tutto sorridente, con l'immancabile sigaretta fra le labbra, e mi disse: Comandante, ha sentito la sparatoria?”
Un significativo successo arrise nella notte del 7 giugno ai M.A.S. Cinque e Sette, del gruppo di stanza a Brindisi, cioè sotto il comando di Cusani: Pagano e il suo pari grado Alfredo Berardinelli elusero i pattugliatori nemici ed entrarono nella baia di Durazzo, dove silurarono un grosso piroscafo, per poi tornare indenni alla base.
Il 3 giugno Sauro era imbarcato sul sommergibile Atropo, che affondò il trasporto truppe Albanien; il 12 giugno era sullo Zeffiro, al cui comando Costanzo Ciano era subentrato al fratello Alfredo. Il cacciatorpediniere italiano accostò alla banchina di Parenzo e fece prigioniera una sentinella, prima di riunirsi al gruppo che aveva condotto una missione alla ricerca della principale base degli idrovolanti nemici; ne seguì uno scontro a fuoco con poche perdite da entrambe le parti.
Il 25 giugno i MAS 5 e 7 forzarono nuovamente le difese di Durazzo: la velocità dei loro mezzi consentì loro di evitare le bordate d’artiglieria e di affondare due trasporti; lo stesso giorno Revel inviò una torpediniera da Grado a Pirano, per tentare la cattura del piroscafo Narenzio, ma anche in questo caso il risultato non fu quello sperato. Il 4 luglio Sauro salpò a bordo del sommergibile Pulino per un’incursione nella rada di Fiume; nel corso dell’azione venne danneggiato il mercantile San Marco.
Il Pulino salpò nuovamente il 30 luglio; a causa di correnti avverse finì incagliato all’imbocco del Quarnero. L’equipaggio si dette prigioniero, mentre Sauro cercava di allontanarsi su un battellino; tuttavia la visibilità era perfetta, e l’incursore fu fatto prigioniero e portato a Pola. Come poche settimane prima, nel caso di Cesare Battisti, Sauro era molto noto, quindi la falsa identità resse solo poche ore; condannato per alto tradimento, venne impiccato il 10 agosto.
Una settimana prima Pagano era riuscito per la terza volta a violare Durazzo e ad affondare un piroscafo; in quella occasione venne anche inseguito da una motosilurante nemica, che però ben presto dovette rinunciare a causa della foschia.
Nei mesi che seguirono la morte di Sauro gli austriaci ripresero l’iniziativa degli attacchi aeronavali in Alto Adriatico, che potevano condurre di giorno.
A Venezia e nel suo entroterra era ripreso lo stillicidio dei bombardamenti; i M.A.S. di Rizzo vennero quindi impiegati soprattutto nel recupero degli aerei in avaria o abbattuti, come era capitato già in gennaio, quando Rizzo aveva recuperato quello su cui Gabriele d’Annunzio aveva subito una grave lesione all’occhio destro.
L’ultima azione dei M.A.S. nel 1916 fu il tentativo di forzare il canale di Fasana, dove il 28 ottobre erano alla fonda una corazzata e un incrociatore austriaci. Revel affidò il piano d’attacco al capitano di vascello Carlo Pignatti Morano, cui il 30 luglio aveva fatto assegnare una medaglia d’argento “per la perizia militare e marinaresca con cui per più di un anno ha saputo dirigere le operazioni della Flottiglia delle Torpediniere costiere della Piazza Marittima di Venezia, in suo comando; e per la serenità, ardimento e coraggio dimostrati in numerose operazioni di guerra compiute da nuclei di unità dipendenti da lui personalmente dirette”. L’azione si svolse nella notte del 1° novembre e fu condotta dalla Torpediniera 9, cui spettò il compito di abbassare la rete di ostruzione grazie a un macchinario con due pesi da 2 tonnellate ciascuno, e dal M.A.S. 20 del tenente di vascello Ildebrando Goiran, il solo mezzo in grado di superarla tra quelli inclusi nella missione (il solito Zeffiro con altri due cacciatorpediniere, nonché due “esploratori” e tre sommergibili).
Alle 3.10 del 2 novembre Goiran, resosi conto della sorveglianza intorno alle navi da guerra, lanciò da 400 metri di distanza i due siluri del M.A.S. verso un grosso mercantile, l’Hars; essi però non esplosero. Nel suo rapporto Goiran cercò di “coprire” l’amico Ciano ipotizzando che l’Hars fosse protetto da reti anti-siluro, ma in effetti c’era un difetto nell’acciarino d’innesco dell’esplosivo. Non vi fu alcuna reazione del nemico, e pochi minuti dopo le unità italiane tornarono alla base.
Come già in passato, l’episodio venne magnificato da Revel e fruttò ai protagonisti grandi onorificenze: a Goiran la medaglia d’oro e la nomina a Capitano di Corvetta, a Morano la croce di Cavaliere dell’O.M. di Savoia “perché quale comandante la flottiglia silurante dell'alto Adriatico divisava e con diligenza e perseveranza grandi predisponeva e coraggiosamente di persona dirigeva il forzamento di una base navale nemica”.

Rubrica: 
Autore: 
Ultima modifica 21/03/2018