L'Umbria dei Presepi

Da San Francesco al cuore della gente

Tra le tradizioni italiane legate all’Avvento, quella del presepe è probabilmente la più sentita. In un paese dalle molte sfaccettature territoriali, le declinazioni del Natale sono tante, almeno quante le nostre regioni, molto più probabilmente quante i nostri capoluoghi e i singoli paesi. C’è spazio dalla pasta fatta in casa al panettone, dagli zampognari tra le montagne fino alle atmosfere delle luminarie delle città. Niente è però come il presepe.

La rappresentazione della Natività è molto antica.

La prima immagine nella quale si riconosce la scena del Gesù bambino appena nato risale al 200 d.C ed è raffigurata all’interno delle catacombe di Priscilla, sulla Salaria in Roma. 

Stando alla tradizione consolidata, il presepe nella variante vivente si deve a San Francesco d’Assisi e alla prima rappresentazione con dei figuranti da lui organizzata a Greccio, in provincia di Terni ma a pochissimi chilometri dal confine umbro. Probabilmente di ritorno da un incontro con il Papa, il santo di Assisi decise di rappresentare qui l’atmosfera che in qualche modo richiamava il magico paesaggio di Betlemme. 

A onore del vero, la prima rappresentazione non fu come quella canonica che oggi abbiamo modo di ammirare.

Quella che probabilmente fu la scena a cui assistettero i pastori di Greccio in realtà è solo la sintesi del momento saliente di Betlemme, con solo una mangiatoia, un bambino, il bue e l’asinello. Assenti le figure di Maria e di Giuseppe, oltre che dei magi.

Presenti invece quelle dei pastori e degli abitanti del villaggio che accorsero con le loro fiaccole a rendere l’idea di un paesaggio non molto distante da quello della Palestina di milleduecento anni prima.

Parlare di un presepe vivente alle soglie del 2016, dopo 8 secoli dalla prima rappresentazione, rimane ancora un argomento di grande attualità. Ci sono almeno due ambiti di interesse che rafforzano le rappresentazioni. 

La prima è l’aspetto di socialità che riesce a suscitare in ogni paese o città dove si va a inscenarlo. Vere e proprie operazioni teatrali con attori non professionisti che riescono ad amalgamare le varie figure all’interno dei quartieri o dei rioni.

Il secondo aspetto è quello legato all’attrattività turistica, per la quale accorrono nelle località molte persone, richiamate dal tipo di rappresentazione o dall’ambiente in cui è inserito. Questo è anche un curioso aspetto di risveglio dell’economia locale, perché niente come l’atmosfera natalizia riesce a trasmettere nel pubblico la voglia di assaggiare la specialità locale, entrare nella bottega dell’artigiano, scoprire il commercio tradizionale. 

San Francesco è dunque il primo testimonial dell’Umbria, il resto del lavoro lo hanno fatto – e bene – gli umbri stessi con la loro passione. Se la regione cuore verde d’Italia, a dicembre, diventa un grande presepe è proprio perché qui c’è una combinazione unica di paesaggio e persone. E fede, perché difficilmente ci metti tanto cuore se non sei sicuro che qualcosa è successo in Palestina.

Se ci si domanda, come è lecito, chi siano poi gli umbri da presepe, la risposta è semplice. Tutti. Immaginiamo che l’atmosfera non abbia una classe di genere o età. Facile vedere i bambini come gli anziani, gli uomini come le donne, poi operai, dirigenti, studenti, frati, chiunque abbia insomma qualcosa da trasmettere sul tema della tradizione. Perché qui sta la vera differenza tra un presepe e un presepe in Umbria: nella regione la rappresentazione della Natività non è solo una questione natalizia.

È piuttosto un momento di teatralità condivisa dove la comunità, sia essa di un quartiere di una città o del più sperduto dei borghi tra i boschi dell’Appennino, si incontra e ricorda l’atmosfera di una grotta in cui è avvenuto Qualcosa di straordinario. Capita così che anche dopo giornate di lavoro molto impegnative, o momenti di studio, gli attori del presepe trovino sempre la forza o il tempo di dedicarsi. Come per liberare la mente e il corpo e far posto al Natale.

Come in ogni teatro che si rispetti, poi, non solo gli attori conoscono ogni dettaglio di questa messa in scena, ben consci di quello che rappresenta per chi ne è richiamato. Ma ci sono anche le maestranze.

Un presepe di paese può arrivare a coinvolgere tutti gli abitanti. Serve manovalanza per i costumi, per ricreare le antiche botteghe, per muovere gli animali che molto spesso sono coinvolti come figuranti alla stregua degli uomini. Non pensiamo solo al bue e all’asino ma anche al gregge e alle mandrie. Un presepe umbro non è raro che abbia anche dei punti di ristoro. Nella locanda si beve, nel forno si assaggia il pane, dal macellaio si provano gli insaccati, nella bottega dei tessuti si ascolta il telaio lavorare. 

Molti presepi sono nati dall’esigenza del parroco di creare un evento in grado di abbattere i campanilismi e le divisioni tra le varie frazioni che compongono la parrocchia. Altri sono talmente antichi da non permettere a chi vi recita di ricordare da quanto tempo siano messi in scena. Tutti hanno quel meraviglioso denominatore comune che fa di un teatro di paese a dicembre un qualcosa di magico in grado di incantare davvero tutti, a prescindere che si viva in Umbria o si arrivi da fuori. C’è davvero gente che torna da continenti lontani per partecipare al Natale di paese.

È normale anche che poi, il giorno dopo, la gente si riconosca per strada.

In molte parti del mondo questi eventi avrebbero richiamato televisioni e giornali. In Umbria vien da dire che è “naturale”, come lo è il bosco e l’aria pulita.

Sarebbe anzi strano se non fosse così in una regione che, tra Appennino e Trasimeno, ha fatto della qualità della vita anche vivere bene il Natale insieme.

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Ultima modifica 09/01/2017